I Karamamma passarono come meteore nel mezzo del sottobosco indie-rock italiano. E tra quelle poche cose che si ricordano di loro c’è “La razza eletta”, canzone contro il razzismo che tira in ballo anche un certo Michael Jordan.
Oggi “Pick and Rock” non ve la mena con la solita band riempistadi o con cantautori in grado di scalare le classifiche di vendita dall’alto della loro tristezza infinita. A dirla tutta, questa volta non avremo nemmeno a che fare con una canzone espressamente dedicata alla palla a spicchi e ai suoi derivati. E allora? Allora calma e gesso e appuntiamo sul taccuino il seguente nome: Karamamma. Che ai più dirà poco o nulla, eppure c’è davvero qualcuno che ha provato a cavalcare l’onda (più o meno) lunga dell’indie-rock tricolore con tale ragione sociale.
Era il 1994, l’industria discografica non era stata ancora azzannata da Napster o dal Mulo e c’era gente che (udite udite…) i dischi li comprava davvero. Chi faceva la fila per accattarsi “Grace”, l’esordio di Jeff Buckley, chi per inserire nel lettore “Mellow Gold” di Beck o “American Recordings” di Johnny Cash. La scena alternativa nostrana, invece, si alimentava a forza di bocconi di Csi (“Ko de Mondo”) e Modena City Ramblers (“Riportando tutto a casa”): un mercato in salute, con fanzine ed etichette discografiche pronte a spuntare dal nulla. Tipo la napoletana Crime Squad, nel cui bouquet comparivano nomi importanti, la 99 Posse e i Bisca su tutti. Ma anche outsider assoluti come, appunto, i torinesi Karamamma. Che in quel 1994 diedero alle stampe “Siamo tanti”, il loro secondo album, un godibile concentrato di funk e rock. Tra i quindici pezzi in scaletta, ce n’era uno dal titolo “La razza eletta”. Un brano semplice, arricchito da un testo di poche parole dedicato a quei rissosi, irascibili ma in fondo (molto, ma molto in fondo) simpatici skinhead. Ecco cosa si cantava all’interno di quei due minuti e mezzo: “Hai mai provato a giocare a basket contro Michael Jordan? Hai mai provato a mandare affanculo uno come Tyson? Hai mai provato a scappare se c’è Carl Lewis che ti rincorre? Hai mai provato a suonare la chitarra come Jimi Hendrix? Mio piccolo skinhead, qual è la razza eletta?”. Un inno alla negritudine, contro il razzismo e i razzisti, un messaggio che veicola grazie anche a uno come Michael Jordan. In quel periodo è talmente famoso che anche chi non aveva mai visto una partita di pallacanestro in vita sua non poteva non sapere che quel nome e quel cognome indicavano (indicano) uno dei più grandi atleti di sempre, un autentico monumento del basket mondiale.
I Karamamma non ottennero il successo sperato, vivacchiarono fino a inizio nuovo secolo, quando se ne persero le tracce. Ma “La razza eletta”, canzone che fu anche inserita in una compilation pubblicata dal mensile “Rumore”, ha avuto l’indubbio merito di amalgamare, come filosofia del collettivo piemontese imponeva, le lotte per l’eguaglianza con le principali icone del mondo dello sport professionistico e del rock (già, Jimi Hendrix non correva, non schiacciava e non dava pugni…). Un mix tra alto e basso se vogliamo (a voi stabilire cosa sta in alto e cosa in basso), comunque sia un esperimento superato a pieni voti, che avrebbe meritato maggior fortuna. Però… Già, un però pesa persino in una storia come questa. Eccolo: Jordan aveva lasciato l’Nba per farsi largo nell’universo del baseball e nel 1994, eccolo riappropriarsi della canotta numero 23 dei Chicago Bulls, proprio mentre dall’altra parte del mondo un gruppo di sciamannati di stanza a Torino spiegava che lui è uno dei più grandi di tutti, più forte dei razzisti e delle teste pelate (ehm…). Solo una coincidenza? Non è che Mr. Air, una volta ascoltata la canzone dalle antenne della sua campus radio preferita, si sarà messo a pensare una cosa del genere: “Ma cosa ci faccio con una mazza da baseball tra le mani, non è che deludo quei ragazzi? Ma fammi un po’ andare a vedere cosa combinano Scottie e Dennis”. Chissà, potrebbe essere andata così, d’altra parte nessuno lo ha mai interpellato in merito…