È ormai ufficiale. Per quanto riguarda il sottoscritto queste Olimpiadi sono nate sono una pessima stella. Vi ho già raccontato delle peripezie con il computer, della serie quello vecchio è morto, il sostituto è stato fulminato assieme al router, che poi ho cambiato, il pezzo precedente l’ho scritto su un portatile imprestatomi da mio fratello, il quale nel frattempo ha resuscitato il primo computer, che ora funziona, ma è comunque attaccato alla canna dell’ossigeno e potrebbe definitivamente defungere in un qualsiasi momento. Risolta per ora questa grana domenica mattina, appena svegliatomi, ho acceso il televisore. Ma solo lui. Non si vedeva nulla, in quanto di notte si era bruciato l’occhio della parabola, per cui non arrivava nessun segnale. Grazie a Dio il mio antennista Stefano, mio ammiratore, in quanto ex cestista, è riuscito a venire lunedì per riparare il danno, però intanto domenica, per vedere le Olimpiadi, sono dovuto andare di pomeriggio da mio fratello e poi di sera, in qualche modo, ho visto l’atletica su Raiplay. Domenica mattina ha giocato i quarti la nazionale slovena di pallavolo che, per premio per avere battuto la Francia nel girone, si è beccata la Polonia che ha finalmente giocato da Polonia e ha vinto 3 a 1 con una mostruosa partita al servizio.
Lo so per sentito dire, però rompe molto i marroni che intanto la Francia ha incontrato i battibili tedeschi (già più volte battuti dagli sloveni) e si è catapultata in semifinale. Pazienza. Però, ripeto, rompe. Per fortuna nel pomeriggio sono riuscito a vedere la corsa in linea delle cicliste e mi sono divertito un mondo, come mi era successo il giorno prima per la cavalcata trionfale di Remco con la magnifica scena di quando ha dovuto cambiare bicicletta nel finale e, senza radio, chiedeva disperatamente al cameraman sulla moto quanto vantaggio avesse ancora. Fra le ragazze c’è stata la vittoria a gran sorpresa, ma con altrettanto puro merito, della ormai 31-enne americana Kristin Faulkner che nel finale ha letteralmente asfaltato gente come Lotte Kopecki e Marianne Vos (per non parlare della povera magiara Vas, fuori dal podio per mezza gomma). Mi sono chiesto chi diavolo fosse e ho scoperto una di quelle storie che tanto piacciono a me, perché dimostrano che lo sport è ancora qualcosa di umano e che non servono organizzazioni mostruose a monte per primeggiare, come fra l’altro dimostra Mondo Duplantis che ha alle spalle un imponente staff formato da papà, allenatore tecnico, e mamma, preparatrice atletica. In breve la ragazza è nata in un buco del mondo, la cittadina Homer in Alaska, figlia di ristoratori che, grazie all’intelligenza e la dedizione della ragazza e grazie anche a un’opportuna borsa di studio, sono riusciti a mandarla a fare il college nientemeno che a Harvard, dove ha scoperto di avere ottime doti atletiche (mai prima aveva fatto sport) diventando titolare nell’otto di canottaggio del college. Poi, una volta laureata e trovato un ottimo lavoro a New York (uno che esce da Harvard non ha problemi), per tenersi in forma ha cominciato ad andare quotidianamente a Central Park in bicicletta. Lì ha scoperto che andare in bici le piaceva, ha cominciato a allenarsi, a prendere parte a qualche gara e a vincerla alla grande. Poi da cosa nasce cosa, leggi anche un oro olimpico.
Della leggenda di Đoković ho visto solo la premiazione, ma mi è bastato per capire che questa vittoria ottenuta al tramonto della carriera è stata probabilmente, per quanto lo riguarda, il massimo traguardo raggiunto alla faccia di tutti i grandi slam e numeri uno per tot settimane, cosa questa che mi ha ulteriormente confortato testimoniando in modo sempre più vivo che, più uno è professionista, più è veramente dilettante nel cuore nel più puro spirito olimpico, in quanto va alle Olimpiadi solo per il suo gusto, per soddisfare la sua gente, insomma per diventare qualcuno nella storia del suo paese anche al di fuori di quanto guadagna, cosa che in situazioni del genere diventa totalmente insignificante, offensiva quasi. Come detto, la stessa cosa che mi aveva trasmesso il giorno prima Evenepoel. Inutile dire che l’assenza di Pogačar mi ha indispettito non poco, in quanto ci ha privato forse di un duello leggendario. In merito rispondo a una vostra domanda. Urška è per me, senza alcun dubbio, la miglior ciclista slovena al di fuori della naturalizzata polacca Bujak. Però nelle corse di un giorno i risultati migliori li aveva una tale Pintar, per cui hanno scelto lei, anche se qualche giorno prima la Žigart (miglior scalatrice, viste anche le torture che le infligge Pogi facendola salire di continuo sulla Turbie) aveva concluso il Giro al 12.esimo posto, il che significa che non è proprio ferma. Per questo sì, la Federazione slovena poteva, anzi doveva, secondo me, sceglierla, perché, primo, non era per nulla una bestemmia sportiva, e poi, secondo e soprattutto, così avrebbero avuto anche Pogi al via.
Passiamo ora alle note dolenti. Per farlo traduco letteralmente quanto è uscito oggi sul Primorski Dnevnik nella mia quotidiana rubrica (che un amico ha intitolato Bridge&Roll – mi conosce benissimo!), sperando che l’amico Jan, il capo dello sport del giornale, non se l’abbia a male e non mi citi in tribunale. L’articolo è comunque già uscito e quelli che volevano leggerlo l’hanno già fatto, per cui non dovrebbero esserci problemi. Allora:
“Ieri si sono giocati i quarti di finale del basket maschile e ovviamente tutta la mia attenzione si è concentrata su questo evento che, volenti o nolenti, si riferisce al mio sport, quello che conosco meglio e a cui ho dedicato più o meno tutta la mia vita sportiva. Finora ho visto due partite (le prime due, N.d.A) e devo affermare ufficialmente, dopo aver visto anche alcune partite dei gironi eliminatori, che in questa Olimpiade si gioca di gran lunga il peggior basket, se possiamo ancora chiamarlo così, a cui ho assistito da quando seguo questo sport, e cioè dall’Olimpiade messicana del ’68. Il fatto che si possa ancora chiamare basket dipende in massima parte dai meriti di una sola squadra, parlo della Germania, l’unica nella quale chi va in campo sa cosa si vuole da lui, dove i leader e i faticatori si sa benissimo prima chi siano, nella quale le guardie giocano da guardie, le ali da ali e i centri da centri. Ieri, dopo un primo quarto incomprensibilmente pessimo contro la Grecia, si sono presto ripresi e hanno vinto in scioltezza senza mai dare l’impressione di essere in difficoltà. In breve sono stati, come dicono dalle loro parti, almeno “Ein Nummer zu gross”, almeno di un numero più grandi degli avversari. Nella Grecia mi è molto piaciuto l’atteggiamento della loro stella e portabandiera Giannis Adetokunbo, che ha tentato in tutti modi di partecipare al gioco corale e di essere di esempio per i suoi compagni. Il problema è che il ragazzo se ne è andato troppo presto nell’NBA, per cui gli manca in sostanza tutta la tecnica di base del gioco di squadra ed è perciò, volenti o nolenti, quasi un corpo estraneo in una squadra formata tutta da giocatori che giocano il (vero) basket, quello europeo. Poi nel pomeriggio ho guardato Serbia-Australia, partita apparentemente drammatica, vinta dai serbi al supplementare con il canestro della vittoria segnato dalla loro stella Nikola Jokić, dopo che nel primo tempo, a seguito di un parziale di 20 a 0, gli australiani erano avanti addirittura di 24 e dopo che gli australiani erano arrivati al supplementare grazie a un tiro impossibile di Patty Mills all’ultimo secondo. Certo, drammatica, ma soprattutto perché in essa ho visto soprattutto un totale anti-basket (come in natura in presenza dell’antimateria, nella quale i protoni sono carichi negativamente e gli elettroni positivamente), nel quale il caos generale imperava e le squadre facevano con grande successo gara a chi riusciva a perpetrare la stupidità più gigantesca. Nulla di quanto succedeva sul campo mi appariva normale, nulla, ma proprio nulla, somigliava al basket che ho giocato, che ho poi studiato e alla fine anche insegnato, mi sentivo totalmente spiazzato, come se provenissi da un altro mondo e fossi precipitato su un pianeta sconosciuto. Alla fine sono rimasto immobile, guardando basito lo schermo e mi ha assalito un totale scoramento, perché mai in vita mia avevo ancora visto un simile stravolgimento del mio amato sport. Spero di avere ancora il tempo (e soprattutto lo spazio) per analizzare meglio le mie impressioni per poi meglio esprimermi e giustificare quanto scritto. Probabilmente sono ancora troppo sotto l’effetto di quanto ho visto, cosa a cui devo aggiungere la desolante impressione che ho avuto la sera prima seguendo la finale del 3×3, competizione nella quale valgono regole che secondo me dovrebbero direttamente portare in prigione, con getto della chiave il più lontano possibile, colui che se le è inventate.”
Che siamo in presenza dell’antimateria me l’ha confermato poi il risultato del terzo quarto di finale, nel quale la Francia ha battuto il Canada, risultato del tutto non pronosticabile alla luce dei valori delle due compagini. Il Canada ha scontato la classica giornata dei giocatori NBA nella quale sono senza tiro (succede a tutti e dunque qualche volta anche a loro) e dunque senza le spingarde da lontano non sanno che pesci prendere e cosa fare per rimediare. In tal modo alla Francia è bastato rinsavire un tantino, far giocare giocatori veri, normali direi, tipo Cordinier, Yabusele e soprattutto Lessort, giocatore di stile antidiluviano, in quanto, giocando da centro, va del tutto stranamente in entrata sotto canestro, è sempre a rimbalzo e soprattutto non tira mai da fuori, tenere ninnolo Wemba ai margini perché non facesse danni ed avere finalmente un Fournier utile e non deleterio (sembra che abbia finalmente fatto capire a Collet che è meglio che dia pace e lasci fare ai giocatori), per vincere. Della partita fra Stati Uniti e Brasile non ho visto nulla, perché evidentemente nulla poteva dirmi. Gli americani sono alti, forti, coordinati, corrono e saltano, ma soprattutto tutti tirano e segnano. Cosa si vuole di più? Che giochino anche a basket? Non esageriamo.