Prima parte QUI

Dopo aver visitato Zara giungiamo a Sibenik.

Si tratta della più antica città che sorge sul mar Adriatico ed è soprannominata la “Piccola Genova” per il suo labirinto di stradine e calle. Girando tra le viuzze lastricate e le case costruite una sull’altra si arriva alla Cattedrale di San Giacomo, la più grande e una delle più belle di tutta la Croazia. Oltre alla sua vastità, una delle principali caratteristiche della cattedrale risiede nel regio che circonda esternamente l’abside centrale con le sculture di 71 teste di abitanti della città dell’epoca che esprimono diversi stati d’animo: felicità, preoccupazione, ira, ecc.

La statua decicata al giovane Drazen Petrovic (foto Marco Bogoni)

La statua dedicata al giovane Drazen Petrovic (foto Marco Bogoni)

A Sibenik ha mosso i suoi primi passi Drazen Petrovic, il giocatore jugoslavo più conosciuto nel mondo. Era il fratellino minore del famoso Aza Petrovic del Cibona e la sua ascesa cominciò molto presto: a 15 anni e mezzo si allenava regolarmente con la prima squadra del Sibenka che in quel periodo era guidata, nel ruolo di allenatore-giocatore, da Zoran Slavnik, lo storico ex playmaker della Stella Rossa di Belgrado visto anche a Caserta. Petrovic non era stato dotato da Madre Natura di un fisico creato per il basket. Una malformazione congenita alle anche gli creò non pochi problemi a trovare all’inizio il corretto equilibrio. Da bambino il suo soprannome era “kamenko” che significa pietraio, nel senso che il suo tiro a canestro somigliava al lancio di una pietra. Il principale fattore che lo trasformò in un campione fu la sua ossessione per il basket. Allenamento, allenamento e ancora allenamento. Tutti i giorni si svegliava alle 5 del mattino, andava in palestra di cui aveva le chiavi per una sessione individuale di palleggio e tiro e poi si dirigeva a scuola. Nel pomeriggio si allenava prima con i cadetti, poi con gli juniores e infine con la prima squadra. Drazen, al contrario di suo fratello Aza che era un ragazzo estroverso, aveva un carattere complicato. Era timido e introverso e solo con un pallone da basket in mano riusciva ad esprimere la propria personalità. Sfiorò l’impresa di portare il Sibenka al titolo al termine di una delle serie finali più controverse di sempre. Nel 1983 la finale tra Sibenka e Bosna Sarajevo venne decisa in gara 3 che si disputò a Sibenik. La partita fu punto a punto e a tre secondi dalla fine, il Sibenka ebbe il possesso in attacco sul -1. La palla ovviamente andò a Petrovic che ben marcato fu costretto a prendersi un tiro dalla lunga distanza

Foto Marco Bogoni

Foto Marco Bogoni

che sbagliò. Il Bosna era in delirio e tutti volarono a metà campo a festeggiare, ma l’arbitro Matijevic (di Zagabria…) si avviò verso il tavolo per segnalare che su Petrovic era stato commesso fallo. Drazen segnò i tiri liberi e per una sera il Sibenka fu campione. Il Consiglio direttivo della Federazione si riunì e giudicando totalmente errato quel fischio arbitrale decise di far rigiocare la gara in campo neutro. Il Sibenka non accettò mai quella decisione, non si presentò allo spareggio, e così al Bosna bastò segnare un canestro dopo la palla a due in assenza della squadra avversaria per conquistare il terzo e ultimo titolo della sua storia.

Petrovic non dovette attendere molto per cominciare ad inanellare successi e trofei. Si trasferì al Cibona Zagabria in cui giocava il fratello Aza. Nella Lega Jugoslava segnò 43,3 punti di media a partita (con un high di 112 punti realizzati contro l’Olimpija Ljubljana), trascinando la squadra alla conquista di 2 Coppe Campioni, 1 European Cup, 4 scudetti jugoslavi, più varie coppe nazionali e titoli personali. L’introduzione del tiro da tre punti diede ancora più forza alla squadra della capitale croata che aveva ottimi tiratori come Nakic e Usic, oltre ovviamente ai fratelli Petrovic. In quegli anni, in Jugoslavia, l’età minima per espatriare era 27 anni (in origine il limite era fissato a 30 anni), età alla quale si pensava che il giocatore avesse ormai dato il meglio di sé e che dunque non poteva più servire alla patria. L’importanza e la fama permise a Drazen Petrovic ad avere una deroga su tale regola e così poté accasarsi in Spagna al Real Madrid dove continuò a vincere. Nel 1989 conquistò la Coppa delle Coppe contro la Snaidero Caserta mettendo a referto ben

Dvorana Baldekin (Foto Marco Bogoni)

Dvorana Baldekin (Foto Marco Bogoni)

62 punti. La sua ascesa continuò in Nba con le canotte di Portland Trail Blazers e New Jersey Nets. Le imprese nella lega americana sono note. Solamente un destino beffardo lo ha fermato il 7 giugno 1993 su una strada tedesca, nei pressi di Denkendorf, privando troppo presto il mondo di uno dei primissimi giocatori che stava riducendo la distanza che separava Europa e Stati Uniti. La statua di Petrovic si trova vicino al palazzetto di Sibenik, il Baldekin, un piccolo hangar con i seggiolini arancioni che fungeva da classico sesto giocatore. Petrovic è rappresentato da bambino, seduto su una panchina, che guarda il pallone ai suoi piedi. Alle sue spalle c’è il campetto dove spesso Drazen si allenava e dove ora ci sono due sue gigantografie appese al recinto che delimita lo spazio del campo da basket. L’essenzialità della statua ben rappresenta l’assoluto connubio con la pallacanestro che ha contrassegnato tutta la vita del Mozart dei canestri.

Il nostro viaggio prosegue verso l’estremo sud della Croazia, verso Dubrovnik, la perla dell’Adriatico. Seguendo la strada che costeggia il mare dobbiamo attraversare la Bosnia-Erzegovina che possiede un breve tratto di costa, lungo circa 23 km attorno alla cittadina di Neum, e che costituisce il suo unico sbocco al mare. Fino agli anni ’70 del XIX secolo, il nome ufficiale fu Ragusa poiché la città venne fondata col nome di Ragusium nella prima metà del VII secolo ad opera degli abitanti della vicina città di Epidaurum (l’attuale Cavtat) in fuga dalle invasioni degli Slavi e degli Avari. Oggi Dubrovnik è la principale attrazione turistica della costa croata. L’estrema bellezza deriva dal suo centro storico che figura nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO. Facciamo l’imperdibile giro sulle sue mura, edificate nel 13° secolo. Il percorso ad anello ci permette di ammirare gli splendidi scorci sull’Adriatico e sul Porto Vecchio. I fan della celebre serie televisiva “Il trono di Spade” potranno riconoscere in questi luoghi la leggendaria “Approdo del Re”. Dalle mura è possibile vedere i due playground

Playground a Dubrovnik (Foto Marco Bogoni)

Playground a Dubrovnik (Foto Marco Bogoni)

del centro storico: quello dal manto verde-blu fa parte di un complesso scolastico, mentre l’altro, il più famoso e fotografato, ha i canestri non posti uno di fronte all’altro. La particolarità e il contesto di questo playground lo rendono uno dei campetti più famosi del mondo. Lo sport della città è la pallanuoto. La “Divlja Liga” (lega selvaggia) è l’evento sportivo per eccellenza del luogo. Si tratta di una specie di palio per rioni che si gioca per tutta l’estate nel porto e per il quale vigono, appunto, regole selvagge. Nonostante il citato predominio della pallanuoto tra gli sport cittadini, il seme del basket è riuscito a germogliare anche a Dubrovnik. In questa città è nato Andro Knego, il lungo del Cibona Zagabria, visto anche in Italia con la canotta della Sharp Montecatini. Non particolarmente alto, né robusto, Knego aveva movimenti felpati, un tiro eccellente e soprattutto era un giocatore estremamente concreto dall’ottimo rendimento. A Montecatini collezionò 15,7 punti e 7,5 rimbalzi di media a stagione e i tifosi toscani se lo ricordano ancora per la sua solidità e per l’enorme quantità di peli che ricoprivano il suo corpo. Spostandoci al basket contemporaneo, Dubrovnik ha dato alla luce il centro del Barcellona Ante Tomic, l’attuale ala di Venezia Hrvoje Peric e la stellina degli Orlando Magic Mario Hezonja, rilevandosi una terra fertile per i giganti.

Risaliamo a nord per l’ultima tappa del nostro viaggio, Spalato, che vi racconteremo nella prossima puntata.