Cosa hanno in comune Drazen Petrovic, Kresimir Cosic, Toni Kukoc, Dino Radja e Andro Knego, oltre ad essere dei giocatori che hanno scritto alcune delle pagine più memorabili della storia della pallacanestro? Provengono da quel lembo sottile di terra, corrispondente al versante marittimo delle montagne balcaniche che costeggiano il mare Adriatico, chiamato Dalmacija. Il nome di questa regione della Croazia deriva dalla parola illirica delmë, che significa pecora. Su questa terra, originariamente di pastori, gli Dei del basket hanno posato i loro occhi. Il gioco del basket è cresciuto e si è evoluto alla Dvorana Jazine, alla Dvorana Gripe o alla Dvorana Baldekin, storici palazzetti che ancora oggi trasudano epicità. I capoluoghi della Dalmazia sono Zara, Sebenico, Spalato e Dubrovnik. Siamo andati a visitarli per ripercorrere le strade calpestate da alcuni dei più grandi campioni della pallacanestro europea.
Zara dista poco più di 300 chilometri dal confine italiano e la città vecchia, racchiusa in una piccola penisola, è ricca di storia e di fascino. Una delle particolarità di Zara è l’organo del mare (potete sentire il suo suono cliccando qui: https://www.youtube.com/watch?v=myV3E9uREuI), un’icona moderna diventata simbolo della città. Si tratta di un’opera architettonica realizzata nella parte sommersa della riva cittadina, dove le onde del mare, infrangendosi e fluendo attraverso le canne installate sott’acqua, producono un suono incredibile che si diffonde per tutto lo spazio della riva. Un’altra curiosità della città è il “Saluto al Sole”. Si tratta di un vetro multistrato, del diametro di 22 metri, che protegge 300 pannelli solari fotovoltaici che di giorno assorbono l’energia del Sole e di notte si illuminano dando vita ad un gioco di luci in simbiosi con il ritmo delle onde del mare. Alfred Hitchock ha definito il tramonto di Zara il più bello del mondo. La capitale della Dalmazia è ricca di canestri sparsi in ogni angolo della città, del resto uno dei motti degli zaratini è questo: “Dio ha creato l’uomo, Zara il basket”. Se a Zadar arrivò, quasi novant’anni fa, nel 1928, la pallacanestro fu grazie ad una squadra di militari italiani stanziati proprio a Zara. Il legame con l’Italia è fortissimo poiché Zara per secoli fu una delle città più importanti della Repubblica di Venezia e successivamente, in seguito alla prima guerra mondiale, la città divenne un enclave italiana. Ad allevare la prima generazione di fenomeni, quella che lanciò lo Zadar nell’Olimpo del basket, fu Enzo Sovitti, un salumiere che si sospetta fosse un agente dell’Ozna, la polizia segreta del regime di Tito, incaricato a spiare la comunità italiana per espropriarne le ricchezze. Sotto la guida di Sovitti crebbero Giuseppe “Pino” Giergia, guardia dall’eccellente palleggio, dal tiro più che decente e dall’ego smisurato visto che il suo primo pensiero era sempre quello di tirare a canestro, e Kresimir Cosic, colui che il giornalista Sergio Tavcar chiama il “Sommo”, il più grande giocatore jugoslavo di tutti i tempi.
Cosic ha rivoluzionato la pallacanestro. Fu il primo centro moderno, con una meccanica di tiro perfetta correlata ad un bagaglio tecnico composto da finte, gioco di gambe, tempismo e passaggi illuminanti. Fino a quel momento il centro era un giocatore che aveva un solo compito: prendere il rimbalzo e passare la palla a coloro per i quali la gente era venuta a vedere la partita pagando il biglietto, ovvero la guardia e il playmaker. Cosic sdoganò a Zara il ruolo del lungo. I suoi passaggi dietro la schiena, i suoi palleggi sotto le gambe e il suo tiro in allontanamento conquistarono i tifosi dello Zadar e tutti gli appassionati di pallacanestro. Il giocatore nativo di Zagabria inaugurò, inoltre, un percorso che successivamente verrà compiuto da un numero sempre più crescente di giocatori europei: sbarcare oltre oceano e frequentare un college americano. Nel 1971 Cosic approdò alla Brigham Young Univeristy, l’università dei mormoni dello Utah. Mangiò basket e bibbia. Era un ateista e dopo un paio di anni sentì il bisogno della religione: logico che si convertisse alla fede dei mormoni, anzi, per usare le sue parole, alla fede dei Santi degli Ultimi Giorni. Nel ’73 venne scelto al 5° giro del draft dai Los Angeles Lakers, ma preferì tornare in Jugoslavia. La religione abbracciata gli valse l’appellativo di “Vescovo” e condizionò gran parte della sua carriera. Ad esempio, per un breve periodo, rifiutò di giocare la domenica, giorno consacrato al Signore. Fu un grave problema per la Nazionale jugoslava durante le manifestazioni internazionali, ma alla fine “Creso” venne convinto: “E’ mio dovere non danneggiare il mio prossimo – sentenziò Kresimir – e siccome ho dei doveri verso i miei compagni, giocherò, pur santificando con le preghiere il giorno del Signore”. Dopo aver mietuto successi con la Nazionale (tre campionati d’Europa, un campionato del mondo e due medaglie d’argento alle Olimpiadi), Cosic approdò nel campionato italiano alla corte della Virtus Bologna e di Gianluigi Porelli. Il fisico era ormai logorato da 15 anni di fatiche e la schiena non era più integra come in passato. L’inizio fu stentato e qualcuno cominciò a dubitare del valore del giocatore, ma la classe e il talento non invecchiano e il rendimento dell’asso croato crebbe gradualmente. Cosic imparò a gestire il suo fisico e spesso saltava la sessione di tiro pre-partita. Un giorno il regista Caglieris si fece portavoce dei compagni che non trovavano giusto che loro faticassero e lo jugoslavo no. Senza scomporsi, con quella sua candida e tagliente ironia, Cosic gli rispose così: “Caro Charlie, per costruire le case ci vogliono i muratori e gli architetti; tu sei il muratore ed io il tuo architetto”. Caglieris e tutta la squadra capirono la lezione e Cosic portò due scudetti in due stagioni.
Arrivati a Zara andiamo in pellegrinaggio verso la sua statua che si trova di fronte all’Arena intitolata a lui. Si tratta di un moderno palazzo dello sport, sorto nel 2008, di pianta circolare con 9000 posti al suo interno. Più vicino al centro è ancora presente lo storico palazzetto Jazine, che divenne famoso per la nebbia di fumo che vi stazionava durante le partite dello Zadar e che quasi impediva di vedere da un canestro all’altro. Inoltre a Zara inventarono il cronometro “double-face” che permetteva una velocità variabile a seconda della situazione della partita: se la squadra di casa arrivava negli ultimi minuti con un vantaggio risicato, il cronometro partiva velocissimo facendo finire la partita in un istante, nel caso contrario invece i secondi scorrevano lentamente per permettere la rimonta agli eroi locali. La storia del basket jugoslavo è ricca anche di queste leggende.
Il genio cestistico di Cosic non si limitò alla sola carriera da giocatore. Kreso, una volta deciso di appendere le scarpe al chiodo, iniziò la carriera da allenatore che non fu altrettanto fortunata. Il suo merito più grande, da capo allenatore, fu quello di aver rinnovato la nazionale jugoslava e a lui si deve il lancio dei vari Kukoc, Radja, Divac, oltre alla definitiva consacrazione di Drazen Petrovic.
Proprio per rendere omaggio al Mozart dei canestri vi racconteremo la tappa di Sibenik.