Dopo due settimane di tour neanche fossi i Beatles finalmente un giorno da poter stare in panciolle e magari anche scrivere qualche riga.

Doverosa, innanzitutto, per ringraziare quelli che avete partecipato alla sconvenscion che intanto ringrazio per la bottiglia gigantesca che già fatica a stare in dispensa, ma soprattutto per la bellissima giornata che è passata in un baleno e della quale l’unica cosa che mi dispiace è stata che eravamo in un ambiente forse un tantino angusto, per cui era difficile muoversi e intrattenersi con tutti. È stata comunque la prima edizione della sconvenscion autunnale ed è andata onestamente al di là di ogni aspettativa, per cui penso che, ora che abbiamo trovato, mi pare, il periodo giusto, l’appuntamento potrebbe diventare fisso. Voi che ne dite?

 

Come ringrazio sentitamente tutti coloro che hanno avuto voglia e tempo di venirmi ad ascoltare a San Vendemiano con i quali mi scuso solamente per la mia prolissità, ma quando mi vengono offerti spunti che mi piacciono, normalmente parto senza freni né limiti, e quelli che sono venuti a Cento dove c’era anche coach Michelini in una serata che ha avuto solo un piccolo neo: io e il coach normalmente siamo sempre d’accordo, almeno sulle linee di base, su tutti gli argomenti, per cui per la massima parte della serata il contraddittorio è stato alquanto blando, essendo noi due più o meno sempre della stessa opinione. Peccato per quelli che non c’erano poi a cena, perché il coach è partito con una serie di aneddoti spassosissimi rivelando storie e retroscena veramente gustosi e illuminanti.

In tutto questo ovviamente senza dimenticare i deus ex machina che hanno messo in piedi queste due serate, e cioè gli amici Sergio Costantini e Alberto Pasqualin.

Passando a qualche argomento di basket mi sembra che in questo momento non si possa non parlare delle finestre per le nazionali. Ne abbiamo parlato già a Cento e per chi non c’era riassumo il succo di quanto abbiamo detto lì sia il sottoscritto che coach Michelini.

Partiamo da lontano. Per quanto alcuni tentino disperatamente e per ragioni a me incomprensibili a dimostrare (invano) il contrario, la popolarità, con l’indotto più fondamentale per ogni federazione che è quello di interessare e arruolare il numero maggiore possibile di nuove leve, di uno sport non può assolutamente prescindere dai successi della sua nazionale. Bisogna sempre avere in mente che per aumentare la popolarità di uno sport non serve convincere i già convinti, ma bisogna penetrare fra la gente che quello sport non conosce o se ne frega. E la nazionale è un magnete assolutamente inesorabile, nel senso che se la tua nazionale ha successo magari in uno sport minore, che ne so, il curling (a proposito, nel solco della discussione recente su questo blog, voi dove lo mettereste il curling?), è impossibile non appassionarsi e non provare simpatia per quelli (e per il loro sport) che così bene ti rappresentano con quella maglia e quello scudetto sul petto. Primo fatto. Per appassionarsi alla nazionale, sembra stupido e banale, bisogna vederla. Ovviamente in TV. Altrettanto ovviamente su qualche canale che sia facilmente raggiungibile da ogni famiglia media, normalmente uno dei primi che sono da tempo immemore dedicati (fino a quando?) alla TV di stato. E che soprattutto sia gratis. Per cui, secondo ogni logica che abbia un senso, compito primario e fondamentale di ogni federazione sportiva dovrebbe essere quello di assicurarsi, senza alcun tipo di condizione, che le partite della nazionale vadano su un facilmente accessibile canale in chiaro. Che è poi quello che fa il calcio, più che giustamente. Nella giungla della lotta a eliminazione fisica per l’accaparramento dei diritti televisivi del calcio c’è un punto fermo e irremovibile, che cioè le partite della nazionale italiana di calcio vanno sulla RAI. Tutte le altre dove vogliono, la nazionale no. Secondo fatto. Avvertenza: se contestate questi due fatti che a me sembrano poco più che assiomi, non occorre che leggiate avanti.

Gli sport sono millanta e ognuno chiaramente vorrebbe emergere e fare proseliti, per cui per emergere bisogna destreggiarsi e riuscire a occupare il posto al sole (leggi intanto andare in TV e, secondo, andarvi su un canale umano e a ore umane di un giorno umano), posto a cui tanti anelano. Per riuscirci bisogna essere competitivi (oltre ad aver gli uomini giusti al punto giusto per una normale operazione di lobbying, ma questo è tutto un altro e molto più delicato discorso), cioè offrire uno spettacolo degno. E poi possibilmente vincere, chiaramente, ma questo va da sé. Come riusciamo a convincere chi di dovere che stiamo proponendo uno spettacolo degno di essere visto? Non trovo altri metodi se non quelli di descrivere l’importanza dell’evento a cui partecipa la nostra squadra e il blasone e il valore momentaneo degli avversari che incontriamo. Se siamo sufficientemente abili potremo usufruire di un servizio decente, a un’ora decente, saremo visti da tantissima più gente (ripeto, fondamentale: non appassionata in partenza a quello sport, per noi il basket) rispetto a quella che segue i canali su satellite o a pagamento e, magari vincendo, avremo raggiunto il nostro scopo.

Passo ora alla situazione contingente. Si giocano due partite di qualificazione per i prossimi Mondiali. Trattasi di un pre-girone che qualifica tre squadre su quattro (dunque con un’importanza del risultato che definire fondamentale sarebbe esagerare un tantino) con due partite adesso e le prossime due fra due mesi, quando tutti si saranno già dimenticati di come sono andate a finire le prime due. Con conseguente suspence che non vi dico. Le partite della nazionale italiana sono su un canale a pagamento, del quale gli abbonati, grosso modo, sono attorno all’ 8-9% della popolazione italiana, tutti quelli che possono permettersi una parabola e dunque più abbienti e dunque per definizione comunque molto più vicini al basket. Fermo restando che il servizio tecnico che questa TV propone è praticamente anni luce migliore di quanto non faccia in occasioni analoghe la TV di stato, dettaglio comunque totalmente irrilevante rispetto al discorso che sto facendo, rimane il fatto che l’effetto proselitismo (ribadisco, unico veramente strategico per i successi di uno sport) è praticamente nullo. Tanto più che la prima partita, come giustamente ha sottolineato Lofoten (con cui mi scuso se gli ho dedicato poco tempo a Cento, ma spero che capisca che ero in un turbine – i miei amici del blog per me dovrebbero, e io normalmente mi sforzo di farlo, avere sempre e comunque la precedenza su chiunque altro), era in contemporanea con Pana-Real di Eurolega, partita altrettanto anni luce più stimolante di un’Italia-Romania onestamente inguardabile.  

Da un punto di vista utilitaristico, visto dalla parte italiana, è sicuramente un bene che queste sessioni per nazionali siano in realtà una cagata senza fondo con squadre raccogliticce e raffazzonate di giocatori di secondo piano o addirittura di veterani riesumati per l’occasione, in quanto in questo modo la nazionale italiana ha potuto battere addirittura nel tempio zagabrese dedicato a Dražen Petrović (che, povero, vedendo i suoi connazionali si sarà, più che rivoltato, rotolato nella tomba) la nazionale croata. Della quale non conoscevo neanche un giocatore, se non Planinić. Mai visti. Non so neanche dove giocano. Non devono essere squadre particolarmente importanti, visto che sono brocchi totali. Ora, io ho fatto il telecronista del campionato jugoslavo per 30 anni. Vi garantisco che nelle squadre minori croate una volta c’erano giocatori con i controfiocchi che non riuscivano a emergere e a diventare noti solo perché davanti avevano veri e propri fenomeni. Come c’erano in Serbia, Slovenia e in tutte le altre repubbliche sviluppate cestisticamente. Addirittura tu andavi a giocare in Dalmazia amichevoli contro squadre di luoghi ignoti che giocavano in Lega croata (Serie C) e ti trovavi davanti squadre con stature medie, ribadisco medie, superiori ai due metri, che poi in partita ti facevano mazzi vergognosi. Per cui vedere la Croazia domenica, scusatemi, ma mi ha fatto piangere. Letteralmente, di malinconia. Non credevo ai miei occhi.

Questo comunque lo so io e qualcun altro. Per la stragrande maggioranza degli italiani (e anche per qualcuno di voi) si è trattato di una grandissima vittoria (??) che testimonia dei progressi…del nuovo vento…della ripartenza dopo i tempi bui…eccetera. Per cui questa vittoria dovrebbe rappresentare un’importante spinta verso il rinnovamento dell’interesse per il basket. Già, ma chi l’ha vista? E quanti? E quanti hanno deciso dopo questa partita di iscrivere i propri bambini alle scuole di basket? Le risposte a queste domande sono le uniche che contano.

Dite: sì, ma intanto quelli che giocano meno hanno occasione di fare esperienza internazionale. Tipo Abass, a cui la Gazzetta dedica oggi una lunghissima intervista trionfante. Per quanto mi hanno insegnato e per come la vedo io, tu l’esperienza internazionale te la fai prendendo legnate nei denti da gente forte che ti fa subito capire che vento che tira nei quartieri alti, per cui o ti adegui e prendi le contromisure (vulgo progredisci tecnicamente e soprattutto caratterialmente), oppure rimani lì e dimostri di non essere capace di giocare ai massimi livelli. Tertium non datur. In mancanza delle suddette legnate le maramaldeggiate contro patetici brocchi valgono il tempo che trovano, cioè, scusate, molto poco più di niente. Quel pochissimo sarebbe la crescita della fiducia in se stessi che ha però un pericolosissimo contraltare: la meraviglia stupita e l’abbattimento che ti può cogliere in mancanza di un valido criterio di autovalutazione quando affronti finalmente uno vero e quello che tanto bene ti riusciva contro i brocchi improvvisamente non ti riesce più.

Diciamoci la verità: quando io leggo i roster della Croazia, della Spagna, della Francia, della Grecia e gli unici nomi che conosco sono quelli di giocatori che pensavo fossero da tempo in pensione, allora mi convinco che questo torneo è un’ignobile farsa che getta una macchia indelebile e imperitura sulla FIBA e sul fenomeno che la guida e che ora vorrebbe appellarsi addirittura alla Commissione europea per fare in modo che costringa l’Eurolega a dare i propri giocatori in nome di superiori interessi nazionali. Come si vede siamo a livelli tali che anche il grandissimo e mai troppo compianto Basaglia troverebbe grosse difficoltà a impedire l’arrivo di infermieri in camice bianco e con camicie di forza per il trasferimento coatto di tanta gente in un confortevole edificio dipinto di bianco. Fra l’altro, avete seguito le peripezie della squadra che ha giocato con il nome di USA? Sembra di essere tornati agli anni ’60, quando gli USA ai Mondiali erano la squadra del dopolavoro della General Motors.

Lasciamo stare la somma ingiustizia del fatto che, quando ci saranno i Mondiali e quando forse qualche nazione forte riuscirà a qualificarsi (la Croazia sicuramente no), i giocatori saranno tutti altri e i valori in campo saranno totalmente stravolti.

L’ho scritto e riscritto tante volte. Aver messo in piedi questa lotta, che neanche Brancaleone, di fionde e sassi contro missili e bombe atomiche non può che essere spiegata in due modi: o sono completamente e totalmente partiti di testa (come le ultime dichiarazioni mi fanno temere), oppure hanno in serbo qualche clamorosa sorpresa da tirare fuori all’ultimo istante con un piano tanto sottile da essere interpretato come una coglionata totale. Io comunque a questa seconda ipotesi, ci eravate arrivati?, non ci credo minimamente.