europei-basket-2015

Ai recenti Europei di basket lo spettacolo è arrivato anche dagli spalti. Non so a voi, ma da queste parti è piaciuto in particolar modo l’atteggiamento dei sostenitori turchi e di quelli islandesi. Due popoli lontani ma non così tanto.

I turchi sono biondi, alti e cuociono degli squisiti tranci di squalo putrefatto poggiandoli sul primo geyser che capita loro a tiro. Mentre gli islandesi sono scuri di pelle, si ingozzano di kebab e fumano moltissimo. Com’è che si dice? Ah, già: quello lì fuma come un islandese.
Vero, i luoghi comuni non tramontano mai. E la cosa assurda è che rendono l’idea persino se li usi a casaccio. L’importante è che il gioco possieda il suo perché. E il puerile tentativo di cui sopra, atto a confondere – in modo altrettanto puerile – le acque, possiede un solo scopo: dimostrare le contiguità tra due popoli apparentemente (tralasciamo la distanza e i chilometri) lontani. Parafrasando un efficace detto propugnato da un per nulla simpatico dittatore di passaggio: islandesi e turchi, una faccia, una razza.
Ne abbiamo avuto la dimostrazione ai recenti Campionati europei di basket. Le loro rispettive nazionali non hanno percorso un granché di strada: l’Islanda è stata sbattuta fuori al primo turno, senza nemmeno un successo da portare a casa; alla Turchia è andata poco meglio, se meglio può essere definito un’eliminazione secca agli ottavi di finale. D’altra parte non ci si poteva aspettare di più: il movimento cestistico turco, pur con i non indifferenti capitali spalmati a volontà, non ha mai avuto a disposizione una rappresentativa davvero temibile (a parte gli Aydın Örs-boys, protagonisti agli Europei del 2001). In Islanda, poi, gli sport nazionali sono la pesca del merluzzo e l’eruzione dei vulcani: chi vuoi che se ne sbatta della palla a spicchi? Occhio però: il primo giocatore europeo a calcare i parquet dell’Nba fu tale Karl Pétur Guðmundsson da Reykjavík. Un caso? Forse, ma non siamo qui per divagare.
Torniamo a Euro2015. Non tanto ai risultati, al tipo di basket espresso o alla figuraccia (riflessa) di mamma Rai. No, parliamo di tifo e tifoserie. Belle tutte, non c’è che dire. Belle soprattutto quelle di Islanda e Turchia. Gli scandinavi, come accennato poco sopra, avevano poco da festeggiare. Eppure, eccoli lì, con un legame speciale con il proprio pubblico, con chi li ha seguiti fino a Berlino.

Un abbraccio ideale mentre si canta insieme un pezzo del quale vorremmo sapere di più, ma va bene lo stesso. Sembra quasi un addio, o un arrivederci mesto e al tempo stesso romantico. A ben vedere, è solo (si fa per dire) una dimostrazione d’affetto.
E poi i turchi. Nemmeno loro hanno scherzato. Vivaci e armati di una canzone che ha fatto spesso capolino nelle gare giocate dalla squadra della mezza luna. Anche di questo pezzo vorremmo conoscere qualche particolare che vada oltre il nome dei cantanti o gruppo (Athena & Metheran) e titolo (“12 dev adam”, ovvero “Dodici uomini giganti”).

Vorremmo altresì chiedere ai musicisti in questione il motivo per il quale hanno scritto una marcetta degna del Festival di Smirne (in Turchia esisterà una cosa simile al Festival di Sanremo, no?) invece di sforzarsi un po’ di più. E per quale ragione non hanno creato una joint-venture con gli amici islandesi, visto che anche a loro piace cantare e stringersi ai propri fans. Insieme avrebbero fatto un figurone: biondi e mori insieme, kebab e merluzzo nella stessa padella (ma anche no), una faccia, una razza.