Stalactites, stalagmites
Shut me in, lock me tight.
Lips are dry, throat is dry.
Feel like burning, stomach churning,
I’m dressed up in a white costume
Padding out leftover room.
Body stretching, feel the wretching
In the cage
Get me out of the cage!
Nella saga di Rael in The Lamb Lies Down on Broadway Peter Gabriel cantava così la sua fuga dalla “cage” ovvero la “gabbia” ma nella gabbia di Michael Cage sostanzialmente cascavano i rimbalzi, tonnellate di rimbalzi, nella mani di quello che è stato uno dei più grandi specialisti della seconda parte degli anni ’80 prima di divenire un apprezzato journeyman e specialista nelle sue quindici stagioni nella NBA.
Una macchina da rebotes ma anche un uomo sereno in un corpo da Adone che ha scolpito con una pazienza e lungimiranza degna di un’idea platonica albergante nell’iperuranio: costanza, serietà, cura del corpo.
Per anni era famoso nella NBA per i biberoni multivitaminici a base di frutta e verdura che beveva negli spogliatoi cercando di insegnare le sue idee ai suoi compagni di squadra che invece erano più dediti al Gatorade o al Gin Tonic.
Ma le sue granitiche certezze, come spesso accade nei ragazzi afroamericani cresciuti nel Profondo Sud degli States, erano nate da un’infanzia difficile a contatto quotidiano col razzismo ed un padre dispotico ed alcolista.
Michael Jerome Cage nasce nel 1962 nell’Arkansas e suo padre è un gran lavoratore ed uomo duro, reso ancora più aspro e difficile dalla guerra di Corea. Con il figlio non instaura un rapporto ma una sorta di dittatura, non vi è sorta di comunicazione ma solo ordini. E dopo una giornata di duro lavoro ha anche l’abitudine di bere. Parecchio.
Il giovane e sensibile Michael trova conforto nella chiesa che frequenta regolarmente con la mamma e nella pallacanestro “Non importa in quale problema ero coinvolto: lo sport era la mia ancora di salvezza”.
Viaggiando ad oltre 20 punti a partita e 14 rimbalzi conduce i Blue Devils della West Memphis High School al titolo di stato in una stagione da 30 vittorie e 0 sconfitte. Sugli spalti c’è spesso un entusiasta tifoso di nome Bill Clinton. Quando, anni dopo, il presidente degli Stati Uniti chiamerà Cage, divenuto un giocatore NBA, per invitarlo alla Casa Bianca per un incontro per rimembrare i bei tempi e parlar del loro stato natio Micheal, convinto di essere vittima di uno scherzo dei compagni, gli sbatterà il telefono in faccia… Solo in un secondo momento grazie all’intervento del Team Manager capirà che l’invito del presidente era reale “Non dimenticherò mai quella giornata con il presidente Clinton nella Sala Ovale…”
Negli spalti si presenta spesso anche il padre, come sempre visibilmente alticcio, e per Michael è difficile restare concentrato sulla partita mentre suo papà gli urla ordini sconclusionati con la gente sugli spalti che ride… Nonostante la sua interferenza riesce però a divenire uno dei Top Prospect delle High School e non casualmente sceglie di andare al college il più lontano possibile dal padre, sceglie così San Diego State in California dove nel quadriennio dal 1980 al 1984 continua a strappare frotte di rimbalzi risultando il miglior rimbalzista d’America già nel suo anno da freshman.
Nel 1983 viene selezionato per la nazionale americana ai giochi Pan-Americani di Caracas dove vince la medaglia d’oro giocando a fianco di Michael Jordan, suo compagno di stanza, Sam Perkins, Chris Mullins e dello sfortunato Wayman Tysdale, ottimo jazzista oltre ad essere un gran talento su un campo da basket, morto di cancro osseo nel 2009.
Nel suo anno da senior viaggia cogli Atzecs a 24.5 punti e 12 rimbalzi e viene chiamato al draft col numero 14 dai Los Angeles Clippers. Per qualche giorno è anche un giocatore della Marr Rimini, il suo agente lo spedisce in Romagna per forzare la mano al tignoso management del secondo club di LA, come prevedibile però le cose si aggiustano e Cage viene richiamato presto in California lasciando Rimini alla ricerca di un nuovo americano che sarà poi Reggie Johnson.
Ecco gli anni ai Clips sono i più felici per Michael Cage. Non è altissimo per giocare da centro coi suoi 205 centimetri ma oltre ai suoi riccioli scolpiti nel gel ha spalle enormi, occupa spazio in area, ha un senso assoluto per il rimbalzo pur non essendo un giocatore verticale e nella stagione 1987-88 vince il titolo di miglior rimbalzista della NBA pigliandone ben trenta (!) nell’ultima gara della stagione riuscendo a superare sul filo di lana Charles Oakley dei Chicago Bulls.
La statistica finale dice 13.03 rimbalzi a partita per Cage, 13.00 per Oakley.
Una piccola grande impresa.
La sua quarta è pure l’ultima stagione coi Clippers che chiama anche oltre 14 punti a partita e che comporta uno scambio per lui doloroso ai Seattle Supersonics “il passaggio da Los Angeles a Seattle fu difficile da accettare per me” ma passato lo shock iniziale Cage comincia ad ambientarsi nella nuova città.
In campo gioca in quintetto al fianco del tiratore Dale Ellis, che beneficia dei suoi granitici blocchi, dell’elegante Derrick McKey, di Nate McMillan e dell’esplosivo Xavier McDaniel ma il meglio per Cage arriva fuori dal campo dove comincia a farsi promotore di iniziative benefiche ed ha un incontro decisivo con un ragazzino malato terminale di Fibrosi Cistica “Il suo più grande desiderio era vedermi giocare ed incontrarmi, a fine gara gli donai le mie scarpe ed era pieno di gioia e di vita. Capii che come atleta potevo e dovevo essere un esempio ed aiutare persone bisognose”.
“C’è sempre molto di buono nella vita e dobbiamo apprezzarlo”
Nei suoi sei anni ai Sonics Cage raggiunge per cinque volte i play off con l’apice della finale della West Conference persa al fianco di Gary Payton e Shawn Kemp contro i Suns di Charles Barkley e Richard Dumas nel 1993 comincia poi a girare nella Lega dai Cleveland Cavaliers ai Philadelphia 76ers, dove cerca di rieducare Allen Iverson, sino ai New Jersey Nets dove viene allenato da John Calipari. I suoi anni migliori sono passati ma per il suo fisico scultoreo e per la resistenza agli infortuni si guadagna il soprannome di Ironman.
Si ritira nel 2000 con 1193 partite giocate nella NBA e più rimbalzi presi (7.6 di media in carriera) che punti fatti (7.3) ma guadagnandosi ovunque l’affetto di compagni e tifosi. E persino il rispetto di suo padre “Mio papà cogli anni aprì la Porta della Comunicazione con me, veniva alle partite e parlavamo di basket dopo a cena…grazie al basket ci fu un grande cambiamento nella nostra relazione”.
Una volta ritiratosi dal basket giocato Cage continua a tenersi in forma con lo yoga, il golf, il tennis, la bicicletta ed il calcio dove diventa persino arbitro per seguire il figlio maggiore Alexis ed allena il secondogenito Michael Junior “Per un figlio è importante aver a fianco una forte figura paterna”.
MJ è un’ala forte della Mater Dei High School e considerato come il 35esimo high schooler più forte secondo ESPN della classe che arriverà al college nel 2016. Ha poi un terzo figlio di nome Sidney e con la moglie Jodi gestisce una Fondazione per fare carità ed aiutare i giovani in difficoltà “Ogni bambino, non importa con quale background, può soccombere al rischio di comportamenti pericolosi. Lo sport può salvarli ed è uno dei migliori modi per tenerli sulla strada giusta. Contro ogni problema. Con me ha funzionato”
Cage poi collabora con Fox Sports seguendo Memphis Glizzlies, i Lakers ed i Clippers, vive ad Orange County ed è un apprezzato uomo d’affari oltre a gestire dei camp per bambini dove insegna i suoi buoni principi. E cerca di far bere pure a loro i suoi beveroni a base di frutta.
“Don’t let what you cannot do interfere with what you can do.” -John Wooden