SportVULo confesso: quando ero a Tele+2 e facevamo il basket eravamo i più bravi (soprattutto perché erano bravi i miei colleghi). E da quando è diventata Sky (ed io non ci sono più da un pezzo) sono diventati ancora più bravi i mei ex colleghi. Perché oltre all’amore per questo sport, alla capacità di conoscerlo ogni giorno di più, alla voglia e l’entusiasmo di commentarlo in TV, c’è un’altra cosa, anzi la prima cosa: consapevolezza di cosa si vuol fare nell’offrire agli abbonati quel tipo di prodotto.

Questa premessa mi è servita per iniziare a parlare del basket in TV che vorrei. Che si chiami Superbasket (sulle frequenze di Supertennis) o che sia ancora la Rai, la cosa che vorrei davvero è che si sapesse cosa e come farlo. Non posso dimenticare una delle lezioni che ho imparato da Flavio Tranquillo e Giancarlo Fercioni quando le prime volte che venivo convocato in questo o quel palazzetto, se la partita era alle 20.30, tutti dovevamo essere pronti a fare una prova tecnica almeno due ore prima. E l’appuntamento era alle 15.30. “Perché – mi spiegò una volta Fercioni dopo una mia timida domanda – se qualcosa non va almeno abbiamo il tempo di provare a sistemarla. Se lo scopriamo mezz’ora prima di andare in onda siamo fritti!”.

Eduardo Lubrano

Eduardo Lubrano

Ecco: cosa vuol fare la Federazione del suo ipotetico canale dedicato al basket? Un canale serio che serva soprattutto alla diffusione del basket in tutte le sue forme ed in ogni angolo del paese o una TV che serva solo a far arricchire qualcuno o a far bello qualcun altro? Una televisione che sia da guida, stimolo, approfondimento o una TV dove mandare in onda repliche su repliche, con una qualità media delle riprese da far schifo? Non sono prevenuto, ma avendo lavorato diversi anni in TV ed essendo ancora a contatto con giornalisti e tecnici di quel mondo so che un buon prodotto costa tanto denaro. E riempirlo non è facile. Ho sentito, ma sono certo che si tratti di chiacchiere da cortile, che si vuol mettere dentro l’NBA, alcuni campionati stranieri ed altre facezie del genere. No. Non è questo il modo.

O meglio queste cose possono essere dei riempitivi del palinsesto una volta mandate in onda tutte le gare di tutte le nostre nazionali (femminili e maschili), gli allenamenti delle stesse, i campionati giovanili scelti sulla base di una turnazione intelligente, gli stage, i Consigli federali. Vanno in onda gli incontri politici, vuoi vedere che non si può far vedere una riunione del governo del nostro basket? Poi i clinic più aggiornati, che possano servire anche come lezione per quegli allenatori che non potessero intervenire facendo comunque imparare loro le cose necessarie alla preparazione degli esami.

Insomma vorrei una televisione di SERVIZIO alla nostra pallacanestro. Con un direttore competente tanto di TV quanto di pallacanestro, un manager televisivo bravo, un responsabile dell’acquisizione dei diritti molto competente. Tutto questo costa denaro, ma la nostra federacija (come si direbbe nelle lingue slave) i soldi ce li ha. Bisogna solo saperli investire. Poi ci sarebbe il cosa vorrei dalla Rai… ma di questo parliamo nel prossimo articolo.

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Chi è Eduardo Lubrano
Come si direbbe per i gallesi che sono nati su un campo da rugby, io sono nato su quello da basket, perché già a 5 anni sgambettavo nel minibasket dei mitici Centri Romani Basket all’Acqua Acetosa sotto lo sguardo della intramontabile signora Tirindelli. Poi ho fatto tutta la carriera giovanile fino ad arrivare alla Lazio e poi fermarmi, perché il fisico allora contava molto più di oggi. Mentre iniziavo la carriera di “scriba” se Gianni Clerici non mi fulmina all’istante, sono stato allenatore e dirigente, al Banco Roma che lanciò Emiliano Busca, ed alla Petriana rispettivamente, il Pontificio Oratorio di San Pietro. Gli anni di Tele+ nella “Repubblica del basket”, come la definiva il direttore di allora, con Flavio Tranquillo, Paola Ellisse, Geri De Rosa e prima ancora Claudio Arrigoni e Mino Taveri ed Alessandra Ferrari, Giancarlo Fercioni ed il produttore Alessandro Paolella. Da 14 anni mi occupo, ma non solo, della Virtus Roma, per le pagine romane de la Repubblica e sono stato l’addetto stampa del primo ritorno dell’NBA a Roma, nel 2006, quando vennero i Phoenix Suns di Mike D’Antoni e Steve Nash.