Siamo andati d Alba, partendo dal cortile dove l’asso della Grissin Bon infilò i primi canestri. Grazie alla ‘zona senza pressione’ del papà, già discepolo del grande Dido Guerrieri e compagno di Meo Sacchetti. Profilo di una famiglia che ha dato tanto, alla pallacanestro italiana. Soprattutto, la Leggerezza. Come quella sera a Bologna, col Poz, Belinelli e Basile, quando successe che…

Io sono impastato di Langa; le vigne, le colture, i gerbidi, i rittami, i noccioleti, la terra aspra e faticata, le case aggrumate sulla collina, il cimitero frammezzo alle vigne, colmo di ricordi e talvolta anche di sole; sono la mia vita, e non c’è altra terra al mondo che mi parli contemporaneamente e delle ricordanze e del desiderio di lasciare un segno, anche tenue, accanto a quelli di coloro che mi hanno preceduto; né vi è altra terra che mi conforti, negli aspri momenti che la vita elargisce quotidianamente”.

Riccardo Riccardi, conte di Santa Maria di Mongrando, Priocca d’Alba

langa

 

 

 

 

ALBA (Cuneo) – Carlo Della Valle da Alba, classe 1962, guida placido osservando colture e vigne che tutt’attorno alla strada formano un grumo di storia ed epica. Del vino, giacché Barolo, La Morra, Barbaresco sono tutte attorno, chiuse in un fazzoletto che diamo per scontato, ma che come quegli amori unici e impossibili cogli nella loro interezza solo quando non ce li hai più. Siamo saliti fin là, senza tanta fatica a dire il vero, per conoscere meglio- di più, da vicino- la storia e la saga di una famiglia che sta perpetuando la sua peculiare aura di grandezza nel mondo del basket italiano.

Carlo Della Valle fu un giocatore capace di esaltare il concetto di ‘atipicità’.  Una decina d’anni ad alto livello, sotto gli occhi attenti di Dido Guerrieri e non solo: Livorno, Vigevano, Torino,  tanta Torino, ma poi anche Roma e Pistoia. Dove il Marchese (nomen omen, la famiglia di Carlo e Amedeo vanta effettivamente ascendenza nobiliari) interrompe la sua carriera professionistica a poco più di 30 anni, rinunciando a due laute annualità.

Chi vi ricorda???

Chi vi ricorda???

La migliore descrizione della Berloni Torino, una strepitosa formazione da Old Timers che carezzò lo scudetto senza mai arrivarci, negli anni del dominio metropolitano (Roma e Milano) e di Cantucky, l’ha data Simone Basso su Indiscreto. Sentite che poesia:

In una Berloni che era arrivata troppe volte a un passo dal Grande Ballo, Dido Guerrieri – con il compito (societario) di inserire piano piano la linea verde – realizzò un capolavoro. C’erano il QI notevolissimo di Caglieris, ma al caffè della carriera, il lavoro quantitativo di Vecchiato e la gioventù di Morandotti (che mostrava un potenziale che mai si avvererà..). Della Valle, atipico che Guerrieri utilizzava al meglio, un imberbe Pessina (che agitava l’asciugamano…) e – tra gli italiani – poco altro. Gli stranieri erano Gibson, bravo sotto le plance ma lungo sotto media se paragonato a quel che girava nell’evo, e Scott May. Quest’ultimo è l’esempio perfetto per sottolineare il trentennio di scarto: Giocatore dell’Anno e campione Ncaa 1976, a Indiana, ultima squadra imbattuta in un’intera annata; oro olimpico a Montreal, seconda scelta assoluta (dei Bulls) e primo quintetto All-Rookie Nba. Senza una lesione al ginocchio avrebbe giocato contro i vari Erving, Dantley, Marques Johnson, King, almeno una dozzina di anni… Invece venne qui (dall’altra parte dell’Atlantico non c’erano trenta franchigie), forse oggi finirebbe al Cska o al Real Madrid”.

Poi c’era lui,il Marchese. Diamantidis prima di Diamantidis, un playmaker decisamente più alto della media, che faceva soffrire terribilmente un certo Mike D’Antoni. Serie A, Nazionale maggiore, maglia azzurra, semifinali scudetto, eppure Carlo Della Valle era sempre un passo prima e un passo oltre l’impeto agonistico. Carezzava sogni guardando il mare, da ragazzo nato nei Sessanta solleticò evidentemente il suo lato beat, del resto erano gli anni di Kerouac e del tutto è possibile, niente è impossibile. La contestazione dei padri, in Carlo Della Valle, si trasforma in una felice accettazione del proprio status (comunque di privilegiato) unendo libertà e responsabilità. Doti importanti, che Carlo e la madre di Amedeo trasmettono al figlio. Libertà sì, anche totale, ma prima di tutto i doveri verso se stesso. Verso gli altri. Una forma mentis che non insegue il successo agonistico a ogni costo. Tutt’altro. Fai quel che vuoi, ma fallo bene. Mettici impegno, e passione. Sia il basket o qualsiasi altra cosa. E per un figlio privilegiato, Amedeo, si aprono molte strade. Ma lui non sceglie la più facile: Ohio State, college nero, dove l’imberbe albese, tutt’altro che un marcantonio tutto muscoli, mastica anche amaro. Ma l’imprinting  è quello giusto. Torna in Italia, firma per cinque anni con Reggio Emilia. Senza uscita. Della banda Menetti, Amedeo Della Valle è la componente scapigliata ma se necessario disciplinata. Imprevedibile, eppure consistente. Dietro i successi presenti e certamente futuri di Amedeo- uno di quelli che Virginio Bernardi, il suo agente, impiega meno di un istante a definire ‘campione vero, puledro di una razza eletta’- c’è tuttavia un’infanzia felice e solidamente formativa. Dove Amedeo gioca e sogna, senza costrizione alcuna. Ma entro logiche ferree, schemi dai quali non si fuoriesce.

Carlo Della Valle sorride mentre fissa i vigneti in un giovedì baciato dal sole. Durezza mentale e al contempo massima libertà,  impegno ma anche cazzeggio mentale, la concretezza del presente e la lucidità d’immagine futuri differenti.  E poi c’è una strada, “questa strada zitta che vola via/ come una farfalla, una nostalgia/ nostalgia al gusto di Curaçao”. O del Barolo di Angelo Gaja. Da sorseggiare piano. Langa dura. E pura.

Non avete ancora capito, perché Amedeo Della Valle diventerà un grande campione di pallacanestro, un giorno più o meno lontano?

Perché è figlio di Carlo Della Valle, Cristina Ferrero e della.. leggerezza.

Questa leggerezza:

“… è la mia peculiare malinconia composta da elementi diversi, quintessenza di varie sostanze, e più precisamente di tante differenti esperienze di viaggi durante i quali quel perpetuo ruminare mi ha sprofondato in una capricciosissima
tristezza. Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle minutissime d’umori e sensazioni, un pulviscolo d’atomi come tutto ciò che costituisce l’ultima sostanza della molteplicità delle cose” (Italo Calvino)

 

Il primo canestro di Amedeo Della Valle

Il primo canestro di Amedeo Della Valle

CAPITOLO 1: CONVERSANDO CON IL MARCHESE  ‘BEAT’, TRA ITALO CALVINO E DIDO GUERRIERI

Arrivai al basket casualmente, del tutto casualmente, da esperienze come quelle dell’oratorio. Ebbi la grande fortuna di incontrare sulla mia strada un ottimo allenatore come Bruno Boero, che fu affiancato da Terry Winters, fratello di Brian, che giocò in Nba. Ero un ragazzo decisamente più alto della media a 14 anni, mentre Amedeo è cresciuto più tardi. Da ragazzo non davo in ismanie per il basket, quando in terza Liceo a Torino cominciai a giocare a buoni livelli tutto venne spontaneamente. Per me fu tutto facile, vissi la mia carriera come un meraviglioso divertimento. Guarda, agli inizi giocavo con Sandro Dell’Agnello, che nella più brutta sala pesi di Livorno andava ad allenarsi per migliorare, continuamente. Io invece andavo a vedere il mare, che mi piaceva un sacco.

Eppure sei stato chiamato ‘Diamantidis prima di Diamantidis’..

Io ho ricevuto dal basket molto più di quanto abbia dato… Esprimere il massimo del mio potenziale? Chissà se fosse successo, ma coi se e coi ma non vai da nessuna parte. Penso che la grande Berloni Torino di Dido Guerrieri non vinse lo scudetto perché ogni anno capitava che il miglior giocatore veniva venduto. Poi certo,giocavamo con un fenomeno come Scott May.. Oggi dicono che i giocatori sono più atletici e fisici, ma io penso che oggi Scott May- alla sua velocità di fine carriera- in Italia sarebbe lo straniero più forte che abbiamo. Scott era l’unico che, come taglia, potrebbe tenere uno come Alessandro Gentile; con piedi straordinari, capace di vedere il gioco e di passare, con un tiro eccezionale. In quegli anni c’erano molti ottimi giocatori: Picchio Abbio, Morandotti, Pessina.. A Torino ne passarono davvero tanti. Masper..

Meo Sacchetti disse un giorno: ‘Un esempio della grandezza di Dido Guerrieri fu Carlo Della Valle, preso dalla serie B e proiettato nel basket di vertice. Un esempio che le società non seguono più’

Sai, un tempo gli allenatori avevano coi giocatori un rapporto diverso: il giocatore apparteneva alla società. Oggi un allenatore pensa a fare il meglio per avere un contratto l’anno successivo.

Larry Wright: ‘Chi non ama giocare per Guerrieri non ama il basket. Non potevi non amare le sue squadre: aggredivano, correvano, non appena possibile tiravano. Sarebbe piaciuto a Zdenek Zeman’

Su Dido Guerrieri sono molto preparato: lui fu quello che prese la mia sregolatezza e la incanalò in qualcosa di positivo. Non ero uniformato. Non so se lo apprezzai per la famiglia da cui venivo, io ero uno pensante. Non sempre gli allenatori li amano, quelli come me. Io ero uno libero, che decise di smettere a giocare e vivere di basket in un secondo. Dido mi spiegò che la mia energia andava gestita nel modo giusto, risolvendomi molti conflitti interiori. Mi ha cambiato molto anche come uomo.

Dido Guerrieri su Sacchetti: ‘Romeo.. Romeo è l’unico uomo al mondo che non puoi odiare. E’ troppo buono’

Sai, il grande vantaggio di Dido è che dopo averlo conosciuto eri obbligato a schierarti con lui. Era uno di cuore, che stava sempre dalla tua parte, non era né cinico né calcolatore. Un uomo intellettualmente ed esageratamente onesto.

Carlo Della Valle smette a 32 anni, con ancora due anni di contratto con Pistoia, rinunciando a un sacco di soldi..

Non mi è pesato smettere, anche se dovevo reinventarmi. Noi gente di Langa siamo creativi, diffidenti, caratteriali. Però, basti pensare a quante persone hanno avuto successo nel mondo partendo da qui, abbiamo una visione e una determinazione ferree. Del resto noi non siamo piemontesi, siamo gente di Langa.. Chi mi chiamò per primo il Marchese? Fu una cosa sempre di Dido, la mia famiglia aveva uno stemma nobiliare. Ma sai, ho una tale leggerezza interiore nel vivere le cose, la capacità di non prendermi troppo sul serio, ma anche quella di decidere cosa conta o no. Vengo da una famiglia dove mio padre era medico, mia madre era medico, mio fratello è medico. Sembrava un miracolo che io facessi altro. Però questo mio carattere diverso non è mai stato contrastato: solo, mi hanno sempre insegnato a fare bene tutto quello che decidessi di fare. Una leggerezza che ho trasmesso ad Amedeo, ho voluto che lui fosse libero, poi l’ho allenato quand’era bambino, poi siamo andati a vedere le prime partite. Ma tutto molto light. Non ci è mai importato che diventasse un campione, ad Amedeo è interessato il percorso. Lui  viene da una famiglia agiata e deve confrontarsi col mondo. Io vengo da un’educazione severa ma molto formativa, lui ha potuto scegliere- volta per volta- cosa avrebbe fatto. Essere mio figlio può essere stato un handicap per lui, specie a causa di alcune malelingue. Amedeo ha imparato che se vuoi ottenere dei risultati devi fare dei sacrifici; per lui il basket è sempre stato determinazione e impegno. Gli abbiamo sempre detto ‘possiamo accettare che tu sia il giocatore più scarso della squadra. Non possiamo accettare che tu non dia il massimo’. Questa è l’impostazione cui Amedeo è sempre stato abituato. Ci sono genitori che per i figli fanno molto in modo materiale, chi lo fa in altro modo. La cosa migliore che penso di poter fare per Amedeo è dargli delle qualità per affrontare al meglio la vita: se scendi in campo dando il massimo, magari non vinci, però difficilmente perdi. Ecco cosa vorrei trasmettergli. Cerco insomma di contaminarlo con la leggerezza che avevo io alla sua età.

Carlo Della Valle e Dido Guerrieri

Carlo Della Valle e Dido Guerrieri

 

E come lo vedi il basket italiano, dalla sua postazione di osservatore privilegiato?

Vedo poca programmazione, vedo poche squadre che ad aprile- adesso- stanno già pensando alla prossima stagione. Quanti allenatori di serie A hanno il contratto per il prossimo e per i prossimi anni? Quante società sono contraddistinte da quello che, in modo un po’ inflattivo, viene chiamato ‘progetto’? Reggio, Trento.. E poi?

E cosa farà da grande Carlo Della Valle?

Vorrei, per  i prossimi 5 o 10 anni, consolidare la mia agenzia assicurativa e farla crescere. Siamo già in 30, ma possiamo migliorare. Ci sono sempre nuove sfide da cogliere

Quando a Virginio Bernardi ho chiesto ‘Amedeo diverrà un grande campione’, la risposta è stata ‘certamente sì’.

Sai, un padre dev’essere sempre vicino a suo figlio nel modo migliore. Io sono sempre andato controcorrente, e spiego ad Amedeo che la gente vede di continuo le stesse soluzioni, che spesso possono essere giuste ma non le migliori. Lo esorto ad avere sempre un senso critico personale, ed è una cosa che gli riesce bene. Se sei pronto a cambiare, a percepire, allora puoi sempre crescere. Ed in questo lui è avanti anni luce, capace di adattarsi alle situazioni con una determinazione assai rara. Amedeo non è un bianco esplosivo, è un ragazzo come mille altri: eppure scelse Ohio State, un posto dove giocano atleti di colore estremamente fisici. Eppure ha vinto quella sfida, anche giocando poco, perché quando era chiamato si faceva trovare pronto. Poi sai, nella vita può accadere di tutto.

CAPITOLO 2. IL MARCHESINO APPRODATO ALLA CORTE DUCALE

Amedeo, qual è il tuo primo ricordo legato al basket?

E’ un  ricordo che sicuramente  risale a quando ero bambino, molto piccolo. I tempi di quando, nel giardino di casa,  giocavo assieme a mio padre. Di solito succedeva prima che andasse alla partita.

A quando risale l’amore per la pallacanestro?

Non penso ci sia una data particolare o un momento: tutto nacque in modo spontaneo e naturale. Da bambino mi piaceva molto il calcio, anche se penso mio padre l’abbia patita come passione.. Complessivamente,  non sono mai stato forzato a giocare a basket. Mi sono sempre sentito libero, su di me non c’è mai stata nessuna pressione. Poi forse col tempo, coi risultati, mi sono fatto un’idea migliore di cosa potesse diventare la pallacanestro nella mia vita. Ricordo che, alle prime partire di serie A cui assistetti con mio padre, lui scherzava e mi diceva di conoscere i giocatori, gli allenatori..

Gianluca Basile e un piccolissimo Amedeo Della Valle

Gianluca Basile e un piccolissimo Amedeo Della Valle

C’è una sera in cui tuo padre ti porta a vedere una partita di Eurolega a Bologna, dove giocava la Fortitudo di Basile e Pozzecco. Cosa ricordi di quella sera, quando conoscesti anche Marco Belinelli?

Me ne ricordo perfettamente, fu la prima partita di basket ad alto livello cui assistetti. E’ come se fosse ieri: andai negli spogliatoi grazie a Nino Pellacani, molto amico di papà, e ricevetti persino un paio di scarpe di Gianmarco Pozzecco, che ancora custodisco gelosamente. Forse da quel giorno cominciai a capire davvero l’amore per il basket, e comunque  diventai tifoso della Fortitudo. Anzo, il mio sogno era proprio indossare la maglia della  Fortitudo..

Cosa significa essere il figlio di Carlo Della Valle?

Sicuramente mio padre ha una buona reputazione a livello umano, è uscito dal basket presto e non certo per soldi, ma perché non si divertiva più. Credo sia una persona da stimare, perché non aveva nessuna certezza ed è riuscito a crearsi il suo futuro da solo. Oggi conduce una grande agenzia assicurativa con decine di persone, il che significa che il suo sforzo ha prodotto degli ottimi risultati.

The Splash...

The Splash…

E cosa ne dice della definizione di tuo padre come ‘Diamantidis prima di Diamantidis’?

Penso sia davvero una bella definizione, il palleggio del resto è simile.. Mi sarebbe piaciuto vedere le sue partite di serie A, ma ha smesso troppo presto. Però ricordo di quel giorno, avevo 14 anni, in cui andammo a New York a vedere i Knicks, incontriamo Mike D’Antoni- che ai miei occhi era l’allenatore di Carmelo Anthony e di campioni del genere-  e lui, sorridendo, mi dice ‘sai che tuo padre mi faceva sempre il culo?’

Avresti avuto altre possibilità, nella vita. Hai mai pensato di coglierle  e quindi di fare altro?

Sì, ci ho pensato, non è mai scontato poter giocare ad alti livelli. Tutti vorrebbero essere come me, ossia un giocatore, ma penso che una persona debba fare quello che desidera.  I soldi ti aiutano, ma raggiungi il pieno appagamento personale se realizzi quelli che vuoi veramente.  Io adesso non ho dubbi, la pallacanestro è la mia scelta. Certo, ho la fortuna di non avere problemi economici, però se non mi divertissi smetterei all’istante.

Cosa ti hanno insegnato i tuoi genitori e la tua famiglia, prima di tutto?

Sicuramente molto, moltissimo.  Ancora adesso io mi confronto e parlo coi  miei compagni, spesso capita che mi sembri di far bene; invece loro intervengono duramente, dicendo che potrei fare meglio. Mia madre magari fa più fatica, con mio padre a volte mi sono confrontato, anche duramente. Un esempio è quello relativo alla scuola: ho sempre voluto fare una scuola facile e che non  mi impegnasse, quindi non volevo andare al Liceo. Adesso  invece ringrazio la mia famiglia per avermelo fatto frequentare.

Della Valle Amedeo (Foto R.Caruso 2014)

Amedeo  a Cantucky (Foto R.Caruso 2014)

A posteriori, cosa ti ha dato l’esperienza americana?

Tantissimo: credibilità come giocatore, ero stato il migliore giocatore Under 20, ma non c’è quasi mai sufficiente rispetto per un giovane giocatore, è difficile si possa credere in lui, specie in Italia. Ci sono squadre di Eurolega con dei giovani eccellenti, dove i protagonisti sono loro. Quindi serve fiducia  e credibilità.  L’esperienza in Ncaa mi ha dato molto a livello atletico; facevo fatica a essere reattivo, invece adesso è un mio punto forte. Mi ha inoltre aiutato a conoscere i giocatori, magari più complicati da marcare rispetto a quelli italiani ed europei.

Hai fatto bene ad andarci, quindi?

Senza dubbio.

Cosa hai detto e consigliato a Federico Mussini?

Di andare in America, senza dubbio. Magari qualcuno mi vorrà male, ma Federico è un amico vero,  lo dico per il suo bene. C’è sempre tempo a tornare. E poi la vita non è solo il basket.

Dove può arrivare Reggio Emilia, quest’anno?

Sicuramente in finale scudetto. Non è un sogno, stiamo giocando bene. Abbiamo acquisito un’altra dimensione, il momento difficile pare passato; e lo era davvero, sotto canestro facevamo fatica.

Si sta bene a Reggio?

Moltissimo:  si sta bene col gruppo, la squadra. Non è facile trovare un posto così, l’allenatore è una persona di cuore,  sempre dentro le situazioni. Inoltre tu lavori e loro ti seguono sempre, ogni momento.

Hai 5 anni di contratto con Reggio Emilia, senza uscite. Sei convinto di questa scelta?

Sono convintissimo, sono molto concentrato e so di poter migliorare. Non penso ci sia un altro posto migliore. Chiaro che Milano è trendy, ma per me adesso Reggio è il top.

Da grande, preferiresti indossa la casacca di una grande squadra di  Eurolega o quella Nba?

E’ difficile,  specie per me che sono un tifoso del Cska. Magari entrambe, perché no… Peraltro il Cska è quasi equiparabile a un team Nba.

Pesa essere considerato un grande talento, uno che- dicono tutti-  diverrà un campione?

No, perché alla fine non bisogna ascoltare chi dice che sei bravo. Viviamo in italia, tutti fanno gli allenatori, è davvero pessimo.. Magari c’è un giovane come Mussini che gioca bene, poi la volta dopo gioca male e viene contestato duramente: manca la cultura sportiva, come invece accade negli Usa.

Chi è un campione di basket?

E’ colui che ha  consapevolezza, che  è un leader, che conosce i suoi mezzi.  Avere a fianco Ricky Hickman fu una fortuna; io stavo scegliendo se andare o no in Usa, lui mi diceva che dovevo continuare  a lavorare duro. E si vedeva che era un leader, magari più silenzioso, però sapeva comandare senza dire molto. Un leader dimostra di esserlo anche sul campo.

Chi è il campione che ammiri o hai ammirato di più, in questo sport?

Sicuramente adesso Milos Teodosic, perché fa delle cose straordinarie. E’ sfacciato. Anche lui comanda e orchestra, spesso si arrabbia ma ha tutto sotto controllo. In Nba ho enorme stima per Lebron, del resto ho giocato in Ohio anche io.. Ma dopo che lui si è preso gli insulti vincendo a Miami, è tornato a casa: qualcosa di straordinario, unico.

Cosa farà da grande Amedeo Della Valle?

Non lo so ancora, però ci penso già adesso.. Sono stato abituato a farlo, voglio capire quali sono le mie reali possibilità.

E dopo la carriera?

Prima di giocare a basket ho sempre pensato che avrei voluto lavorare in un posto caldo, sono stato con mia madre su isole che mi hanno davvero appagato e  lasciato un ottimo ricordo. Mi piacerebbe lavorare con gli animali.

 

“Urlava di dolore e di vittoria e non capiva niente e si teneva stretto al ramo, alla spada, nel momento disperato di chi ha vinto la prima volta ed ora sa che strazio è vincere, e sa che è ormai impegnato a continuare la via che ha scelto e non gli sarà dato lo scampo di chi fallisce” Italo Calvino