al-mcguire-2Alfred James “Al” McGuire è stato un coach e poi un broadcaster a dir poco rivoluzionario, dotato di una personalità prorompente fu per molti versi l’anti Wooden, se il santone di UCLA era il coach-padre-insegnante McGuire era un santone, un uomo immagine, un istintivo e portò in seguito questa sua personalità in televisione dove andò a cambiare, per sempre, l’approccio ed il linguaggio dello sport broadcasting guadagnandosi il nomignolo di James Joyce del college basketball con il suo incredibile, sarcastico, criptico uso di termini riassunti nel McGuirismo un clamoroso orpello di parole e di quotes viaggiando coi quali andremo a riassumere la carriera di questo grande coach ed uomo.

Nasce a New York, l’imprinting della Big Apple sarà chiarissimo nella sua personalità esuberante ed anticonformista, in una famiglia umile ma i tre fratellini sono decisamente portati per il basket: Al è il più scarso dei tre ma è uno che lotta come un leone, il secondo di nome Dick è destinato a diventare un playmaker leggendario e poi allenatore dei New York Knicks tanto che entrerà nella Hall of Fame nel 1993 ma il più forte è il fratello maggiore John la cui carriera sarà stroncata da un infortunio alla spalla e che diverrà un giocatore d’azzardo incallito tale da far finire i fratelli, poi scagionati, in una investigazione del FBI per delle presunte partite truccate.

McGuire giocatore

McGuire giocatore

Al non ha il talento degli altri due ma, come dicevamo, è un gran lottatore tanto che finisce, sulla scia di Dick a giocare a Saint John’s dove come compagno di squadra ha Lou Carnesecca, poi leggendario coach dei Red Men, che lo ricorda così “Era bello stare a fianco di Al come amico ma era un incubo giocarci contro…” ed è un tale duro che si guadagna una chiamata nei New York Knicks dove gioca col fratello per due stagioni, non è un gran giocatore… col suo coach Joe Lapchick insiste continuando a ripetergli “Posso fermare Bob Cousy fino a convincerlo a metterlo in quintetto contro i Boston Celtics: nei primi sei possessi dei Celts commette sei falli su Cousy, uscendo per falli ma, in effetti, fermandolo…

Gioca ancora un anno nei Baltimore Bulletts per poi ritirarsi “Sono restato tre anni nella NBA grazie ai miei voli sopra i tavoli della tribuna stampa e la capacità di far partire le risse…” comincia così la sua carriera da allenatore prima come assistente a Dartmouth e poi prendendo il posto di head coach nella piccola Belmont Abbey College nel North Carolina dove conosce e diviene amico di un assistente allenatore di North Carolina di nome Dean Smith e dove ottiene grandi risultati in sette anni reclutando esclusivamente ragazzi di New York “La mia regola era di non reclutare mai un ragazzo che viveva in una bella casa con giardino, non era il mio mondo. Il mio mondo era un marciapiede affollato”.

con Majerus e Raymonds

con Majerus e Raymonds

Viene finalmente chiamato da un programma importante andando nel 1964 ad allenare Marquette, la sua prima mossa è quella di confermare Hank Raymonds come vice-allenatore nonostante fosse stato sino all’ultimo il suo “rivale” per il posto di head coach, e qualche anno dopo va ad offrire ad un suo giocatore “Piuttosto che far giocare lui avrei messo in campo la mascotte” il posto di secondo assistente: il suo nome è Rick Majerus. Con questo staff tecnico ad inizio degli anni ’70 i Warriors (solo in seguito cambieranno il nick in Golden Eagles) diventano una delle squadre più forti e rispettate del college basket raggiungendo il Torneo NCAA per sette anni consecutivi con squadre piene di atleti di colore e con un uomo solo al comando “Io non discuto di basket. Io detto il basket. Non sono interessato nelle classi di filosofia, sono il capo ed i giocatori lo sanno. Io sono un dittatore” in realtà il “dittatore” dà pieni poteri ai suoi due fidati assistenti “non ho mai fatto un fischio in allenamento, guardato una partita, lavorato alla lavagna o organizzato un allenamento in vita mia” per McGuire allenare è istinto e passione “io sento il gioco più di quello che lo conosco, è sempre stato così. Posso parlare di una sola cosa: vincere. Ma non chiedetemi come. I miei assistenti lo facevano, sono loro a fare il lavoro reale, io non ho mai studiato una partita: mi metto il vestito buono e vado alla festa”.

Non credo di avere la conoscenza della Pallacanestro nemmeno di un coach di high school, non so nemmeno se io alleno. Io sono il Maestro delle cerimonie: creo una festa in campo e ci vado dietro…”

Bizzarro ma vincente. “Se vincere non fosse importante nessuno terrebbe il punteggio

mcguireAlla vigilia della stagione 1976-77 Al McGuire decide di smettere di allenare “Allenare non mi eccitava più”. E la squadra con stelle come Dean Meminger, Butch Lee, Jerome Whitehead e Bo Ellis non va nemmeno bene perdendo tre partite di fila alla vigilia di cinque gare on the road ed invece qualcosa si sblocca e riesce a strappare l’invito alla Big Dance Stavo per arrendermi, al di fuori della mia giacca portafortuna non so come mai le cose sono cambiate. Forse hanno smesso di ascoltare il loro coach”.

Un Destiny Team: batte Kansas State nei primi turni di un solo punto e supera in semifinale UNC-Charlotte con un canestro di Whitehead sulla sirena dopo un passaggio a tutto campo in stile-Laettner, in finale McGuire ritrova il suo vecchio amico Dean Smith e la sua North Carolina. I Warriors giocano un primo tempo favoloso e prendono un buon vantaggio che però i Tar Heels nella ripresa recuperano per poi crollare sotto i colpi di Lee e Whitehead con Marquette che va a vincere il suo primo (ed unico) titolo NCAA proprio nel giorno dell’ultima partita da coach di McGuire che nei minuti finali della gara piange in panchina “Non ho paura di piangere, tutto quello che potevo pensare era: perché io? Dopo tutti gli scherzi ed i calzini puzzolenti negli spogliatoi, tutte le battaglie in palestra. E tutto doveva finire in questo modo, ma ogni festa finisce prima o poi”

salutò così i tifosi di Wisconsin dopo un derby vinto

salutò così i tifosi di Wisconsin dopo un derby vinto

Al McGuire tiene fede alla sua promessa e si ritira lasciando a Raymonds la panchina, va a lavorare come vicepresidente alle Medalist Industries ma lo fa per un solo anno prima di accettare la proposta della NBC di diventare commentatore dove con Billy Packer va a formare un duo clamoroso, con grandi duelli dialettici spesso polemici, McGuire non solo crea un suo lessico ma cambia il modo di presentare le partite sempre seguendo il suo istinto e mai studiando le gare. Nemmeno come analista televisivo. Passa poi alla CBS nel 1992 dove continua ad imperversare col suo McGuirism sino a quando si ritira per una forma di anemia.

Ecco qualcuno dei suoi termini:

salt and pepper coach: un coach da tattiche sulla lavagna

carnival gates are closed: la partita è chiusa

white knuckler: una partita punto a punto

aircraft carrier: un centro dominante

ballerina in the sky: un grande saltatore

L’anemia risulta però essere leucemia e nel 2000 e gli danno poche settimane di vita, lui da grande guerriero non si arrende e decide di arrivare a tutti i costi almeno al 2001 per questioni di pensione da lasciare alla moglie, ci riesce “Ho fregato lo Zio Sam…i dottori mi dicono che se comincio a tossire è l’inizio della fine, ed allora io non tossisco!” pochi giorni prima di andarsene avverte il figlio di avvertire University of Wisconsin di cancellare il suo nome dalla lista di possibili coach “Muoio con gli occhi bene aperti, voglio vedere tutto… è stato bello aver avuto la possibilità di volare in alto con le Aquile (Eagles)”

Si spegne il 26 Gennaio del 2001 a 72 anni.

Non vado mai ai funerali perché ti ho offerto un drink come se tu fossi ancora vivo e comunque i funerali sono governati dal meteo…” ma al suo funerale in una notte fredda e piovosa a Milwaukee andarono migliaia di persone.