E finalmente, a grande richiesta, il primo tomo sul tema degli schemi nel basket. Un tema tanto delicato e assolutamente fondamentale per chiunque voglia solo tentare di capire qualcosa del basket che bisogna partire da molto lontano.
Ho sempre pensato, e devo dire che la cosa mi ha portato solamente vantaggi, che per affrontare un qualsiasi argomento la prima cosa da fare è tentare di capire quale sia la visione d’insieme, cioè di capire cosa si vuole veramente, quale sia l’obiettivo finale, per poter mettere in piedi una struttura di priorità nell’apprendimento delle cose che serviranno per raggiungere l’obiettivo prefisso. Secondo me la priorità, cioè l’ordine nel quale le cose verranno apprese, è assolutamente fondamentale. Un po’ secondo il vecchio, ma sempre valido, principio che una casa viene costruita partendo dalle fondamenta.
Avendo in mente la visione di insieme si mette in piedi uno schema di ragionamento che, sfrondando di volta in volta le cose secondarie, irrilevanti o addirittura inutili, permette di arrivare al nocciolo della questione, un po’ arrivare alle formule di Einstein sul rapporto massa-energia, alle equazioni di Maxwell sull’elettromagnetismo, a quelle di Newton sulla gravitazione universale, o addirittura all’ “essere o non essere” di Shakespeare che in una frase riassume tutta la nostra esistenza.
Chiaro che si tratta di un programma estremamente ambizioso che è ben lungi dal poter essere realizzato, soprattutto in un campo ludico, dunque condizionato dal fattore umano che, per i suoi comportamenti, è quanto di più lontano possa essere da qualsiasi analisi scientifica. Però bisogna provarci e quanto più lontano si arriva, meglio è.
Io ho fatto per 20 anni l’allenatore a tempo pieno, allenando tutte le possibili squadre, maschi e femmine, bambini, adolescenti e adulti, assoluti principianti e giocatori navigati, in tutte le condizioni possibili, dall’assoluta indigenza alla quasi struttura professionistica, insomma in questo campo ho molta esperienza. In più per altrettanti anni ho fatto il capo della Redazione sportiva di Telecapodistria, per cui diciamo che ho una notevole esperienza sul campo di cosa voglia dire un lavoro che comporta il fatto fondamentale di avere la responsabilità di condurre una squadra. Fra l’altro il basket si gioca in cinque, a Capodistria in Redazione eravamo, assieme a me, in sei giornalisti, per cui la quantità di persone da gestire in ambo i casi era analoga.
A questo punto partirei proprio dal fatto che il basket è un gioco di squadra che si gioca in cinque contro cinque, fatto che oggi si tende sempre più a dimenticare, mentre secondo me è assolutamente fondamentale e totalmente dirimente per poter decidere se una squadra, ripeto squadra, gioca bene o no. Come una squadra è una Redazione di giornalisti che producono trasmissioni, servizi e telecronache. Per poter adempiere bene al proprio compito due cose sono fondamentali: che ci sia una gerarchia ben precisa di competenze con qualcuno che dia un indirizzo di base sulle priorità delle cose da fare, su quali aspetti “filosofici” puntare, su cosa cioè insistere anche per adempiere a scopi propedeutici e educativi (concretamente una redazione che parla di sport dovrebbe parlare, appunto, di sport e dei suoi valori e non occuparsi di gossip sullo sport-spettacolo), in breve a decidere la linea editoriale, e di conseguenza scegliere le persone incaricate di mettere in pratica le direttive di base in base alle loro preferenze e capacità. Sembra una stupidaggine, ma se un mio giornalista è un appassionato di sport della neve lo metterò, appunto, a seguire gli sport della neve, e non il calcio o il ciclismo, perché so che in quel campo mi darà il massimo, in quanto sarà spronato dalla motivazione più importante e decisiva che ci possa essere, l’interesse personale all’argomento. Fra l’altro una redazione che si occupa di sport è formata da appassionati dello sport, se non lo si è si va fare qualche altro tipo di giornalismo, più gratificante dal punto di vista economico e di immagine e meno esposto alla crudele legge dei numeri. In breve in politica uno può dire tutto e il contrario di tutto più o meno quando vuole, mentre nello sport uno che corre i 100 metri in 10 e 1 vincerà sempre su quello che corre in 10 e 2. Nello sport i numeri non mentono e limitano drasticamente lo spazio per raccontare balle. Dunque in definitiva una redazione sportiva è formata da gente altamente motivata, per cui il paragone con una squadra di basket regge molto meglio.
Passando al basket, sempre tenendo benissimo in mente che trattasi di gioco di squadra, mi dispiace, ma su questo punto insisterò in modo ossessivo, perché è il punto base dal quale non si può mai prescindere, non vedo perché per mettere insieme una squadra di basket non si debbano prendere in considerazione esattamente le stesse linee guida che valgono per qualsiasi altro lavoro di team. Come prima cosa deve esserci una precisa idea di cosa si vuole ottenere e di conseguenza bisogna scegliere lo staff giusto di persone adatte allo scopo che si vuole perseguire. Concretamente se metto in piedi un settore giovanile le persone che mi servono saranno del tutto diverse da quelle che mi servono per mettere in piedi una squadra di professionisti. Anche questa sembra una stupidaggine, una specie di tautologia, però da quanto vedo mi sembra che molti non la prendano in considerazione, scegliendo per esempio per i settori giovanili profili di allenatori in erba che sono anni luce lontani dal profilo necessario dell’istruttore.
Questa sarebbe l’introduzione all’argomento, una specie di prefazione al libro che, come potete supporre e come vi avevo avvertito, sarebbe un tomo tipo Enciclopedia britannica. Adesso passo al primo capitolo, sempre che a questo punto abbiate ancora la pazienza per leggermi.
Come detto all’inizio una casa si costruisce dalle fondamenta, dunque una squadra di basket si costruisce dapprima costruendo i singoli, cioè preparando e allevando giocatori che sappiano da quanto prima possibile cosa voglia dire un lavoro collettivo e che si rendano conto il prima possibile del fatto fondamentale che una squadra è come una catena e che il successo dipende da quanto è forte l’anello più debole della stessa. Senza questa consapevolezza, totalmente negletta dagli “istruttori” moderni che pensano solo come costruire un campione solista, non si potranno mai, ripeto mai, avere “veri” giocatori di basket.
Concretamente immaginiamo di avere davanti a sé una nuova leva di totali neofiti che dobbiamo trasformare in un futuro in giocatori di basket. Avendo in mente quanto appena detto la prima cosa che dobbiamo vedere è quanto queste pagine ancora intonse siano capaci di concepire cosa sia un gioco di squadra. E allora la primissima cosa da fare è spiegare loro le regole base (lo scopo è di infilare la palla in canestro, indipendentemente da chi lo fa materialmente, non si può camminare con la palla in mano, ma bisogna palleggiare, eccetera) e poi metterli cinque contro cinque, subito, come primissima cosa, e vedere cosa combinano. L’istruttore semplicemente guarda e valuta, però deve sapere molto bene cosa valutare. La sua attenzione deve essere concentrata sulle capacità innate dei singoli di sapere cosa serve alla squadra per vincere, e quel che serve è essere squadra. Il diamante della collezione sarà colui che, senza che nessuno gli dica niente, recapita la palla al compagno libero quando questi è in una posizione migliore della sua, o che, non avendo la palla, prova a liberarsi per rimanere solo e riceverla. Tutto il resto si impara, ma questa dote, quella cioè di percepire in modo spontaneo che si tratta di un gioco di squadra, è normalmente innata ed è la dote fondamentale per uno che voglia un giorno essere un vero giocatore. Attenzione: questo tipo di mentalità si manifesta anche in difesa: chi concepisce il basket come gioco di squadra avrà innata anche la capacità di capire che a subire il canestro è la squadra e non il singolo, per cui proverà ad aiutare i compagni in difficoltà avendo sempre questa consapevolezza che la squadra arriva prima di ogni altra cosa.
Fatta questa prima cernita, cioè dopo aver rispedito al mittente (genitori) gli inguaribili solisti consigliando loro qualche sport individuale dove potranno far rifulgere le loro narcisistiche doti, si può cominciare il vero lavoro. Che consiste principalmente di tentare di capire, in base alle capacità mentali, caratteriali e poi (ma molto poi, in quanto le capacità fisiche che poi saranno quelle dell’età adulta cominciano a manifestarsi appena nella fase dello sviluppo adolescenziale, cioè molto più tardi – anche per questo la specializzazione nel basket deve avvenire molto tardi, non prima dei 14-15 anni di età) anche fisiche, quale sia il ruolo più consono alle suddette capacità che un giocatore potrà ricoprire. Per prima cosa bisogna identificare il leader, parlo qui di squadre maschili, quelle più facili da allenare e costruire, per le ragazze ho già detto che il loro schema gerarchico è orizzontale, a cellule, e non verticale, per cui devono essere trattate in tutt’altro modo, il quale leader ha i suoi sottoposti fidati, i suoi colonnelli e capitani, che gli obbediscono, ma dei quali lui ascolta e recepisce i consigli sensati. Identificare il leader è la cosa più facile che ci sia: basta riunire la squadra e proporre magari la cosa più insignificante possibile, tipo: “Ragazzi, dove andiamo a mangiare la pizza dopo la partita?”. Inevitabilmente gli sguardi di tutti convergeranno su uno solo dei compagni che si guarderà intorno, proporrà un luogo dove andare, alcuni (i suoi colonnelli) annuiranno e gli altri si adegueranno. Oppure uno dei colonnelli proporrà qualche altro posto, ci sarà una breve discussione con il leader che accetterà o meno il consiglio, sempre argomentando in modo civile e amichevole, comunque alla fine la decisione finale spetterà al leader e solo a lui.
Il ruolo del leader non è per nulla collegato alle sue capacità sportive, può anche comodamente essere uno qualsiasi che in campo non fa vincere le partite, ma è il fulcro della squadra, per cui è solo ovvio che in campo, ma soprattutto nello spogliatoio sarà sempre il punto di riferimento per tutti i compagni. Come si diventa leader? E’ molto semplice: qualsiasi gruppo di maschi identifica subito colui che ha le doti del capo, che ha la visione del gruppo e delle capacità di ciascuno dei compagni, per cui, una volta sceltolo, sanno che di lui si possono fidare, perché essere il capo vuol dire avere meglio di chiunque altro la capacità di avere in mente come priorità assoluta il bene del gruppo.
Riassumendo: prima, e fondamentale, dote dell’istruttore è quella di sapersi adeguare al fatto che il leader del gruppo che lui istruisce lo designa il gruppo stesso e non lui. E solo partendo da questo semplice dato di fatto può sperare di ottenere il massimo dal gruppo che ha a disposizione.
Cosa c’entra tutto questo con gli schemi? Ve l’avevo detto che sarei partito da lontano e che avrei scritto un librone, per cui la serie continua, e state sicuri, sarà ancora lunga, molto lunga.