Kate Perry e la sua “Swish swish”. Un incubo piacevole e divertente sullo sfondo di una improbabile partita di basket.
Kety Perry è quella che ce l’ha fatta. Nel pieno rispetto dell’American Dream. Proprio lei, con tanto di sangue inglese, irlandese, portoghese e tedesco a scorrere indisturbato tra le vene, lei che da ragazzina cantava il gospel nelle chiese cristiane e che, per questa ragione, ha visto la luce ben prima di ogni altro. Lei che, dopo un aver raggiunto e assaporato un successo pressoché mondiale, nel maggio dello scorso anno scrive, per poi tirarlo fuori come singolo, un pezzo dal titolo “Swish swish”, direttamente dall’album “Witness”. Con la partecipazione della rapper Nicki Minaj e, tanto per non farsi mancare niente, un campionamento di “Star 69”, firmato da sua maestà Fat Boy Slim. Il tutto shakerato con un numero non trascurabile di copie vendute, equivalente a un bel tot di dischi d’oro e platino finiti in bacheca. Chiariamolo sin da subito: non è tanto quel che dicono o cercano di dire le parole di “Swish swish” a interessarci. Forse non è un testo del tutto riconducibile alla disciplina sportiva che amiamo tanto, o forse sì. Per alcuni ci troviamo di fronte solo a qualche insulto indirizzato alla collega Taylor Swift: così fosse, le due amiche/nemiche masticherebbero un minimo sindacale di basket. Che dire di frasi come le seguenti? “Tu bacerai l’anello” (già, l’anello che si infilano tra le dita vincitori del torneo NBA, è evidente), “Mantieni la calma, tesoro, sarò in zona” (una zona 2-3, si presume, tanto per non affaticarsi troppo, che il mondo dello showbiz è faticoso), “perché rimango vincente” (o yeah!), “il tuo gioco è stanco” (più o meno quel che disse Kevin Durant a Lebron James in gara -4).
No, lasciamo stare. Meglio concentrarsi sul videoclip di “Swish swish”, molto più interessante di qualche, sia pur ineccepibile, supposizione. Perché nel girato si vedono due squadre intente a giocare a pallacanestro. O qualcosa che, grosso modo, prova a somigliarli. Tanto per cominciare, ecco due telecronisti d’eccezione, come Rich Eisen, voce della NFL Network, e Bill Walton (per convincerlo a partecipare, gli hanno detto che come special guest ci sarebbero stati i Grateful Dead), poi due squadre animate da un solo obiettivo: vincere. A scontrarsi, sulle mattonelle del fantomatico Swish Center, ci sono i Tigers – il loro elemento più rappresentativo, oltre a Kate “Kobe” Perry, è senz’altro Tragic Johnson – e gli Sheep, che però ricordano più che altro un collettivo dedito al wrestling più estremo. Fa nulla, perché la partita è bella (al contrario degli antiestetici protagonisti sul campo, con l’eccezione del visino acqua e sapone della nostra Perry) e si sviluppa tra gente che mangia palloni come nulla fosse, viaggi nello spazio, coach che non sanno cosa fare e spettatori impegnati a scofanarsi di tacos e di altre prelibatezze. Già, potrebbe essere il plot di una puntata dei Simpsons. Intanto gli Sheep hanno la meglio, almeno fino a quando non appare, chissà da dove, Nicki Minaj conciata da tamarra cosmica. I Tigers, spinti dalla taumaturgica rivelazione, si trasformano e mettono le mani sull’inerzia del match. E la partita finisce come era iniziata: in vacca. Con Kate Perry a infilare una dietro l’altra schiacciate che nemmeno Clyde Drexler ai bei tempi, la coach dei Tigers che tenta di stuprare uno degli arbitri e tutti che ballano senza un domani dopo il trionfo delle tigri. Più che una partita di basket un incubo, un incubo scanzonato e divertente. Vero, Kate Perry ce l’ha fatta: a farci sorridere quel che po’ che basta.