La Serbia festeggia la qualificazione alla finale (foto FIBA)

La Serbia festeggia la qualificazione alla finale (foto FIBA)

Ci siamo: dopo due settimane siamo giunti all’atto conclusivo, la finale del Campionato del Mondo 2014. La finale da tutti tanto pronosticata non ci sarà in Spagna, così com’è accaduto in Brasile ai Mondiali di calcio, ma nel frattempo USA e Serbia in 40 minuti di gioco effettivo si contenderanno il titolo.

Non prendiamoci in giro: la Serbia, per riuscire a battere gli statunitensi, deve innanzitutto sperare che qualcuno dirotti l’autobus USA (solo sportivamente) facendoli arrivare 30 minuti dopo l’inizio ufficiale della gara in maniera tale da costringere gli arbitri a decretare la sconfitta a tavolino. L’America dei canestri ha sciorinato una importante prestazione sia sotto l’aspetto tecnico che Mentale rifiutando le prime ed uniche provocazioni Lituane tanto che alla fine del Terzo Quarto era già avanti di trenta punti.

Nicolas Batum, 35 punti in semifinale (foto FIBA)

Nicolas Batum, 35 punti in semifinale (foto FIBA)

Nell’articolo precedente avevamo ipotizzato cosa dovevano fare le avversarie di Spagna e USA per non mandarle direttamente in finale. La Francia, dopo aver letto con tanta attenzione DailyBasket, ha:

1. affrontato la Spagna senza timore reverenziale ad inizio partita, in cui la maggior parte delle squadre ha sviluppato delle geometrie di gioco più interne subendo sin dall’inizio del match i fratelli Gasol
2. escluso dal gioco quegli atleti-chiave che riescono a essere protagonisti in qualsiasi momento della partita, non facendoli prendere confidenza mentale con il match
3. condizionato in maniera negativa l’autoefficacia delle Furie Rosse, cioè la fiducia che un atleta ripone nelle proprie capacità nell’affrontare un compito specifico, facendola venire meno da un momento all’altro.

In conferenza stampa Boris Diaw ha dichiarato: “Prima della partita ho detto ai miei compagni di crederci e di non avere rimpianti a fine gara. Sono orgoglioso di loro e felice per la vittoria. La nostra motivazione era quella di vincere, la loro invece di non perdere”. Complimenti a Boris, fresco vincitore del titolo NBA con gli Spurs. Stavolta, però, non è stato preciso nella comunicazione quanto lo è in campo: ha fatto intendere al mondo che esistono due tipi di motivazione una per vincere e una per non perdere. La motivazione è “l’espressione dei motivi che inducono l’individuo a compiere una determinata azione”. Alla partenza del match sia la Spagna che la Francia avevano la stessa motivazione, e poi la motivazione dipende dai valori personali, da ciò che l’individuo vuole fare, dalle sue competenze, da ciò che è in grado di fare, quindi la spinta motivazionale viene innescata ogni qualvolta l’individuo avverte che il suo equilibrio interno è stato modificato, avverte cioè un bisogno.

Probabilmente Diaw, senza interpretare troppo il suo pensiero, voleva intendere questo: la motivazione sportiva francese ha superato quella spagnola perché avvertiva il bisogno di autorealizzarsi in questa manifestazione, e per ribadire la vittoria all’Europeo 2013. L’autorealizzazione è un’aspirazione, individuale e di squadra, a divenire ciò che si vuole essere, sfruttando al massimo le proprie capacità tecniche e fisiche e mentali. Durante il match, i francesi sono stati più efficaci nel realizzare questi passaggi approfittando delle difficoltà che la Spagna ha manifestato.

Coach Sale Djordjevic (foto FIBA)

Coach Sale Djordjevic (foto FIBA)

Facendo riferimento alla Piramide delle aspirazioni di Maslow, per raggiungere il bisogno di autorealizzazione bisogna prima completare ed esaudire quelli fisiologici, di sicurezza, di affetto, di stima, per poi arrivare alla punta della piramide con l’autorealizzazione. La Spagna ha sbagliato, ma alzi la mano chi almeno una volta nella vita cestistica non è riuscito a concretizzare queste partite. Probabilmente ha smesso di migliorare durante il percorso ed affrontando questo match ha incontrato difficoltà di tipo tecnico (ha attacato solo con palla a Pau Gasol senza ruotare offensivamente dal lato debole, ha sviluppato poco il contropiede, ha avuto basse percentuali nel tiro da fuori) ma anche di tipo mentale (come richiedere ripetutamente la tutela degli arbitri e, in un’immagine finale, quando è stata ripresa la panchina spagnola, il linguaggio del corpo si mostrava già sconfitto). In pratica, gli atleti spagnoli a pochi minuti dalla fine erano entrati in una crisi di autogoverno, cioè una trasformazione all’interno di ogni atleta in cui si vanno a miscelare, come una bomba esplosiva, elementi negativi che influiscono sul futuro da giocare.

Uno dei nostri eroi del passato, Sasha Djordjevic, affronterà nuovamente l’America del basket, cosi come si verifico alle Olimpiadi di Barcellona ’92, ma vestendo “solo” i panni del coach. La Sebia è motivata.