Leggendo i commenti a quanto scrivo ho notato che praticamente tutto quanto è di interessante e stimolante in fatto di discussione avviene entro i primi 15-20 commenti, dopo di ché comincia il solito balletto di botte e risposte fra l’incallito Edoardo e il suo altrettanto incallito manipolo di denigratori che sembrano attendere solamente un pretesto qualsiasi per dargli contro con l’aggravante che ognuno cita i commenti degli altri, per cui si spreca uno spazio esorbitante per riportare quanto magari scritto nel post sopra con ciò appesantendo ancora di più un battibecco sterile come tutti i battibecchi che vengono messi in piedi a prescindere, per la semplice ragione che qualcuno non è simpatico a qualcun altro. È solo ovvio che una cosa del genere è totalmente illeggibile ed è pertanto altrettanto comprensibile che tutta una schiera di commentatori della prim’ora si sia stufata di partecipare, tanto si sa come va a finire. Per esempio avete dato un’occhiata a quanto da me scritto nell’ultimo post e avete fatto un paragone con quanto viene “dibattuto” negli ultimi commenti? Trattasi di cose del tutto diverse che nello svolgimento del “dibattito” (sempre fra virgolette, perché di tutto si tratta meno che di un dibattito, perché questo presuppone che ci siano opinioni a confronto e non una continua proposizione delle stesse cose da parte di ognuno) ricordano tantissimo il famoso giochino del telefono senza fili che si faceva da bambini, o per quelli che fanno la Settimana Enigmistica il famoso gioco del Bersaglio, dove partendo da una parola si arriva dopo una serie di passaggi a tutt’altra cosa.

Sergio Tavčar

Sergio Tavčar

Sono perciò perfettamente d’accordo che leggere i commenti ai miei post sia una pizza totale, sono il primo a dirlo. Spero solo che non ce l’abbiate con me per questo. Io scrivo di cose che interessano a me, ripeto per l’ennesima volta nessuno mi paga un cent per scrivere quello che scrivo, per cui se interessa a qualcuno bene, se no pazienza. Non sono certamente nell’età né nella fase della mia carriera nella quale devo per forza farmi vedere e sentire magari sparando la cazzata più fragorosa del web per avere il massimo numero possibile di follower (secondo la vecchia formula che, più spari cazzate, più la gente ti segue, più diventi famoso e più soldi fai, soprattutto su una struttura aperta a tutti, cretini compresi, quale è la rete), per cui se qualcuno mi legge, bene, ci vedremo e trascorreremo una bella giornata alla sconvenscion, se no legga qualcosa d’altro. Il mio blog è diventato noioso perché non si parla di NBA? Per me sarebbe noioso SE si parlasse di NBA, che ci volete fare, sono così. Purtroppo a me, che sono di un’altra generazione, interessano e mi appassionano cose, delle quali ho spesso scritto in passato sperando di suscitare una feconda discussione, tipo parlando di basket la comprensione dello stesso, cosa vuol dire essere giocatore di basket e cosa invece un grande atleta che pratica uno sport che non è il suo, quali linee guida dovrebbero perseguire gli istruttori dei giovani, quali sono le “vere” cose che fanno vincere le partite e quali sono invece espressioni di spettacolo puro e semplice che in realtà in funzione dell’ottenimento del risultato sono in realtà insignificanti, vorrei insomma suscitare nelle menti di quelli che mi leggono seri dubbi su quella che è la concezione attuale del basket e di conseguenza su quello che soprattutto i media influenti propagano e propagandano. Questi sono gli argomenti che appassionano me, ma purtroppo ogni volta che ne ho affrontato qualcuno la discussione è stata breve e soprattutto sterile, essendo i preconcetti ormai tanto radicati sia in una che nell’altra direzione che anche quelli che vorrebbero discutere mettendo magari in discussione qualche loro certezza vengono zittiti dai troll apodittici che continuano a suonare sempre la stessa campana accusando me e quelli che pensano come me delle cose che loro stessi praticano, nel più puro stile usato da sempre dalle macchine di propaganda di accusare violentemente gli avversari delle cose che loro stessi fanno per essere sempre all’attacco col corollario goebbelsiano che una stupidata ribadita con insistenza alla fine, per quanto idiota sia, viene percepita dalla pubblica opinione come verità.

Ne consegue forse che ho gettato la spugna? Nel senso dell’ambizione di fare di questo spazio una spazio dedicato alla gente intelligente e pensante, di farne cioè un’isola di resistenza cestistica nel mare imperante dei luoghi comuni odierni certamente sì. Semplicemente sulla rete non si può, gli elementi di disturbo sono troppi per poter emergere dal rumore di fondo dei commenti insulsi e fuori tema, per fare una cosa del genere bisogna trovarsi faccia a faccia fra gente benpensante e disposta più che a pontificare a ascoltare gli altri per poi dire la propria, poi, mai prima, bisogna essere insomma a una sconvenscion. Che è appunto il perché sicuramente continuerò a scrivere su questo sito. Sono troppo belli quei giorni nei quali ci troviamo in osmica a mangiare e bere e chiacchierare senza renderci conto di quanto passi in fretta il tempo per rinunciarci.

Un piccolo commentino alla derisione del modo serbo di scrivere i nomi stranieri. Lasciando ovviamente da parte tutto il discorso da dedicare allo “storpiamento” dovuto alle declinazioni che, come un italiano discendente dai latini dovrebbe sapere, sono un fondamento delle lingue indo-europee. Certe lingue nella storia ne hanno fatto a meno e si aiutano con preposizioni, altre, per esempio tutte quelle slave (meno il bulgaro e la sua derivazione, il macedone), le hanno conservate. Per cui nella stessa ottica ci si dovrebbe meravigliare e sorridere leggendo i latini scrivere Anno Domini invece che “In annum de dominus”. A me personalmente è sempre piaciuta tantissimo la semplicissima massima di Vuk Karadžić “piši kao govoriš”, scrivi come parli, che i serbi potevano mettere in pratica tranquillamente usando l’alfabeto cirillico. Così, di straforo, ridete e prendete in giro anche i cinesi e i giapponesi quando scrivono i nomi occidentali con i loro disegnini? Giusto per sapere. Tornando ai serbi nella loro storia le elite borghesi di Belgrado, tutte storicamente legate a filo doppio alla cultura francese (come quelle russe, del resto), avevano perfetta padronanza dell’alfabeto latino, ma erano minoranza e l’alfabeto cirillico era di uso comune fino alla fondazione della Jugoslavia, quando i serbi entrarono in contatto con i croati, che parlavano la stessa lingua, ma scrivevano in lettere latine. E’ solo normale che l’alfabeto latino a questo punto cominciò a essere usato e studiato anche in Serbia, anche se ovviamente in funzione di sostegno per comunicare meglio fra neo-jugoslavi, fenomeno che si amplificò dopo la seconda guerra mondiale con il moltiplicarsi degli scambi culturali fra popoli diversi. Per esempio: se una rivista, o magari un rotocalco di gossip, di Belgrado voleva avere diffusione in tutta la Jugoslavia era costretta a pubblicare un’edizione in caratteri latini, se no non vendeva una singola copia in tutta la parte occidentale del Paese. Va da sé che questa stessa copia veniva letta anche a Belgrado, per cui, almeno da quando io ho cominciato a andarci per lavoro (’72), in città le insegne dei negozi erano tanto in caratteri latini che cirillici, con i primi riservati ai locali o ai negozi più “occidentalizzanti” e i secondi ai locali tradizionali o ai negozi di specialità locali. L’abitudine però del “piši kao govoriš« rimase anche nel passaggio più o meno spontaneo ad un maggior uso della scrittura latina, tanto più che storicamente era entrata ormai nel sentire comune, per cui ai serbi sembrava assolutamente normale (non a me, a dire il vero) scrivere la formazione italiana di calcio come: “Cof, Džentile, Kabrini….”per finire con “Kauzijo, Rosi, Tardeli i Betega”. Piccola chiosa: forse quest’abitudine potrebbe essere importata in Italia, soprattutto per aiutare telecronisti ignoranti che non hanno la più pallida idea di come si leggano i nomi slavi che, pure, sono facilmente leggibili, in quanto a lettera uguale corrisponde sempre suono uguale. Basta imparare una tabellina semplice semplice. Sembra però che sia molto difficile mandarla a memoria. Per cui, almeno secondo me, forse a certi telecronisti andrebbe bene scrivere, perché riescano a leggerlo giusto, che ne so, “Deyan” invece dell’orribile “Dezhan”, oppure ricordargli che la guardia bosniaca del Bayern si chiama “Giedovich” e non “Dedovich”, come il tennista si chiama “Giokovich” e non “Dokovich” e neanche, come si sente su Sky, “Diokovich”. Per non parlare del nome in ceco e in slovacco che sta per Giorgio e che tutti, nessuno escluso, leggono “Zhiri” e non “I-irzhi”, come andrebbe correttamente letto. Certo, pretendere che il portiere polacco della Roma venisse chiamato “Sh-ci(e)onsniy” sarebbe troppo, però se qualcuno ci arrivasse vicino invece delle robe terribili, quelle sì beceramente storpiate (che un italiano accusi me – non me come persona, ma me come slavo – di storpiare i nomi stranieri, scusate, ma mi fa venire la bile, perché esempio più fulgido del bue che dà del cornuto all’asino non mi può venire in mente) che si sentono, forse sarebbe lo stesso un tantino meglio.

Stavolta niente basket (così la mia audience crollerà ulteriormente), ma un piccolo aggancio curioso all’attualità. Ieri è cominciata la Coppa del mondo dello sport strampalato dal trampolino con una gara in Finlandia. Il dominatore della scorsa stagione di questo sport, che sarà sì strampalato, ma che in Austria, Germania, Polonia, Norvegia e altrove muove milioni di euro in investimenti in materiali con tanto di gallerie del vento e robe del genere, lo sloveno Peter Prevc, finora in carriera, per uno strano sortilegio, mai era salito sul podio in una gara che si disputasse in Finlandia. Ieri nel primo salto distrugge tutta la concorrenza, nel secondo pure, solo che, per una delle prime volte in carriera, all’atterraggio spigola e cade. Sortilegio dunque confermato? Nell’essenza sì, perché non vincere una gara dominata è veramente roba da andare a Lourdes. Per le statistiche però no, in quanto, grazie alla superiorità schiacciante sulla concorrenza, malgrado la tremenda deduzione subita nel punteggio per lo stile a causa della caduta, riesce ugualmente a salvare il terzo posto sul podio. Ora bisognerà vedere (scrivo prima della gara del sabato) se è più forte il sortilegio o se è riuscito finalmente in qualche modo a esorcizzarlo. Per il salto sloveno del resto poco male, perché a vincere è stato comunque un Prevc, il fratellino Domen, nato curiosamente a qualche giorno di distanza, nel febbraio del ’99, dell’altro bambino terribile dello sport sloveno, Luka Dončić. E vedere due fratelli di Dolenja Vas presso Selca, zona Škofja Loka, sul podio di una gara in uno sport nel quale altri investono cifre enormi e hanno strutture imponenti per primeggiare ci fa ricordare sempre che forse, tutto sommato, alla fine a prevalere è il talento, che può nascere in qualsiasi posto, come la grande epopea di Ingemar Stenmark insegna. Evidentemente la zona della famiglia Prevc deve avere comunque una stella fortunata in fatto di generazione di talenti. A qualche chilometro di distanza da loro è infatti nato il capitano dei Los Angeles Kings dell’NHL di hockey, Anže Kopitar (accento sulla “i”), e ancora a qualche chilometro di distanza vive la famiglia Oblak, della quale la primogenita, Teja, è stata il motore della storica qualificazione della nazionale femminile slovena di basket per i prossimi Europei, mentre il fratellino di tre anni più giovane, Jan, è solamente il portiere dell’Atletico Madrid e della nazionale slovena di calcio, unanimemente considerato uno dei portieri giovani più forti che ci siano attualmente al mondo.