Dalla fine degli anni ’80 alla metà degli anni ’90, Seattle doveva essere il paradiso dei “pick’n’rockers”. Il grunge si formava nelle vie della città con Mudhoney, Nirvana, Soundgarden e tante altre band che avrebbero declinato un modo nuovo di interpretare la musica rock e contemporaneamente i SuperSonics entravano nel loro periodo d’oro pescando al draft nel 1989 Shawn Kemp e nel 1990 Gary Payton. Ovvero l’ossatura della squadra che nel 1996 contese il titolo a Sua Ariosità.
Gli unici a riuscire a superare indenni quel periodo d’oro, sdoganandosi al grande pubblico, sono stati però i Pearl Jam. La passione di Eddie Vedder e soci per la palla a spicchi è nota, come testimonia il fatto che il nome originario della band fosse Mookie Blaylock. Come nacque questo nome l’ha raccontato nel dettaglio nel 2008 il bassista della band, Jeff Ament, cestista di discreto livello che concluse la propria carriera all’Università del Montana per poi intraprendere la ben più fortunata carriera di rocker.
“Quando stavamo registrando il nostro primo album (Ten, in onore del numero 10 di canotta di Blaylock, ndr), avevamo 10 dollari da spendere al giorno. Così quando andavamo a pranzo nella bottega di fronte allo studio compravamo sempre un pacchetto di figurine. Non avevamo un nome, così prendemmo la figurina di Blaylock e la mettemmo dentro una cassetta con dentro il nostro nastro. Dovevamo andare in tour e ancora non avevamo scelto il nome così ci decidemmo a tenere Mookie Blaylock. Facemmo 10 date in tour con gli Alice in Chains con quel nome. Mookie non ci ha mai denunciato per questo, anzi ne fu felice. L’ho incontrato tempo fa, abbiamo fatto due tiri e abbiamo parlato. Abbiamo anche fatto un maglietta dei Pearl Jam con un disegno di lui sopra. Dobbiamo molto a Mookie”.
Gli devono talmente tanto che nel 2013, quando l’ex All Star ha avuto un gravissimo incidente stradale nel quale rischio seriamente la vita, gli dedicarono un post su Instagram con questa foto:
Tutti i membri della band sono grandi appassionati di basket. Ma il vero “cestista” del gruppo è senza dubbio proprio Ament. Nato e cresciuto in un piccolo centro del Montana, era tra i migliori giocatori della Conference nella quale giocava il suo college, ma certo era lontano dall’essere un top player di livello nazionale. La passione c’era, ma come per il basket c’era anche quella per la musica. Prima la chitarra, poi il basso, dal quale partì per formare, nel 1982, i Green River, la sua prima band quando era appena sbarcato a Seattle.
Formando il nucleo dei Pearl Jam, Jeff condivide con Vedder la passione per il basket, giocano spesso uno contro uno quando non suonano. Una amore genuino per la pallacanestro, non solo per i Sonics dei quali sono ovviamente tifosi (Blaylock non ha mai giocato nemmeno nei paraggi di Seattle, per esempio), che però non è molto cool quando sei all’interno di una scena culturale, quella grunge, che rifiuta l’attività fisica in toto. Eloquenti le parole che Kurt Cobain e Courtney Love sputarono alle spalle di Ament prima di uno show: “Vai a giocare a basket con Dave Grohl!”.
Comunque, il fatto che i Pearl Jam fossero fan dei Sonics non significava necessariamente il contrario. Ament fu testimonial con Shawn Kemp per delle foto che dovevano apparire su un poster che la franchigia avrebbe regalato ai fan. Ma “The Reign Man” neanche sapeva chi fossero. “Per me fu un emozione – ricorda il bassista della band in un’intervista di qualche tempo fa– ma fu ancora più emozionante partecipare al primo Rock’n’Jock con Chris Mullin, Mitch Richmond e Reggie Miller. Era il punto più alto della mia vita: in campo con giocatori Nba? Mi state prendendo in giro?”.
Amore e interesse per il gioco non si sono spente negli anni per Jeff e i Pearl Jam, che hanno dedicato una canzone pure a Kareem Abdul Jabbar dal titolo Sweet Lew, contenuta come outtake nell’album del 2000 Binaural e poi nella raccolta del 2003 Lost Dogs. “Credo sia stata votata la nostra seconda peggior canzone di sempre – scherza ma non troppo il buon Ament – l’ho incontrato al mio secondo Rock’n’Jock, dove era l’allenatore della mia squadra. Ero eccitatissimo. Ho preso coraggio e gli ho detto: ehi Kareem, voglio solo dirti che sei stato una grande ispirazione per me. Lui mi rispose: è grandioso! Poi si girò e se ne andò, lasciandomi di sasso”.
Un pezzo che si scosta molto dalla tradizione dei Pearl Jam, con un groove oscuro e vagamente funky e proprio la voce di Ament a invocare l’ode laica a “Mister Sky Hook”, che lo eleva più in alto anche di Chamberlain.
You could take ‘em all to school, you could fly
Wilt the stilt had nothing on you.
E poi alcune pennellate della carriera di Lew Alcindor, nome di Kareem prima della conversione.
Lambchops and afro-do, Milwaukee Bucks and a barbecue, number 33 just like you.
E nella strofa successiva:
A Laker trade their bobby-d for a house, a guru by the sea.
A little help from 32, showtime, and Worthy
Those were the days, pre-investment spree”
E poi la confessione d’amore:
I grew up trying to copy you, Bruce Lee, and a kung-fu.
Abbiamo parlato nel pezzo su Win Butler della disavventura del naso rotto di un fan durante una partitella con membri degli Arcade Fire e dei Pearl Jam, ma più di recente, un mesetto fa, la band di Seattle è tornata a prendere la palla in mano durante un concerto a Berlino. Non prima o dopo il concerto, proprio durante!