Gianni Bismark rappa con tanto di dedica a Scottie Pippen. Uno che, se solo lo avesse voluto, avrebbe stoppato anche le palle di fumo.

Su Gianni Bismark abbiamo poche certezze. Poche ma, in compenso, confuse. Sappiamo che è un rapper (che però non disdegna la trap), che è romano de Roma (si sente, e come), che il suo nickname non è ispirato dal quasi omonimo cancelliere tedesco del tempo che fu, che in realtà si chiamava Otto Von Bismarck, ma dal calciatore ex romanista Gianni Gigou, il cui nome completo è Gianni Bismark Guigou Martinez. E poi sappiamo che, oltre al calcio, il nostro ama la pallacanestro. Quest’ultima possiamo considerarla una certezza. Altrimenti Gianni Bismark non avrebbe mai dedicato un suo pezzo a Scottie Pippen. Che poi non è una vera e propria dedica. Le dediche sono altre: tendono a mitizzare il personaggio in questione, a renderlo perfetto agli occhi di chi ascolta, a sperticarlo di lodi, ad affibbiargli – perché no – anche qualche miracolo. Qui siamo in un’altra dimensione. Nella dimensione di un musicista hip hop a tutto tondo.

Gianni Bismark, almeno sino a questo momento, ha inciso tre album. “Sesto senso”, il secondo della serie, esce nel 2016 ed è tra quei solchi che trova spazio “Scottie Pippen”. Con l’artista romano a tirare fuori il meglio di sé. Musica a parte (con il proprio flow, la propria base ritmica, le metriche che quadrano eccetera eccetera), è fondamentale soffermarsi su di un testo degno di un gangsta rap. All’interno del quale si parla di rivincite, di cose che solo noi umani che viviamo per strada possiamo vedere (“So’ stato pe’ strada, mica a casa a giocà ar Nintendo”), di amicizia, di gente codarda, dell’impossibilità di vendersi. Peraltro si citano persino i Sex Pistols e il loro pingue conto corrente ma, soprattutto, si parla di fumo. Non di quello in uscita dai tubi di scarico delle automobili o della caldaie. No, di fumo inteso come sostanza psicotropa. Spiega il Bismark: “Fumo solo il fumo buono, quello d’oro. Ai tempi di quann’ero regazzino che l’adoro. Ero piccolo, ma già davo ’e dritte, stoppavo palle de fumo come Scottie Pippen”. È una dichiarazione di intenti, un amore (il terzo appurato, dopo il calcio e il basket) nato durante l’adolescenza, quindi con un suo alone di romanticismo, di purezza, di innocenza, di genuinità. Poi la palla comincia a spicchi a sgomitare, a entrare nel discorso con la stessa forza di un proiettile. Anzi, di un cannone, inteso come grossa canna. La metafora è ardita ma di rara efficacia: stoppare le palle di fumo come Scottie Pippen, uno dei principali artefici, assieme a sua maestà Michael Jordan, dell’epopea dei Chicago Bulls. È come viaggiare a ritroso nel tempo, quando, presumiamo, Gianni Bismark era più o meno un pischello. L’idea di un Pippen che stoppa le palle di fumo ci restituisce l’immagine di un giocatore esplosivo, elegante,  splendido che, con ogni probabilità, non ha mai avuto contatti ravvicinati con un certo tipo di prodotti di consumo ma che, durante i suoi anni da protagonista del circo NBA, si è permesso di tutto. Quindi, se qualcuno avesse provato a buttare in retina una o più palle di fumo, lui l’avrebbe stoppata comunque, a prescindere, non mancando di ricordare, forse, che la droga fa male ed è meglio starne lontani.  Non è esattamente – il sospetto è forte quanto la percentuale di Thc presente in una piantina libanese – quel che il Bismark vorrebbe dare a intenderci. Già, ma se davvero così fosse, non sarebbe stato meglio lasciare Scottie Pippen in un angolo e chiamare in causa, che so, altri due eccellenti stoppatori come Josh Howard o Corey Blount?

Grazie a Federico Acconciamessa
L’immagine è tratta da 2righe.com