Foto V.V.2017

Non volendo essere presuntuoso con i lettori di DailyBasket, per il mio battesimo sulle colonne del sito non ho scelto una forma impegnativa ed ingessata come quella dell’editoriale. Decisamente meglio utilizzare un termine cestistico come punto: perché, alla fine, quello che conta è averne uno in più dell’avversario sul tabellone.

Questa era solo una doverosa ma necessaria premessa per chi, ogni mercoledì, avrà la pazienza di leggere poche righe, si spera utili per capire che aria tira sui nostri canestri. Mi si perdoni anche l’utilizzo di una profana metafora calcistica (non pensate male di me già al debutto) : ma è il caso, dopo 18 giornate, di entrare “a gamba tesa” sulla Serie A.

La campagna elettorale incalza e il nostro massimo campionato sembra essere in linea con gli esecutivi dell’ultima legislazione. Lungi da noi volervi riempire la testa di considerazioni politiche ma è evidente che anche in Serie A vanno per la maggiore le larghe intese. Quattro squadre al comando quando si è superato il guado di metà stagione e la Final Eight si avvicina, sono una premessa incoraggiante nella lunga volata verso la post-season.

Se dovessimo basarci su criteri proporzionali diremmo che la maggioranza relativa spetta a Brescia. Ci sono momenti di una stagione che più di altri possono dire chi sei: beh, la Leonessa ha lanciato un segnale autentico a tutte le compagne di coalizione. Alzino la mano tutti quelli che avrebbero scommesso su una crisi di nervi dei ragazzi di Diana dopo le crepe delle quattro sconfitte in cinque partite, arrivate dopo la partenza boom da 9-0. La “crisetta” tecnicamente ci sarà pure stata ma l’ambiente si è dimostrato maturo a partire dai vertici: al bando isterismi e auto freno anche alle parole a caldo dei piani alti, la testa si è riabbassata sui pedali ed è partito un altro mini filotto aperto di quattro partite, dopo aver dato il classico “kiss of death” a Torino. Ma su questo ci ritorneremo. Morale della favola: Brescia è squadra e società verissima con una programmazione reale (questa sconosciuta per molti … ) come dimostra anche il rinnovo, con spiragli di futuro dietro la scrivania, per David Moss.

Chi lassù ci doveva essere e c’è è Avellino. Che Alberani fosse un genio o giù di lì lo sapevamo dai tempi di Roma. Che Sacripanti fosse un validissimo allenatore di sistema pure. E allora che ne parliamo a fare, direte voi. No, argomenti ce ne sono. La Sidigas ha un roster lungo e completo che, magari, a breve vedrà anche il ritorno di Lawal ed ha dimostrato tempra quando, dopo la sbornia del primato e della rullata alla Virtus, ha riannodato il filo calpestando ciò che restava di Torino. Ecco, il deficit da colmare sta nella testa: la squadra c’è, il coach idem, la società pure, si deve fare l’ultimo step mentale per togliersi grosse soddisfazioni. Peccato solo per un cammino sorprendentemente incerto in Europa, lì c’è da migliorare parecchio ma è tutta esperienza.

L’aria europea non piace nemmeno a Venezia che si sente un po’ come Antonio Cassano dopo il gol alla Bulgaria nel 2004 (troppe due metafore calcistiche, chiedo venia). Un biscottone confezionato sull’asse lacrime (da segnalare anche quelle del sindaco/patron Brugnaro per la grana palasport) e sangue Germania-Grecia, la spedisce fuori dalla Champions. Eppure i campioni in carica hanno riagganciato il trono con sudore, per carità, e con troppi finali in volata anche contro avversari abbordabili ma, comunque, sono lassù di nuovo. E occhio a Daye, il classico bonus stile “premio di maggioranza” quando il pallone nei playoff scotterà.

Su Milano gli aruspici hanno rinunciato ad esporsi. Qualcosa si è visto ma guai a sbilanciarsi. La storia recente in EuroLeague è da promuovere ma parzialmente. Le tre vittorie nelle ultime quattro uscite sono, se non altro, un’iniezione di fiducia da trasferire sul campionato per cementare le prime certezze che si intravedono. Pianigiani deve temere più i demoni che da un momento all’altro sono pronti a ricomparire che le avversarie. Il “nemico” è in casa ma si rivedono sprazzi di un Goudelock potenzialmente illegale per l’Italia, Micov è sempre Micov, Kuzminskas è un signor giocatore così come Gudaitis, Theodore non l’abbiamo ancora inquadrato. Uno starting five di buoni presagi c’è ma mai dare nulla per scontato.

Ma veniamo alle dolenti note: Torino non va più. Banchi aveva gettato la spugna, Recalcati ha fatto armi e bagagli e, adesso, ci si butta sul mercato. Preso Vander Blue, si aspetta Boungou Colo, potrebbe salutare Patterson. Troppe porte girevoli che rischiano di aver affogato un giocattolo divertente che poteva puntare in alto e ad aveva riportato grande entusiasmo in una super piazza. Un male, che sia oscuro o meno, c’è. Banchi e Recalcati non posso essere impazziti all’improvviso. La società getta acqua sul fuoco ma se fosse stata proprio lei ad attizzarlo? Noi non lo sappiamo.

Recalcati (Foto R.Caruso 2017)

Ipotizziamo, leggiamo ed osserviamo ma navigando a vista e perdendo le alleanze giuste si rimane fuori dal governo del campionato.

Last but non least, Capo d’Orlando. L’anno scorso l’abbiamo osannata adesso quasi ci piange il cuore. Ecco il cuore. Servirà buttarlo oltre l’ostacolo per non  far diventare una triste routine italiana le tremende imbarcate europee. Altrimenti c’è il rischio di fare come la Sampdoria che dalla Champions si ritrovò in B. Terza metafora calcistica. Ma adesso, giuro, ho finito.

Jacopo Romeo


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