slavnic

in palleggio contro il Real Madrid

Zoran “Moka” Slavnic è uno dei “padri” del basket jugoslavo, con lo sloveno Daneu ed il croato Cosic ha portato il pubblico slavo, dei veri “malati” per lo sport, verso la pallacanestro che, agli albori degli anni ’60, era considerata uno sport minore, per intellettuali, e non era considerata al livello di pallamano e pallanuoto per non dire di sua maestà il calcio.

E se i palazzetti bui e fumosi cominciarono a riempirsi tanto lo si deve a lui: vero funambolo del pallone, tutto estro e fantasia, la disciplina meglio lasciarla ai seriosi sloveni, il primo prototipo in Europa di regista capace di dare spettacolo. Aveva infatti un’insana passione per il gesto eclatante, il passaggio impossibile, il tiro da lontanissimo ed il palleggio in mezzo alle gambe dell’avversario, gesto quest’ultimo che gli riuscì spesso eccetto in un occasione di cui parleremo dopo.

Slavnic con la Stella Rossa

Slavnic con la Stella Rossa

Da bimbo nella natia Belgrado lo chiamavano Moka perché adorava dei biscotti al caffè, portatissimo per qualsiasi sport li pratica praticamente tutti (uno dei segreti di quella generazione di giocatori jugoslavi che in quel modo apprendevano capacità psicomotorie clamorose) e viene indirizzato al basket da Zdravko Kubat alla Stella Rossa e pur non diventando troppo alto, sul 1.80, arriva giovanissimo a giocare in prima squadra dove ha immediatamente un impatto. Aveva pure fatto le nazionali giovanili ma riesce ad esordire in nazionale solo nel 1973 a 24 anni poiché il selezionatore dei Plavi Ranko Zeravika non ne voleva sapere di un giocatore così individualista ed indisciplinato.

Intanto però era già il Re della Stella Rossa con la quale in 14 anni vince due titoli jugoslavi (nel 1969 e 1972)  ed una Coppa delle Coppe, in verità la sua personalità per così dire ingombrante si scontra spesso con quella dell’altra stella Ljubodrag “Duci” Simonovic un’ala dotato di gran classe e di gran cervello con tanto di laurea in Filosofia, che con un carattere più posato e ragionevole mal sopporta l’esuberante Moka, siamo però in piena Jugoslavia di Tito e le battaglie fra personalità vanno superate senza troppe storie. Ma lui è il padrone di Belgrado e fa ammattire gli avversari con la sua lingua tagliente e le sue provocazioni, leggendario quando in una gara di coppa contro il Simmenthal Milano in cui la Stella Rossa doveva recuperare i 16 punti di svantaggio subiti in Lombardia Moka si avvicina a coach Rubini e lo colpisce nei gioielli di famiglia facendolo stramazzare al suolo, dopo un parapiglia la gara riprende con gli arbitri che, temendo per la loro vita, saggiamente fanno finta di non aver visto nulla. I locali vincono di 17 e l’invasione di campo alla sirena non è poi così troppo festosa visto che si accende una delle più clamorose risse mai viste su un campo da gara.

Protagonista assoluto Art Kenney, americano dell’Olimpia, che mena fendenti ad avversari, tifosi… e poliziotti, individua poi Slavnic e gli corre dietro, lo slavo vedendo la furia rossa avventarsi contro di lui scappa sulle tribune dove i tifosi assaltano Kenney che ne esce in qualche modo ed in serata, completamente pieno di lividi ed escoriazioni, se la ride per aver partecipato ad una rissa in cui ha potuto menare anche i policemen ma del Grande Rosso parleremo in un altra storia magari…

La svolta internazionale di Slavnic avviene col cambio di coach alla guida della nazionale, il croato Novosel ritiene infatti che la sua indisciplina invece è fantasia e con questa scelta, oltre che all’arrivo in nazionale di una generazione di grandi talenti quali Kicanovic, Delibasic e Dalipagic la nazionale jugoslava esplode clamorosamente vincendo subito l’oro agli europei in Spagna e l’argento ai mondiali di PortoRico nel 1974.

con Duci Simonovic compagno/rivale

con Duci Simonovic compagno/rivale

Nel 1976 alle Olimpiadi di Montreal Zoran Slavnic segna il canestro più importante della sua carriera: dopo una rimonta nel secondo tempo con gli Azzurri, che erano sopra di 16 all’intervallo, sulla sirena dai 7 metri segna il canestro che manda la Jugoslavia in semifinale che poi arriva pure in finale dove affronta gli USA allenati da Dean Smith e guidati in campo dal play di North Carolina Phil Ford, e qui torniamo al suo vezzo… alla prima azione decide di palleggiare in mezzo alle gambe di Ford che però è troppo rapido e sveglio, gli porta via la palla e va a segnare indisturbato i primi due punti di una finale che gli americani vincono 95-74.

Non mancheranno però i trionfi con la nazionale per Slavnic che in dieci anni coi Plavi avrà la rivincita nel 1980 quando arriva la medaglia d’oro a Mosca proprio con l’Italia oltre ad un oro ai mondiali del ’78 nelle Filippine e tre ori agli europei. La sua carriera con la nazionale si esaurisce a Nantes dove gli azzurri trionfano mentre la nazionale Jugoslava, in un momento di transizione verso la sua terza generazione di campioni, esce con la vergognosa e famosa rissa contro l’Italia.

Intanto Slavnic era emigrato all’estero allo scadere dei famosi 27 anni (prima di quella età nei paesi comunisti non si lasciavano partire gli sportivi) in Spagna al Badalona dove vince la Liga spagnola, vi resta due anni e poi torna in patria allo Sibenka come giocatore/allenatore, ivi trova un 16enne, fratello minore del più famoso Asa e considerato non un grande prospetto ma un topo da palestra, Slavnic ne intravede invece un gran talento e lo tiene sotto la sua ala protettrice facendolo esordire nella lega jugoslava. Il suo nome era Drazen Petrovic.

Zoran Moka SlavnicResta due anni a Sebenico poi, quando il ragazzino è pronto per volare con le sue ali, se ne va compiendo il più alto dei tradimenti: firma per il Partizan Belgrado. Oggi per una cosa del genere i cosiddetti tifosi sarebbero pronti a mettere a ferro e fuoco Belgrado ma nel 1981 non accadde… ma indubbiamente i tifosi Ustascia non la presero bene e nemmeno i Grobari

Dopo un solo anno infatti un coach montenegrino contro il quale aveva battagliato in campo molte volte quando guidava il Bosna lo chiama in Italia per un nuovo progetto a Caserta, si tratta di Boscia Tanjevic ed all’Indesit, sia pur a fine carriera, Moka viaggia ad oltre 17 di media mettendo il suo mattoncino su quella squadra che qualche anno dopo vincerà uno storico scudetto.

Si ritira e diventa allenatore lanciando anche Toni Kukoc e Dino Radja a Spalato ed allenando anche la Serbia nel 2007  senza mai rinunciare alla sua lingua biforcuta, vi lasciamo infatti ad una sua risposta ai media croati che avevano avanzato dei dubbi circa al suo inserimento alla Hall of Fame della Fiba: “Vorrei pubblicamente chiedere a questi Croati se conoscono il significato del certificato di nascita. Kukoc a 19 anni meno di me, hanno paura che non entrerà pure lui? Sasha Djordjevic e Sasha Danilovic che hanno la sua età non sono ancora nella Hall of Fame ed allora perché sono sorpresi? Questi Croati possono baciarmi il culo perché ho fatto più io per il basket che tutti loro insieme. Io ho creato Drazen Petrovic, Toni Kukoc e Dino Radja, sono miei ragazzi!”

Caratterino forte, Moka bollente