Per farmi vivo più spesso in questi giorni cruciali dei Mondiali c’è un grosso problema. Il mio administrator è in ferie in Marocco, per cui, come avrete notato, già il pezzo precedente è stato postato in modo fortunoso, e in realtà non sono riuscito a capire come possa averlo fatto da qualche tenda beduina nel deserto (a lui piacciono i viaggi alternativi), dove dubito che ci sia una grande connessione Internet. Eppure ci sarebbe molto da dire. Per adesso, sperando che riesca prima o poi a produrre un altro miracolo, mi attengo alla falsariga del pezzo scorso, semplicemente traducendo i miei due pezzi usciti sul Primorski mercoledì (sconfitta della Serbia) e giovedì (tracollo USA).

Come potrete vedere non ci sono andato giù particolarmente leggero. Premessa: in sede pronostico avevo scritto che Serbia-Argentina sarebbe stata “nema problema” e che in USA-Francia avrebbero vinto gli USA, perché in una partita sicuramente combattuta le palle lesse francesi avrebbero comunque trovato un modo per perdere.

Primo contributo:

“Non c’è stato problema. Per l’Argentina, ovviamente. Quando, durante la partita fra Spagna e Polonia, stavo ancora rimuginando su quanto avevo appena visto – e ho visto cose che mai umano aveva avuto modo di vedere – sono riuscito a capire finalmente cosa mi aveva lasciato tanto sconcertato. Ho concluso che la realtà è ancora molto peggio di quanto, pur nel mio cosmico pessimismo, in cuor mio (magari inconsciamente) pensassi. Come ho detto più volte e oggi lo solamente confermo, l’NBA attuale uccide l’anima cestistica del giocatore che vi gioca. Ed è stato proprio per questo, lo dico sommessamente, che ho messo da parte le mie simpatie (jugo) slave e ho, quasi provando un po’ di vergogna, goduto della vittoria degli argentini. Ha vinto infatti il basket, il basket sano, intelligente, combattivo, in definitiva umano. Gli argentini sono scesi in campo con una formazione che sembrava la rappresentativa di Lilliput opposta a Gulliver giganti. Devo confessare che i sudamericani mi facevano pena, in quanto mi ricordavano in modo struggente il mio Polet di una volta (la famosa squadra con nel roster due play, otto guardie ed un’ala molto piccola). E accanto a tutto ciò avevano nella posizione di centro un signore di mezza età con i capelli brizzolati che sembrava trovarsi lì per sbaglio, uscito da un torneo per veterani. E dopo è cominciata la partita: i lillipuziani sembravano uno sciame di vespe, difendevano in modo tanto fanatico quanto produttivo con una perfetta collaborazione fra tutti e cinque in campo, e in attacco giocavano in un modo talmente antico che i serbi sono andati fuori di testa, in quanto non si aspettavano che qualcuno pensasse di attaccarli in un modo tanto antidiluviano. Udite, udite: giocavano con un vero play che teneva in mano tutte le fila del gioco! E non solo, il transfuga dalle partite dei veterani dispensava lezioni di scuola cestistica a tutti i giganti serbi che non sapevano mai da dove sarebbe arrivato e cosa avrebbe fatto. Evidentemente non si erano mai trovati di fronte al vero basket, in quanto il signore di mezza età di nome Luis Scola giocava esattamente secondo tutte le regole, oramai finite nell’oblio, che mi avevano insegnato secoli fa su come dovesse muoversi un’ala forte. Veramente inaudito e rivoluzionario! Dall’altra parte il play Campazzo, che era fino a poco tempo fa una guardia “moderna”, leggi casinista, dopo un paio di anni di scuola a Madrid ha finalmente capito cosa deve fare un play e ora vi si attiene magnificamente. Gli argentini per tutto il tempo sapevano esattamente cosa volevano, hanno giocato in modo estremamente disciplinato e concentrato in difesa, in modo intelligente e ragionato in attacco, dove tutti sapevano in ogni momento chi beve e chi paga. In breve mi hanno entusiasmato.

Nello stesso momento devo però subito dire che ho provato vergogna per i serbi. Soprattutto perché hanno completamente tradito la loro tradizione di gioco bello, intelligente, brioso, anche furbo, il gioco che aveva come marchio di fabbrica la gioia per il gioco stesso. Voglio essere apposta crudele: a un dato momento è sembrato che di notte avesse fatto loro visita un chirurgo che li aveva trasformati in eunuchi. Non avrei mai creduto di vedere un giorno una Serbia così svogliata, pesante, tetra. L’esempio illuminante di quanto sto dicendo è Nikola Jokić, stella a Denver (può essere? – l’NBA non la guardo, perché mi rivolta). Il ragazzo ha un fisico bestiale ed è contemporaneamente sciolto e coordinato, ha talento cestistico ed una mano fatata. Però è una inguaribile totale pappamolla. Invece di schiacciare la palla in testa ai poveri nani argentini ad ogni azione, passava normalmente la palla nuovamente fuori con ciò non essendo di nessun aiuto. Ancora di meno in difesa, dove assieme al compagnone Bjelica (anche lui giocatore NBA) per la massima parte guardava l’anziano signore che riempiva il loro canestro in tutti i modi. E anche il tanto decantato Bogdanović ha sì fatto il suo compitino, ma da un  vero leader ci si attende molto di più. Potrebbe per esempio riguardarsi le immagini dell’ultimo quarto di Dejan Bodiroga nella finale del 2002 proprio contro l’Argentina (che era all’epoca incomparabilmente più forte di quella attuale, se non altro perché Scola era ancora giovane) per capire finalmente cosa voglia dire essere un vero leader. In breve: il cancro di nome NBA ha ucciso la Serbia. Riposi in pace.”

Secondo contributo, il giorno dopo:

“Deja vu. Già visto ieri, per cui non posso che ripetermi e non trovo nulla di nuovo da dire. Ieri ho detto che sono rimasto stravolto dalle carenze tecniche e dalla totale insipienza sia strategica che tattica dei giocatori dell’NBA. Ho detto anche che lo sapevo, e che proprio per questo non posso guardare quel circo, ma che però non potevo immaginare che la situazione fosse tanto grave. Ed è stata questa la ragione per la quale mi sono fatto ridere dietro pronosticando per la Serbia “nema problema” e che gli USA avrebbero malgrado tutto battuto la Francia. Mi sbagliavo, tremendamente, perché la situazione del basket mondiale è molto più seria di quanto pensassi. So benissimo che il mito dell’NBA è fortemente radicato soprattutto presso i giovani, ammaliati dalle acrobazie e dagli exploit atletici che vedono, indottrinati anche dalla poderosa macchina propagandistica dell’NBA che riesce brillantemente a vendere lucciole per lanterne. Per cui so anche che la mia guerra contro l’NBA è la battaglia di Don Chisciotte contro i mulini a vento, però so anche che devo insistere, perché se riuscirò anche ad uno solo ad aprirgli gli occhi perché possa vedere quello che sta accadendo sul serio, allora la mia guerra non sarà stata vana. Quello che voglio è che la gente che ha a cuore il basket guardi le partite dell’NBA per quello che sono in sostanza e che veda con i propri occhi e giudichi con la propria testa quanto vi sia di vero basket. Per me proprio non ce n’è.  

La rappresentativa USA per i Mondiali è stata messa assieme in fretta e furia e proprio tutte le grandi stelle hanno rifiutato di parteciparvi. Perché proprio tutte, quando ai precedenti Mondiali ce ne sono state sempre parecchie (per esempio Kevin Durant e, se vi interessa la mia opinione, proprio Durant, e solo lui, avrebbe potuto nel contesto giusto essere una stella anche ai tempi d’oro del basket americano, quello dei tre più grandi di sempre, Magic, Bird e Jordan), è una domanda interessante che meriterebbe un’analisi a parte. Però è lo stesso formata da giocatori molto in vista nei loro club e che, per quanto non siano superstelle, sono comunque molto quotati. Sono allenati dal miglior allenatore che hanno colà, in realtà l’unico che conosca e apprezzi il basket internazionale, per cui dovrebbero essere comunque una squadra molto forte, che esprime la scuola e la tradizione della culla e della massima superpotenza mondiale del basket. Oggi hanno giocato il quarto di finale contro la Francia. Anche la Francia è contaminata da giocatori NBA e perciò pensavo che gli americani avrebbero vinto, in quanto mi attendevo che i francesi perdessero la testa, che cominciassero a giocare in uno contro cinque e così via.  

Non ho però preso in considerazione il fatto che la Francia ha anche giocatori che non hanno avuto il modo di infettarsi completamente durante la loro permanenza laggiù e che sono tornati in casa per tempo (De Colo) e che il loro centro titolare Rudy Gobert è sì giocatore NBA, ma nel suo club fa esclusivamente il pulitore di tabelloni, specialista assoluto, e che dunque non poteva rovinare la Francia con strane iniziative personali. E, toh, solo questo è bastato. La partita è stata equilibrata come tutti (anch’io!) ci attendevamo, alla fine si è andati punto a punto e gli americani si sono messi a giocare come usa lì da loro con uno che prende la palla nelle vesti dell’uomo della Provvidenza, gli altri gli riconoscono il ruolo e se ne stanno impalati a vedere cosa fa, e lui si schianta contro la difesa avversaria schierata. E’ successo puntualmente: Gobert si è ritrovato in un basket a lui familiare e ha fatto quello per cui lo pagano profumatamente, cioè ha stoppato tutto quello che passava dalle sue parti, gli USA hanno perso palla dopo palla con pervicace costanza e alla fine hanno perso come totali (scusate) cretini, il che è precisamente quello che sono in termini cestistici. Incredibile, impossibile, inaudito, ributtante.

Poi l’Australia ha battuto la sorprendente Cechia in una partita bella e giocata correttamente da ambo le parti. E se anche quest’ultima ha perso contro una squadra che non mi meraviglierebbe affatto se arrivasse fino in fondo, è stato veramente rinfrescante vedere come si può giocare bene e in modo dignitoso ai massimi livelli anche con una squadra composta da giocatori oggettivamente mediocri, Satoranjski a parte.