Nel cuore della Comasina, il  fu regno di Renato Vallanzasca, la bellissima presentazione di ‘Scarpette Rosse’, una serata di ricordi e della pallacanestro di ieri. Che ha tanto da dire alla pallacanestro di oggi e di domani. Ma dov’è finito il Rolex che Cappellari ‘prelevò’ a Franco Casalini?’

Presentazione del libro (Foto Savino Paolella 2013)

Il ‘giovane’  sognatore, Werther (foto S. Paolella 2013)

MILANO  (quartiere Comasina) – Arriviamo alla stazione metrò di Affori, periferia estrema di Milano, nel tardo pomeriggio di una giornata torrida di metà luglio. Umidità tipicamente meneghina. Alla Comasina non venivamo da anni, credo dai tempi del liceo (più o meno, crollo del muro di Berlino). Devo dire che la Comasina fa abbastanza schifo e  sembra legittimare la scelta di chi un tempo decise di fare il bandito, come Renato Vallanzasca, Francis Turatello e i loro sodali che terrorizzarono la Milano degli anni di piombo.

In mezzo a questo quartiere dall’identità smarrita c’è un angolo di paradiso, il Quanta Village, un centro sportivo con campi da tennis, calcetto, beach volley e piscina. Un’oasi nel deserto metropolitano, dove nel tardo pomeriggio di un giovedì di luglio i figli della fu borghesia milanese- alta e media, ad occhio- si dilettano con gli sport di squadra. Quattro anziane e distinte signore giocano a carte sotto l’ombra di un grande albero,  mentre a poca distanza almeno tre giovani pallavoliste ci incantano per le natiche scultoree, che vedemmo in altri tempi (e con altre lune) sulle spiagge brasiliane. Dove la natica femminile attira più della barriera corallina.

Ieri sera, 11 luglio, Werther Pedrazzi ha presentato al Quanta Village- sotto la sapiente e abile regia di Toni Cappellari, Forever-young-basketball-man, la sua ultima fatica libraria,  ‘Scarpette rosse’, Limina edizioni, la storia dell’Olimpia, della quale vi abbiamo già parlato in abundantiam.

Werther Pedrazzi accoglie i suoi ospiti con grandi sorrisi e legittima soddisfazione, camicia bianca e abito azzurro. E che razza di parterre: Sandro Gamba, Dan Peterson, Franco Casalini, Tojo Ferracini, Gianfranco Pieri, Basilio Andolfo, Marino Zanatta, Gianni Corsolini, Roberto Allievi, un Franco Boselli dalla forma atletica smagliante, molti altri eroi dell’Olimpia. Non  c’era Tullio Lauro, passato a miglior vita tante tempo fa; però è rivissuta la sua voce negli ultimi 4 minuti di Tracer-Aris, la rimonta dal -31 di Salonicco in un Palatrussardi incendiario e futurista.  ‘Scampoli di un basket inguardabile ma sublime‘, commenta Werther, con la voce incrinata dal dolore in ricordo dell’amico che fu, e il cui ricordo resiste all’usura del tempo, come si conviene con chi ha lasciato una traccia importante nella sua vita terrena.

Non ci dilunghiamo molto perché, da persone  umorali quali siamo, stamani siamo inversi e disposti all’incazzatura facile. Vogliamo dire soltanto due cose: la serata di ieri è servita soprattutto ad evidenziare degli elementi discriminanti, fondamentali. L’Olimpia Milano non era solo una squadra di basket, ai tempi d’oro. L’Olimpia era uno stile. Punto. Le vittorie venivano  dopo l’assunzione di consapevolezza circa il succitato stile. Perché si vince con gli uomini dai coglioni d’acciaio, non solo coi giocatori dalla tecnica sopraffina.

Sandro Gamba e Dan Peterson (foto S. Paolella)

Sandro Gamba e Dan Peterson (foto S. Paolella)

La seconda: ieri sera il Quanta Village era pieno di gente anziana, che si regge su un bastone. Sandro Gamba, Gianni Corsolini. Ma cazzo, se queste persone non trattenessero il fuoco e l’impeto che ancora divampa nei loro occhi stanchi, incenerirebbero tutti quelli che hanno fatto male al basket o che trattano il basket senza il binomio essenziale, perché il basket possa vivere  e prosperare: amore e passione.

E se non avessero gambe e ossa acciaccate, siamo certi che prenderebbero a calci nel culo chi profana il basket presentandosi sul campo con delle ossa tra i capelli, con delle specie di anelli al naso e tatuaggi- un po’ ovunque, sul corpo- da gangster-rapper-teppista dei sobborghi di Detroit. Perché anche volendo fare il rivoluzionario da parquet  non bisogna conciarsi necessariamente come degli animali: Roberto Premier spaccava il  culo a ogni avversario, ma aveva una pettinatura da ragazzino della pubblicità che reclamizzava l’ovetto Kinder. Eppure…

Il basket, c’insegna e trasmette questo libro, è tutto racchiuso in tre cose: amore, passione,sogno. E vive grazie ai sognatori come Werther, Corsolini, Gamba, Cappellari. Se quelli con 20, 30, o 40 anni d’età non lo capiscono, al basket non resterà che abbassare la saracinesca e consegnare la sua epica  al museo delle cere.

E dire, come scrisse il Maestro Omero, che Werther ha certamente letto e soppesato, ‘anche questo, un giorno, sarà bello ricordare’.

Ci resta solo un dubbio: ma dove diamine è finito il Rolex di Casalini che T0ni Cappellari gli ‘prelevò’ temporaneamente, per motivi riconducibili alle pubbliche relazioni, e che tuttavia non tornò mai più al polso di Casalini??

Fabrizio Provera