Pellegrinaggio nella terra del basket più bello e feroce, conoscendo luoghi e racconti legati a campioni che hanno fatto la storia della pallacanestro italiana, europea e mondiale.

La prima parte la trovate qui.

Il monumento a Mirza Delibašić

Il monumento a Mirza Delibašić

Dopo aver visitato Lubiana e Zagabria il nostro viaggio riprende verso la sua parte più selvaggia e autentica. Lasciamo l’Unione Europea ed entriamo in Bosnia-Erzegovina, il paese che ha più sofferto durante la Guerra dei Balcani e che, per via della fede musulmana di una significativa parte della sua popolazione (circa il 45%), rappresenta una specie d’intruso nella cristiana Europa. Prima di giungere a Sarajevo, ci dirigiamo verso Mostar, la città natale di Dražen Dalipagić, un autentico capocannoniere che mostrò il suo talento anche in Italia. Dopo aver praticato calcio, pallamano e pallavolo, alle soglie dei vent’anni, si dedicò completamente alla pallacanestro dando fin da subito spettacolo nella locale Lokomotiva. Il selezionatore della Nazionale Ranko Žeravica, fortemente legato al Partizan, andò a Mostar per discutere con i responsabili del suo club e li convinse a lasciar partire il giocatore per Belgrado. Scoppiò un caso diplomatico. La Federazione della Bosnia-Erzegovina non aveva intenzione di farsi “scippare” Dalipagic e inizialmente non concedette il nulla osta per il trasferimento. Sulla vicenda intervenne il massimo organismo federale dell’epoca, con sede a Belgrado, che con assoluta autorevolezza stabilì che Dalipagic poteva andare al Partizan. Questo aneddoto ci fa capire quanto la Serbia fosse la Repubblica più politicamente potente della ex Jugoslavia. Praja, insieme a Dragan Kicanovic, fece vincere al Partizan due campionati e due Coppe Korac. Nel campionato italiano ha vestito le canotte di Venezia, Udine e Verona. Nella città lagunare ha vissuto la sua stagione più scintillante, quella del campionato 1981-82, che terminò con una media realizzativa di 42,9 punti a partita (all’epoca non era ancora stato introdotto il canestro da tre punti). Mostar non è famosa solamente per aver dato alla luce questa macchina da canestri, ma è celebre anche per lo “Stari Most” (letteralmente Ponte Vecchio) che è stato uno dei simboli della guerra balcanica. Questo affascinante ponte, che scavalca il fiume Neretva, collega l’argine occidentale, di dominazione croata, a quello orientale, di dominazione musulmana. Il 9 novembre del ’93 un mortaio croato lo distrusse e soltanto nel 2004 venne ricostruito, utilizzando gli stessi materiali, una pietra locale chiara detta “tenelija”, e le stesse tecniche di quando venne innalzato originariamente nel XVI secolo. Mentre ci avviciniamo allo “Stari Most” veniamo risucchiati nel vortice generato dai tanti visitatori provenienti dalla turistica Dubrovnik. Giungiamo a destinazione in tempo per assistere allo spettacolo di un “Icaro di Mostar”. Un giovane tuffatore sta per lanciarsi dal punto più alto del ponte, posto a 24 metri di altezza dal pelo dell’acqua. Un’antica tradizione che continua a restare in vita, grazie alla generosità dei turisti che elargiscono gradite offerte ai giovani temerari del club dei tuffatori. Il ponte vecchio rappresenta simbolicamente il punto d’incontro tra le cultura cattolica e quella musulmana. Due mondi diversi che possono coesistere e vivere in armonia tra di loro, come sta accadendo a Mostar in questi ultimi anni. Ci fermiamo in un bar e ordiniamo il “bosanska kahva”, il caffè alla turca che va bevuto a piccoli sorsi. Posiamo la tazzina sul tavolo e riprendiamo il cammino, in direzione Sarajevo. Mentre percorriamo la E73 e guardiamo dai finestrini della nostra

Il bosanka kava

Il bosanka kava

Peugeot 106 il paesaggio bucolico attorno a noi, la mente si sofferma al massacro di Srebrenica, il secondo più grande genocidio della storia europea dopo quello degli ebrei compiuto dai nazisti. 8.372 musulmani bosniaci vennero uccisi, l’ 11 luglio 1995, dalle truppe serbo-bosniache agli ordini del generale Ratko Mladić e dai gruppi paramilitari che facevano capo ad Arkan. Una strage, avvenuta non molto lontano dall’Italia, che non è stata posta al centro dell’interesse dell’opinione pubblica a causa di alcuni aspetti oscuri relativi al tardivo intervento da parte dell’ONU. Quando arriviamo nella capitale, c’è un clima di festa prodotto dal Sarajevo Film Festival, uno dei più famosi festival cinematografici d’Europa. Ci dirigiamo verso il centro e nel frattempo vediamo sfilare accanto a noi i due grattacieli rettangolari dell’Unitic, che per anni hanno rappresentato, con i suoi vetri rotti ora invece perfettamente ripristinati, l’emblema della città sotto assedio. Sarajevo è una città profondamente multi confessionale e rappresenta un mix di razze, religioni, culture, odori e visioni. A poche centinaia di metri tra loro potrete trovare la moschea di Baščaršija, la Vecchia Chiesa Ortodossa, la Chiesa cattolica di Sant’Antonio e la sinagoga ebraica. Quattro religioni, quattro luoghi di culto e una sola città a custodirli. Il cuore di Sarajevo risiede nella Piazza dei Piccioni con la sua famosa fontana in stile moresco. Ci spostiamo verso il monumento in onore di Mirza Delibašić, il più grande giocatore jugoslavo di tutti i tempi dopo Kresimir Cosic, secondo Sergio Tavcar, lo storico giornalista di Telecapodistria. Delibašić aveva il vizio di scolarsi ogni mattina un bicchierino di “rakija”, la micidiale grappa jugoslava, e fumava circa un pacchetto di sigarette al giorno. Nonostante non fosse propriamente un modello di vita sportiva, il suo talento era cristallino e il suo futuro sembrava tingersi di bianco rosso perché era destinato a giocare in Serbia, nelle fila del Crvena Zvezda (la Stella Rossa di

Il ricordo delle 8372 vittime della strage di Srebrenica

Il ricordo delle 8372 vittime della strage di Srebrenica

Belgrado). Ad impedire che la Bosnia-Erzegovina perdesse un altro campione dopo Drazen Dalipagic ci pensò un giovane montenegrino: Bogdan Tanjevic. Nel 1972 Boscia andò a casa di Delibašić, a Tuzla, e dopo averlo convinto con la sua dote da imbonitore, lo imbarcò in macchina e lo portò Sarajevo poche ore prima che arrivassero gli emissari del Crvena Zvezda. La scelta si rivelò vincente perché il Bosna di Tanjevic, che aveva nel ruolo di playmaker l’attuale allenatore del Bayern Monaco Svetislav Pešić, vinse due scudetti e, nella stagione 1978-79, una Coppa dei Campioni a Grenoble contro la Ignis Varese. In quella partita Delibašić segnò 30 punti rendendo inutile il trentello di Bob Morse e i 27 punti di Charlie Yelverton. Il successo del Bosna fu accolto in modo trionfale a Sarajevo e la pallacanestro sfondò anche in quella che era considerata una regione totalmente filo calcistica. Delibašić diventò “Kinđe”, il re di una intera Repubblica. Decidiamo di andare a visitare la Skenderija, successivamente ribattezzata Dvorana Mirza Delibašić. Questo Palazzo dello Sport, esteriormente, non lascia spazio a fronzoli e a orpelli come la bellissima Stožice Arena di Lubiana, ma al suo interno ci regala una inaspettata sorpresa. Scopriamo che la sera si sarebbe disputata la finale dei campionati europei under16 di Division B tra i padroni di casa della Bosnia-Erzegovina e la Danimarca. Non incontriamo particolari difficoltà ad ottenere un accredito last minute sfruttando lo scarso numero di richieste pervenuto. Il giocatore più atteso è Nedim Đedović, il fratellino di quel Nihad che ha giocato nella Virtus Roma. Per la cronaca ha vinto la Danimarca 72 – 69 e il premio di MVP è andato meritatamente a Jacob Larsen, un lungo di cui sentiremo parlare a lungo. Đedović non ha retto la pressione di dover vincere da leader e ha concluso la sua gara con un deludente 7 su 21 al tiro. Quello che ci rimarrà per sempre impresso nella memoria sarà l’atmosfera elettrizzante

La Skenderija

La Skenderija

percepita durante il tentativo di rimonta della Bosnia-Erzegovina del secondo tempo. Il pubblico di casa sospingeva con le proprie grida il pallone dei propri beniamini e faceva tremare i polsi degli avversari. Uno spettacolo del genere si può assaporare soltanto in pochi palazzetti in tutto il mondo. Salutiamo Sarajevo, dobbiamo affrontare l’ultima tappa: il Kosovo e la Serbia.

 

(il viaggio continua, il 27 Luglio)