Stavolta stiamo sul pezzo. Beh, più o meno. Tanto ormai lo sanno anche i muri che “Vola alto” di Ghemon, al secolo Gianluca Picariello, è la canzone ufficiale del campionato di basket di serie A 2015/2016. Potremmo parlarne o meglio, come da tradizione, sparlarne all’infinito, invece stavolta Pick and Rock prende la forma di un’intervista. Signore e signori, ecco a voi Ghemon.
“Vola alto” è diventato una sorta di inno della serie A. Una bella responsabilità per te…
“L’idea è arrivata dalla Lega Basket e, ovviamente, sono stato entusiasta sin da subito, perché sono vicino al campionato di serie A come tifoso e poi mi fa piacere dare il mio contributo per amplificare il messaggio di questo sport. Pensavo di poterlo fare e sono molto soddisfatto del risultato”.
Il video del pezzo è molto semplice: hai evitato di inserire immagini di partite o gesti spettacolari. Si tratta forse di un messaggio?
“Mi sono messo in gioco, come sempre. Non mi interessava comparire per sembrare più bravo di quello che sono: io ci metto sempre la faccia. Volevo che la gente capisse che sono uno che tiene veramente allo sport. E in prima persona”.
Ti hanno dato una mano ospiti illustri come Paola Ellisse e Dan Peterson: com’è andata con loro?
“Ho conosciuto entrambi attraverso le loro telecronache. In un certo senso, mi hanno formato: la loro è un’arte che passa anche attraverso il linguaggio, quindi è una cosa che mi riguarda. Gli aneddoti sarebbero tanti ma mi piace sottolineare che tutti e due si sono prestati con molto entusiasmo e questo non era scontato”.
Ma quando le riprese sono finite, Peterson non avrà mica detto “Mamma butta giù la pasta”?
“Il coach è un mito! Non è la Tv ad averlo reso un personaggio, è proprio come lo vedete, il piccolo schermo lo ha solo consacrato. Che sagoma!”.
Rimanendo sul videoclip, si vede che insacchi una tripla. Dicci la verità: dopo quanti tentativi è arrivato il canestro?
“Ah, non lo so, ma di certo non al primo!”.
Hai giocato a basket nella tua Avellino. Vuoi parlarci del tuo curriculum cestistico? Qual era il tuo ruolo in campo?
“Giocavo da pivot. Ho fatto tutta la trafila: minibasket a sei anni con la Scandone, poi prime squadre amatoriali alle medie. Ero in quella del liceo alle superiori e parallelamente in una piccola società avellinese, la ACSI Basket”.
Il giocatore al quale ti ispiravi?
“Shaquille O’Neal (hai detto niente!, n.d.r.)”.
Sei nato nel 1982, anno in cui l’Olimpia Milano vinceva uno dei suoi tanti scudetti. Cosa sai di quel decennio che, a detta di molti, è stato il più bello per la palla a spicchi tricolore?
“Mi sono informato su internet e ogni tanto aggiungo un pezzo di racconto tramite qualche libro, come quelli scritti da Flavio Tranquillo”.
E com’è la storia oggi? Non pensi che ci sia un eccesso di atletismo?
“Se prendiamo l’esempio dell’Nba, lì da sempre l’atletismo è tanto. Lo sport va in quella direzione, quella dei super atleti, vedere Cristiano Ronaldo e Lebron per referenze. Rappresentano i prototipi dei giocatori del futuro, talenti e tecniche pazzeschi abbinate a un fisico incredibile: più velocità, esplosività e capacità di ricoprire più ruoli (se non tutti). Brutto? Certo che no!”.
Le tue favorite per lo scudetto?
“Dico Milano, Reggio Emilia e Sassari”.
E la tua Scandone, come la vedi?
“Siamo partiti tardi ma abbiamo un coach competente e un buon roster. Tutto da vedere sulla lunga distanza”.
Hai visto i recenti campionati europei? Qual è il tuo giudizio sulla prestazione offerta dalla nazionale italiana?
“Gli azzurri hanno avvicinato tantissime persone al basket con delle prove maiuscole. Il resto è parte di un processo più ampio: la nostra nazionale si sta forgiando anche attraverso le delusioni, per cui penso che il momento di maturità collettiva, quello in cui si comincia a vincere, sia dietro l’angolo. E poi sono tutti affamati e incazzati: mi piacciono così!”.