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Il campanile della cattedrale di San Doimo (Foto Marco Bogoni)

Il campanile della cattedrale di San Doimo (Foto Marco Bogoni)

Siamo all’ultima tappa del nostro viaggio: Spalato.

Questa città, dotata di uno dei porti più importanti del Mar Adriatico, è sorta attorno al Palazzo di Diocleziano, la dimora dell’Imperatore romano. Nel 305 d.C. Diocleziano decise di abdicare, di rinunciare al proprio titolo (unico caso nella storia imperiale romana) e di ritirarsi dalla vita politica trasferendosi nel proprio palazzo a Spalato. In origine il Palazzo aveva un accesso diretto al mare e le sue terme di acqua calda furono uno dei motivi che spinsero Diocleziano, profondamente malato, a passare gli ultimi anni della sua vita a Spalatum. Oggi il Palazzo di Diocleziano, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, costituisce il centro storico di Spalato e il campanile della cattedrale di San Doimo, l’edificio che prima del VII secolo fu il mausoleo di Diocleziano, è diventato il simbolo della città.

Spalato è una città che vive di sport e che, nel corso della storia, ha sfornato tanti campioni in diverse discipline. La società sportiva più famosa è la squadra di calcio dell’Hajduk, del resto il “balun” è il primo sport cittadino. Il tennis viene praticato da una minima parte della popolazione, quella benestante ed erede della vecchia borghesia cosmopolita, che ha prodotto Nikola Pilic, Goran Ivanisevic e Mario Ancic, nati praticamente tutti sulla stessa via a pochi metri di distanza l’uno dall’altro.

Nel 1948 la sezione di pallacanestro della polisportiva Hajduk si separò e diventò il KK Split. I successi non arrivarono subito, bisognò attendere che sopraggiungesse uno sponsor danaroso come

Rato Tvrdic (Foto Marco Bogoni)

Rato Tvrdic (Foto Marco Bogoni)

la fabbrica locale di materie plastiche Jugoplastika, che lasciò il suo marchio sulle canotte per ben ventitré anni. Si tratta di una delle sponsorizzazioni più longeve della storia della pallacanestro, paragonabile a quella della Scavolini in Italia. Il primo storico titolo, che usciva per la prima volta dal triangolo Belgrado-Lubiana-Zara, portò la firma della guardia Ratomir Tvrdic, dell’ala Damir Solman e soprattutto del centro Petar Skansi, un giocatore dotato di un fisico forte come la roccia e di una testa molto pensante che gli permise di intraprendere una brillante carriera da allenatore una volta appese le scarpe da gioco al chiodo. Skansi ha vagato su tante panchine italiane, Pesaro, Fabriano, Venezia, Roma, Treviso e Fortitudo Bologna e nel 1992 ha guidato la Benetton al suo primo scudetto. Il giocatore di maggior talento di quella formazione biancoverde era un altro croato, nato a Spalato: Toni Kukoc. Venne scoperto da un

allenatore delle giovanili del KK Split mentre giocava in spiaggia al “picigin”, un gioco collettivo, praticato nell’acqua bassa della spiaggia di Bacvice, in cui i giocatori si passano una pallina con un solo colpo della palma della mano. I giocatori devono cercare di mantenere la palla nell’aria quanto più possibile prima che essa cada. Su quella spiaggia, seppur magrissimo e altissimo, Kukoc mostrò una straordinaria abilità manuale. Toni, aveva cominciato, come tutti i giovani a Spalato, con il calcio, ma poi era passato al ping pong dove stava ottenendo buoni risultati. Non ci mise molto tempo per innamorarsi della pallacanestro e per capire che quello sarebbe stato il suo sport. Sul parquet, nonostante fosse il più alto, inizialmente giocava da playmaker distribuendo passaggi che nessuno immaginava potessero non solo essere eseguiti, ma neppure concepiti. Nelle giovanili della Jugoplastika giocava anche un altro ragazzo dal futuro

Dvorana Gripe (Foto Marco Bogoni)

Dvorana Gripe (Foto Marco Bogoni)

radioso: Dino Radja. Alto e grosso, ma anche felpato e reattivo, malgrado la sua corpulenza. Aveva un gran tempismo per il rimbalzo, una vasta gamma di movimenti sotto canestro con scelte sempre giuste e un tiro più che affidabile. Grazie alla promozione in prima squadra di questi due gioiellini delle giovanili, all’arrivo del capocannoniere Dusko Ivanovic e alla saggia guida del giovane belgradese Bozidar “Jozo” Maljkovic, nacque una delle formazioni più forti della storia della pallacanestro europea che conquistò tre Coppe Campioni consecutive. A completare la leggendaria Jugoplastika Spalato ci pensarono i lunghi Goran Sobin e Zan Tabak e la guardia dal tiro un po’ meccanico, ma più che buono Velimir Perasovic. La terza Eurolega fu vinta nonostante gli addii di Radja (ai Boston Celtics) e di Ivanovic (in Svizzera). I sostituti si dimostrarono ugualmente all’altezza. Si trattava di giocatori che successivamente avrebbero fatto le fortune di alcuni club italiani: Zoran Savic e Petar Naumovski. Il coach Maljkovic rispondeva così a chi gli domandava il motivo per il quale Kukoc partisse quasi sempre dalla panchina: “E’ ovvio, essendo lui capace di giocare dappertutto, dapprima vedo in quale ruolo siamo carenti e poi lo faccio entrare per riempire il buco”. Parole ironiche, però esaltavano la reale duttilità di Kukoc, uno dei primi giocatori all-around, capaci di giocare con efficacia in più ruoli. Nel 1991 il KK Split, ormai targato Pop ’84, vinse il suo quarto scudetto battendo in finale il Partizan Belgrado. L’ultima azione della partita decisiva fu un contropiede, dopo palla recuperata, di Toni Kukoc che andò a schiacciare dopo un giro su sé stesso di 360 gradi. Quello fu l’ultimo canestro dello storico campionato jugoslavo chiamato “Yuba Liga”. La guerra era ormai alle porte e Kukoc volò a Treviso completando così la fuga dalla Jugoslavia dei suoi massimi campioni.

Gli stendardi della Dvorana Gripe (Foto Marco Bogoni)

Gli stendardi della Dvorana Gripe (Foto Marco Bogoni)

Noi completiamo il nostro viaggio a Spalato e in Croazia andando a visitare il Palazzetto delle Gripe che divenne famoso per suoi canestri che venivano fatti regolarmente tremare mentre gli avversari tentavano di tirare i tiri liberi. La struttura si trova all’interno di un area polifunzionale. Tra uffici e palestre dedicate alle arti marziali, alla pallamano, al tennis e al fitness troviamo l’accesso alla palestra. Incontriamo un’anziana signora che ci viene incontro e che non parla una parola d’inglese. Non senza qualche difficoltà riusciamo ad accedere al campo, in alto svettano gli stendardi dei trofei della Jugoplastika, la formazione che diede vita ad una nuova era della pallacanestro. Unendo difesa, gioco disciplinato e talento creativo dei suoi giocatori la Jugoplastika aveva ridotto la distanza tra club europei e franchigie Nba, come dimostrano le sue partecipazioni al McDonald’s Open. L’edizione che si svolse, nel 1989, al PalaLottomatica di Roma vide la formazione di Kukoc e Radja sfiorare la vittoria contro i Denver Nuggets di Fat Lever e Walter Davis. La guerra in Croazia portò tutti i giocatori serbi che militavano nelle squadre croate ad abbandonare precipitosamente i loro club, alcuni spinti da motivi patriottici, altri dal semplice fatto che, essendo serbi, rischiavano pericolose ritorsioni ai loro danni dalle teste più calde della popolazione croata. La Jugoplastika si dissolse lasciando, però, il seme del basket in Dalmazia, la terra che ha dato il maggior contributo all’evoluzione della pallacanestro europea.

Se vi è piaciuto questo racconto e volete approfondire la storia dei paesi dell’ex jugoslavia, sempre vista con gli occhi di un malato di pallacanestro, vi consigliamo la lettura di “Bombe e Bombaroli” di Roberto Cornacchia.

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