Mi è molto piaciuta la citazione di Edoardo di quanto ha scritto Nenad Kiš (uno che sa esattamente tutto del basket e che ho avuto modo di conoscere durante la mia presenza a Belgrado per la presentazione della traduzione del mio libro e che mi fece anche una lunga e interessante intervista – a proposito, non so chi lo ha scritto, ma il coach del Barcellona si chiama Svetislav Pešić che si legge Pescich e non “Pesich”, proprio come Perišić si legge Periscich e non “Perisich”, come ormai, ahimé, dicono proprio tutti i telecronisti in Italia – è proprio tanto difficile sforzarsi di pronunciare giusto? Eppure il suono in italiano è presentissimo, a cominciare dalla parola scienza, o semplicemente conoscenza, in poi) in merito a Krešo Ćosić, che è poi esattamente quello che scrivo io nel mio libro quando tento di spiegare perché sia stato il più grande giocatore jugoslavo di tutti i tempi e, per quanto riguarda l’Europa, se non il più grande, certamente il più importante, quello che ha portato il basket europeo, con la sola sua presenza, a sbarcare nello stesso pianeta che all’epoca era occupato dagli USA.

Quando per esempio nei Boston Celtics giocava John Havlicek (i cui antenati cechi si chiamavano Havliciek e io lo ho sempre chiamato così, come per me Katie Ledecky sarà sempre Ledetzki come la sua lontana cugina Ester Ledecka, o Caroline Wozniacki sempre Wozniatzki, cioè come Nowitzki) che, nei pochi filmati di partite intere che ho visto dei Celtics dell’epoca, era un giocatore che per la mia concezione di cosa sia il basket era semplicemente perfetto, era cioè, in fatto di comprensione del gioco, di intelligenza, di movimenti e di giocate tutti esattamente perfetti per il momento nel quale venivano fatti e, se non bastasse, quando tirava faceva sempre canestro, il prototipo quasi computerizzato di quello che io immaginavo dovesse essere un giocatore di basket. Pensare che in quella squadra c’erano anche Bob Cousy e Bill Russell, cioè forse in fatto di comprensione del ruolo il più grande play e il più grande centro mai esistiti, mi fa ancora oggi piangere soprattutto vedendo gli scempi che vengono perpetrati oggidì.

Tipo il famoso “iconic shot” di cui avete parlato a lungo. Io la partita ovviamente non l’ho vista e non ero in turno TG per cui non mi è toccato neanche sorbirmi i highlight (?) per poi fare la notizia, ma quel giorno era in turno Tommaso che mi ha parlato in lungo e in largo di quell’azione con una descrizione che mi ha fatto morire dal ridere, avendola lui descritta per come è realmente avvenuta. In breve secondo lui, e visto il fatto per come me lo ha raccontato non ho proprio il minimo dubbio nel pensare che sia la pura realtà, è stata un’azione del tutto nauseabonda, totalmente contraria a ogni logica di come un ultimo attacco per la vittoria dovrebbe essere, finita con una botta di culo storica, quella sì di entità tale da entrare direttamente nella storia. Sarò anche all’antica, sarò sorpassato e rimbecillito, ma se la mia squadra giocasse in quel modo un ultimo attacco, a partita finita, indipendentemente dal fatto che poi magari il tiro possa anche essere entrato, prenderei a calci nel sedere con furibonda voluttà tutti i miei giocatori e: a) li licenzierei tutti o b) darei subito io le dimissioni perché dementi simili non li potrei proprio allenare.

Sarà anche per le mie basi matematiche (contrariamente a tantissime persone matematica era di gran lunga la materia da me preferita a scuola), ma io sono perfettamente convinto che per un ultimo attacco nel quale ho bisogno di un canestro normale la cosa fondamentale da farsi è costruirsi un tiro con la massima probabilità di riuscita, quello che si dice un tiro ad alta percentuale. Ora io, contrariamente all’ormai per me mitico marziano di Llandre, continuo ad essere fermamente convinto che un tiro, da più vicino parte, più probabilità ha di finire in canestro. Il tiro migliore continuerà ad essere un appoggio (perché non usare parole italiane perfettamente idonee invece di voler fare i fighi parlando “ammericano” e dicendo layup?) in entrata o, se preferite il basket moderno, un’affondata bimane (?!), e che questo non sia vero non me lo potrà dire nessuno. Sull’ultimo attacco questa è l’opzione da perseguire come prima cosa, per cui ogni squadra che si rispetti dovrebbe in allenamento preparare un’azione standard da ultimo attacco con varie opzioni, da scegliere di volta in volta in base ai cinque avversari che ci troviamo in campo, ma con la primissima delle quali che dovrebbe essere quella di poter fare un tiro da sotto. Ci sono moltissimi modi per dare la palla dentro proprio come primo passaggio obbligatorio in un’azione da ultimo attacco. Nella mia concezione la palla dopo pochi secondi dovrebbe essere obbligatoriamente in mano a qualcuno nei pressi del canestro (e non in mano a un palleggiatore a metà campo che fa passare il tempo in modo del tutto improduttivo) e da lì provare dapprima con un gioco alto-basso, o con una penetrazione e scarico al tagliante sotto canestro e infine, proprio come ultima opzione, una volta collassata la difesa, scaricare su un giocatore libero per un tiro dalla media distanza o comunque dalla più breve distanza dal canestro compatibile con lo svolgersi dell’azione. Insomma il tiro da tre non lo considero neppure, se non per il fatto che, essendo un tiro molto allenato che ha sul campo una precisa linea di riferimento, potrebbe forse essere preferibile per qualche specialista rispetto a un tiro da due scoccato da distanza poco frequentata. Per me è dunque solo logico scegliere le varie opzioni nell’ordine giusto, dal possibile tiro ad alta percentuale andando progressivamente verso quelli a percentuale più bassa. Senza contare che aggredendo il canestro già dai primissimi secondi dell’azione c’è la concreta possibilità di procurarsi due tiri liberi più o meno gratis. E’ solo ovvio che in tutto questo dobbiamo far muovere la difesa e dunque sarebbe altamente auspicabile che la palla venisse giocata dal maggior numero di attaccanti possibile che a loro volta dovrebbero essere in continuo movimento a cercare posti liberi o, come si dice oggi, a fare le spaziature giuste. Giuro che quando vedo l’ultimo attacco in una partita nella quale si sa già che uno tirerà e gli altri quattro guardano senza mai neanche vedere la palla da vicino, mi viene la voglia di scaraventare, dalla rabbia e dalla frustrazione per il delitto di lesa intelligenza e leso basket inteso come gioco di squadra, qualcosa verso il televisore. Per me attaccare in questo modo è sommamente idiota. E forse per questo guardo sempre meno basket.

Proprio in merito a quanto detto mi risuona ancora nelle orecchie una considerazione fatta da Niccolò Trigari che commentava gara quattro di Žalgiris–Fenerbahce a Kaunas. Il quale Niccolò, ragazzo che conosco e che reputo intelligente e conoscitore in pectore del basket se solo fosse nato e cresciuto in un ambiente cestisticamente un po’ più sano, o magari in un’altra epoca, dopo che lo Žalgiris per due volte di fila aveva rifiutato un tiro da tre per avvicinarsi a canestro e segnare da sotto, sottolineava con meraviglia questo tipo di approccio come totalmente estraneo alle concezioni attuali ammettendo alla fine che forse un approccio simile non è probabilmente neanche tanto sbagliato. E no che non lo è, maledizione! E’ l’unico giusto, ri-maledizione! E’ per questo che prego il buon Dio di concedere tutta la salute possibile a Šarunas Jasikievičius perché si possa continuare a vedere ancora in questo triste mondo del basket normale, logico, intelligente. E guarda caso, chissà come, giocando in questo modo, cioè andando totalmente controcorrente impiegando il tiro da tre per quello che sempre dovrebbe essere, e cioè un’arma tattica e non certamente strategica, con una squadra onestamente che per i nomi che ha fa ridere rispetto alle corazzate che circolano in Eurolega, arriva ai playoff e fa quasi partita pari contro il Fenerbahce, squadra allenata fra l’altro da quello che è indiscutibilmente il miglior coach di basket che ci sia attualmente al mondo (nell’NBA il concetto di coach come allenatore non esiste più da tempo, lì il coach, per i compiti che in realtà svolge, dovrebbe essere chiamato manager come si fa nel baseball o come fanno in Inghilterra per il calcio).

E a proposito di Eurolega e di coach. Posso dire che ben pochi mi hanno convinto? Parlo di quelli che si sono qualificati per i playoff, perché degli altri forse è meglio non parlarne per niente. Per quanto possa sembrare inverosimile dico sommessamente, per favore non ditelo a nessuno, che mi si è molto rivalutato Rick Pitino. Che ha perso con il Real nettamente, ma che a mio avviso ha mostrato un concetto sano di gioco di squadra, e per me concetto sano è quando un allenatore fa giocare il più possibile i suoi giocatori forti e il meno possibile quelli scarsi, mettendo i giocatori nei ruoli che meglio fanno risaltare le loro qualità e meglio nascondono i loro difetti. Così Calathes ha giocato praticamente sempre e non è certo colpa di Pitino se nella serie è stato l’ombra di se stesso. L’ha fatto giocare troppo e si è stancato? Ma fatemi il piacere! Sono professionisti che si allenano duramente e si sanno gestire perfettamente e uno come Calathes non mi pare che sprechi energie per nulla, cioè per fare il fenomeno da circo, quello che tanto esalta le fantasie degli spettatori attuali. Semplicemente non riusciva a fare canestro neanche in una piscina. Tutto qua. Su Laso devo spendere qualche bella parola, perché anche se due indizi non fanno ancora una prova, dopo aver trasformato il Chacho Rodriguez da cavallo pazzo in grande play sta riuscendo nella medesima impresa con un cavallo se possibile ancora più pazzo e forse meno intelligente come Facundo Campazzo che all’inizio pensavo fosse un giocatore del tutto dannoso come Marcelinho, ma che ora sta facendo veramente molto bene. Chissà, se Laso riuscisse a trasformare in giocatore di basket anche il suddetto Marcelinho, allora forse potrebbe essere annoverato fra i più grandi di sempre. Compito che comunque appare fantascientificamente impossibile. Sul CSKA non so cosa dire. E’ alle Final Four, ma per come gioca non mi convince. Mi sembra la classica squadra che quando gioca bene è fortissima, ma che quando gioca male va in bambola. E questo non depone certamente a favore di un pur bravissimo allenatore come Itoudis che continua a darmi l’impressione di non aver mai un piano B quando quello A non funziona. Staremo a vedere quando il gioco si farà per loro veramente duro, perché finora in realtà non lo è stato. Ora che scrivo non si sa ancora chi andrà alle Final Four fra Efes e Barca. Ho guardato con attenzione gara quattro di ieri sera, e quando dico attenzione significa che tolgo il commento lasciando solo gli effetti, per cui posso guardare la partita con l’occhio mio affidandomi alla telecronaca interiore di un telecronista di mia assoluta fiducia. Allora il mio telecronista ha rilevato che, a vedere le due squadre, il Barcellona è nettamente più forte, avendo tante soluzioni tattiche e una panchina sontuosa che l’Efes non ha. Il quale Efes gioca un basket di quelli che a me non piacciono, essenzialmente con il tiro da tre quale soluzione strategica, cosa che come detto mi sembra fare a pugni con le concezioni di base che il basket dovrebbe avere, ma che in questa sua filosofia sia coerente e logico e che in definitiva giochi anche bene. Rimango comunque dell’avviso che quando culo mastica mutande il tiro da tre sempre e comunque non sia mai la strategia che ti fa vincere le partite negli ultimi minuti. Il Barcellona invece non so proprio come prenderlo: quando gioca come ieri sera nel secondo tempo una difesa asfissiante è veramente forte, ma il problema per me è che proprio non riesco a capire le rotazioni e in generale le gerarchie che ha in squadra Pescich (ricordate?). In sostanza secondo me fa giocare molto quelli scarsi e poco quelli un po’ più forti. Nella mia concezione del basket due giocatori quali Ribas e Claver sono giocatori da minutaggio ristrettissimo (nel caso di Ribas, di cui non sono mai riuscito a capire le doti cestistiche, se non gioca affatto per me è la soluzione migliore) e dai compiti ben definiti. Se Claver gioca come ieri, prendendo rimbalzi in attacco e dando subito via la palla o tirando da tre alla fine dell’azione quando è perfettamente solo, mi sta benissimo. Mi fa però girare gli zebedei quando vorrebbe creare gioco, cosa di cui è assolutamente incapace. E Pešić a volte glielo lascia fare senza dire e fare nulla. A lasciarmi perplesso sono anche le rotazioni delle guardie che proprio non riesco a capire nonché l’impiego di Singleton che sembra a volte totalmente scazzato e avulso dal gioco. Poi ci sarebbe da chiedersi quale sarebbe in realtà il ruolo di Hanga, ma qui già andiamo sul troppo difficile. In definitiva: qual è il coach che secondo me è il peggiore di queste Final Four? Non ho dubbi: è proprio Pešić.