Sodini (Foto R.Caruso 2017)

 

« A tutti noi per Dio!
A noi, a Dom e ai privilegi della gioventù!
A quello che siamo e a quello che eravamo… E a quello che saremo»

Fandango, 1985

 

Alle prese con una verde milonga

il musicista si diverte e si estenua…

E mi avrai verde milonga che sei stata scritta per me

per la mia sensibilità per le mie scarpe lucidate

per il mio tempo per il mio gusto

per tutta la mia stanchezza e la mia mia guittezza.

Mi avrai verde milonga inquieta che mi strappi un sorriso

di tregua ad ogni accordo mentre.. mentre fai dannare le mie dita…

Io sono qui sono venuto a suonare sono venuto ad amare

e di nascosto a danzare…

e ammesso che la milonga fosse una canzone,

ebbene io, io l’ho svegliata e l’ho guidata a un ritmo più lento

così la milonga rivelava di sè molto più,

molto più di quanto apparisse la sua origine d’Africa,

la sua eleganza di zebra, il suo essere di frontiera,

una verde frontiera …

una verde frontiera tra il suonare e l’amare,

verde spettacolo in corsa da inseguire…

da inseguire sempre, da inseguire ancora,

fino ai laghi bianchi del silenzio fin che Athaualpa

o qualche altro Dio non ti dica descansate niño,

che continuo io… ah …io sono qui,

sono venuto a suonare, sono venuto a danzare,

e di nascosto ad amare

(Paolo Conte, Alla ricerca di una verde milonga)

 

CANTU’ (Como)-  Se per assurdo Marco Sodini fosse stato all’università di Austin-Texas,nel 1971, Kevin Costner  l’avrebbe caricato su una immensa Cadillac assieme agli scapestrati del cult movie di Kevin Reynolds, Fandango, pellicola girata nel 1985, quando l’attuale coach di Cantucky aveva 12 anni e passava una pre-adolescenza felice a Viareggio, figlio di Claudio Sodini,  presidente della Fondazione Carnevale di Viareggio e docente di Matematica Applicata all’Università di Pisa. L’amore per il basket glielo infonde proprio il padre, sportivo da sempre, campione di basket negli anni 60-70 e di bocce.

red-october-cantu-foto-r-caruso-2016

Kevin Costner (alias Gardner Barnes, nel film: non l’avete visto? Smettete di leggere, guardatelo e riprendete SOLO ALLORA la lettura di questo memorabile pezzo) l’avrebbe portato con sé, in quell’emblematico road movie post contestazione senza banali e ritriti luoghi comuni, perché Marco Sodini ha una vena carnascialesca, da uomo cresciuto in una città di mare, frutto della mescolanza di eroi, guitti, nobile, battone, perdigiorno e biscazzieri. Come ogni città di mare sa essere, tanto più se nel cuore di quella Toscana (anzi, di Versilia) dove ‘ma vai in culo, và’, è una sorta di litania pagana (molto pagana..)

Ma se si vuole capire prima l’uomo, essenziale per capire l’allenatore (come ci ha insegnato il nostro maestro Werther Pedrazzi), allora bisogna tornare ai tempi dell’eroico Donato Sodini, nonno paterno del coach, palombaro nato nel 1904 e componente d’equipaggio della leggendaria nave Artiglio, con cui compì imprese scolpite nella storia degli uomini di mare.

Teste fascië ‘nscià galéa
ë sciabbre se zeugan a lûn-a
a mæ a l’è restà duv’a a l’éa
pe nu remenalu ä furtûn-a

Teste fasciate sulla galea
le sciabole si giocano la luna
la mia è rimasta dov’era
per non stuzzicare la fortuna

(Sinan Capudan Pascia, Fabrizio De Andrè)

Ed è proprio il padre che porta avanti, in memoria di Donato Sodini, il racconto delle imprese compiute nei recuperi marittimi e nei lavori subacquei dopo la seconda guerra mondiale. Unite poi qualche altro ingrediente- una madre docente di Ragioneria e vicina più volte alla candidatura a sindaco della città nota in tutto il mondo per il suo Carnevale, una sorella giocatrice di basket dal grande talento (e due lauree..)- ed a quel punto capirete un po’ di più di questo giovane coach nato il 25 giugno del 1973, sotto il segno del cancro, stesso segno e stesso anno di chi scrive. Noi inguaribili sognatori a occhi aperti, noi visionari di traiettorie impossibili..

Marco Sodini arriva a Cantucky, ‘per il tramite’ di monsù Virginio Bernardi, il suo agente, dopo aver percorso tanta di quella strada aerea che Alitalia l’avrebbe dovuto premiare con qualcosa tipo Mille milioni di miglia; a un certo punto, volendo pervicacemente diventare capo allenatore, scrive una mail a tutte (ripeto: tutte) le società professionistiche del mondo, offrendo il suo curriculum. Qualcuno gli risponde, non ho ben capito se dalla foresta pluviale o da qualche lembo estremo del pianeta, ma gli risponde.

Marco Sodini (foto R.Caruso 2017)

Marco Sodini (foto R.Caruso 2017)

Per ottenere un palcoscenico importante, ed uscire dal semi anonimato di popolarità (ma non di conoscenza tecnica: Luca Banchi lo vuole all’Olimpia nel 2013, anche se per poco), sceglie il luogo più evocativo e il modo più folle: la panchina di una società unica al mondo, dove tuttavia i primi mesi sono più burrascosi del Titanic mentre imbarcava acqua a go go.

E ci sono voluti una dose esagerata ed irrazionale di ottimismo, rumorosi silenzi, affollate solitudini, chissà quante notti in bianco a chiedersi come e perché la prima, vera occasione di condurre da capo allenatore una squadra di serie A  si fosse trasformata in una specie di vaudeville o di commedia degli equivoci. Passata, nel breve volgere di pochi mesi, da partite giocate in un Paladesio dove s’udiva il rumore delle suole sul parquet alla più sfavillante impresa recente nella storia della Pallacanestro Cantù: le Final Eight di coppa Italia a Firenze.

Ma perché c’importa così tanto questa ‘matricola’ della massima serie, tanto da concedergli una di quelle interviste che solo Andrea Trinchieri s’è meritato, dal 2013 ad oggi? Per quello.. Perché se si studia la storia di Sodini, lo si decritta nei movimenti, nelle conferenze stampa che finalmente sono riuscite a spezzare la noia mortale di quei riti pre e post partita, allora si coglie più d’un segno del Trinchierismo ortodosso. Nobili genere natus (o quasi), un’intelligenza con cui bisognerà riuscire a fare pace, prima  o poi (cit. Stefano Michelini), Marco Sodini ci ha fatto pensare a quello che ci disse il marchese Carlo Della Valle: ‘Sai, io e Dido (Guerrieri) eravamo due pensanti. Lui un grandissimo allenatore, una persona dalla cultura raffinata, io un 20enne che avrebbe potuto fare altro nella vita, e che mentre era a Livorno guardava il mare con un libro, prendendo il sole sugli scogli, mentre Sandro Dell’Agnello si faceva il culo in palestra’. I pensanti, nel basket, sono gli unici che ci affascinano per davvero.

Sodini (Foto R.Caruso 2017)

E quando scopri che sin da quando era bambino a casa Sodini era ‘di casa’ Sandro Luporini, il geniale paroliere di Giorgio Gaber, allora tutto si chiarise. Tutto assume un disegno (dis)ordinatamente preordinato.

Marco Sodini è certamente un allenatore pensante, capitato dove tempo addietro ‘evoluirono’ altri coach della stessa foggia come Valerio Bianchini o lo stesso Trinchieri. Il Poeta Guerriero aveva 41 anni alla prima stagione del Pianella, Sodini 43. Sono cambiate molte cose, nel frattempo. Ma ce ne sono altrettante, di analoghe.

Coach Sodini ci piace perché con lui risulta appagante parlare di tutto, e non necessariamente di basket. Il gioco ce l’ha nel sangue, negli occhi e nella testa, ma con una sinfonia e uno spartito tutti suoi, un miscuglio sapiente di amore per la tecnica, sprezzo del rischio, consapevolezza di dover ridurre e in tutta fretta il gap con i pari ruolo che calcano l’A1 da anni o decenni.

Ma ci mette poco, Marco Sodini. Perché si dimostra capace di reinventare. Affrescare. Improvvisare. Trasformare generosi carneadi come Maspero in gladiatori senza paura. Per tutta la mia stanchezza e la mia guittezza.

E come volete che reagisca, un viareggino carnascialesco e girovago, passato peraltro da un’importante parentesi da assistant coach alla Virtus Bologna, all’incedere del tempo in un contesto nel quale (il basket italiano) gli allenatori si comprano e vendono spesso come fustini? Dove la continuità tecnica è un miraggio? Irridendo il presente, sorridendo..

Aleksa Avramovic e David Moss (foto Stefano Gandini 2018)

“le barricate in piazza le fai per conto della borghesia/ che crea falsi miti di progresso/ Chi vi credete che noi siam, per i capelli che portiam/ noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre”

Ecco perché abbiamo voluto conoscere, di più e meglio, il Marco Sodini se non fuori ‘ai lati del parquet’, a scarto di un gioco che è una parte importante della sua vita, ma non tutta per fortuna (“Mettiamo in campo cristoni di 210 cm in mutande con una palla. Non salviamo vite umane, è bene ricordarcelo ogni tanto”, cit. Trinchieri).

L’approccio di Marco Sodini verso tutto quello che lo attraversa, lo incrocia, lo sfiora, ha molto del disincanto più aristocratico che borghese di un Paolo Conte (Oltre le dolcezze dell’Harrys Bar E le tenerezze di Zanzibar, c’era questa strada/ Oltre le illusioni di Timbuctù e le gambe lunghe di Babalù/  c’era questa strada/  Questa strada zitta che vola via / Come una farfalla, una nostalgia
/ Nostalgia al gusto di curacao / Forse un giorno meglio mi spiegherai).

Per la prima volta (almeno non ci risulta sia successo prima), Marco Sodini affronta anche il tema del suo futuro professionale: ol 30 giugno scade il contratto in essere con la Pallacanestro Cantù. E le parole del coach sono molto chiare, a riguardo. Cristalline, come direbbe il tenente Koffee al colonnello Nathan Jessep in Codice d’Onore. Serve un progetto, serve un ciclo. E, a costo di risultare magari più banali, una serenità capace di dare continuità. Del resto sarebbe davvero un peccato, perdere un allenatore di cotanto spessore (tecnico e umano). Non vi pare?

Boscia Tanjevic,

E in tutto questo, ovviamente, c’è l’ammirazione per il basket di  Boscia Tanjevic al tempo di Limoges, il basket dei 47-44 (punteggio finale..), anno 1996-1997 (l’unico, in terra di Francia).

Vi sembra un caso? A noi no. Buona lettura (avete visto Fandango, nel frattempo? No??? Andate e fatelo. Altrimenti capirete molto poco di quello che segue).

 

D Coach, la decompressione post Firenze è finita oppure no?

R Da parte nostra è finita nel momento della sconfitta con Brescia. Tendo a non avere quasi mai rimpianti e pochi rimorsi, soprattutto ho cercato di trasmettere la mia volontà di ricordare dimenticando. Perché se ci facciamo aspettative errate non va bene, ma ovviamente vorrei che i miei ragazzi ricordassero lo spirito di quelle partite, che va replicato.

D Qual è la prima cosa che hai detto dopo la vittoria con Milano, e a chi?

R A David Cournooh, ‘ti avevo detto che non succede, ma se succede..’

D E dopo la partita con Brescia?

R Grazie. Non è vero: ho detto ‘bravo’ ad Andrea Diana.

 D Cos’hanno significato i tre giorni di Firenze, una sorpresa o il compimento di un percorso?

R Né l’una né l’altra, una sorta di limbo scisso da tutto. Come una bolla, anche se la consapevolezza dei miei ragazzi ce l’ho sempre.

 

D Rivedendo la conferenza pre partita con Milano, ho colto che tu ci credevi davvero..

R Il mio modo di essere sorridente fa passare in secondo piano il fatto che non sono capace di ammettere di non poter vincere o di  non poter fare qualcosa. Sono molto esigente con me stesso. Certo, in 24 anni sono cambiato.. All’inizio, dopo una sconfitta, non mangiavo. Ho avuto una squadra da 28 perse su 30 un anno, puoi immaginare come fossi magro..

D Quando hai capito, prima del match, che avreste battuto l’Armani?

R C’è un giocatore che ha il mio temperamento, Chappell: quando ho visto i suoi primi 2 minuti, ho capito che Milano non avrebbe mai vinto.

D Torniamo alle origini: parlaci di come sei cresciuto.

R Cresco in una famiglia fantastica, viareggini ma dal cognome di genesi fiorentina (Soderini); mio nonno era un eroico palombaro viareggino, recuperò la corazzata Cavour a Trieste e fece il primato mondiale di profondità con scafandro rigido. Aveva una forza sovrumana. Mio padre ha giocato a basket fino all’A2, a Viareggio, diventando anche miglior marcatore del campionato. Adesso è docente universitario di Matematica Finanziaria a Pisa. Mia madre è laureata in Economia ed ha fatto la professoressa. Entrambi sono stati molti vicini al diventare sindaco di Viareggio. Mia sorella, che adoro, ha due lauree in Ingegneria e Psicopedagogia.

D Una famiglia impegnativa?

R No.. Sembravamo casa Vianello. L’amore per il basket è nel Dna, anche mia sorella ha giocato ed aveva grande talento, fu fermata dagli infortuni. Io ho giocato dai 6 anni in avanti, e facevo sempre canestro.. Io segno da metà campo in corrispondenza di ogni allenamento.

D Quindi i tuoi genitori non accolsero male la tua volontà di diventare allenatore..

R Non andò così. Io ho smesso di giocare perché ero poco sviluppato fisicamente e non tenevo il campo, ma siccome  non riuscivo a stare lontano dal parquet e i miei mi spinsero ad aiutare una giocatrice amica di mia sorella. Cominciò in questo modo. Nel frattempi studiavo Ingegneria, ma mi accorsi che preferivo allenare.  E mi resi conto che lo stavo facendo di professione. Il mio primo istruttore disse che non avrei mai fatto l’allenatore di basket..

D E a quel punto i tuoi genitori cosa dissero?

R Nella mia famiglia siamo sempre stati liberi di fare quello che ci piaceva, assumendocene ovviamente tutte le responsabilità. Sono uno che ama lavorare sotto pressione.

D Hai incrociato la storia di Livorno, poi ne parleremo: avevi 16 anni nel 1989, ai tempi della epica finale con Milano. Cosa ricordi?

R La guardavo in televisione, ricordo perfettamente tutto. E quando ho conosciuto Andrea Forti, Fantozzi, Toni Cappellari.. Beh, sono uno che si meraviglia. Premier che esce dal campo scortato da Toni. Livorno è città calda: una volta vidi un incudine lanciato dagli spalti durante una partita di vecchie glorie.. La persona di Livorno che mi è rimasta nel cuore è Gianfranco ‘Cacco’ Benvenuti: io firmai col  Basket Livorno perché c’era lui. Il Don Bosco è la squadra dei Salesiani che andò in serie A, di cui io allenai l’Under 18. Poi arrivò il Basket Livorno, società partecipata dal Comune. Il mio primo contratto da professionista lo feci con Pistoia, in un momento nel quale ero estremamente quotato.

Luca Banchi (Foto Stefano Gandini 2017)

D Allenare in A1 alla tua età ha pesato oppure no?

R Il contesto non mi ha permesso neppure che me ne accorgessi.. La verità è che io per due anni non ho lavorato perché volevo fare il capo allenatore e non l’assistente, senza pensare ad A, B o C.. Mi dicevano che ero senza esperienza. Quando sono passato al professionismo ho scelto di fare il viceallenatore in A2; ci sono cose che devi imparare, è determinante. Essendo io un appassionato dell’allenare, e non dell’apparire, ho sempre pensato a cosa sarebbe successo se avessi allenato gruppi in cui ero il vice.

D Ma c’è stato un momento in cui hai pensato di smettere e fare altro?

R Sì, ma è durato poco. Quando non ho trovato squadra da vice allenatore, ho cercato le mail di tutte le squadre del mondo proponendomi come capo allenatore: mi hanno risposto da Malesia, Tibet, Thailandia..

D Ma in che lingue avevi scritto quelle mail?

R Inglese, francese, spagnolo..

D Tra gli anni 80 e i 90 in Italia si gioca una pallacanestro meravigliosa. Che squadre e che giocatori ricordi?

R La Virtus dei primi anni 80 e la Virtus di Danilovic degli anni 90. Noi siamo una squadra che gioca in contropiede e usa i pivot, come faceva Griffith a Bologna. E’ che oggi non trovi quei giocatori, inoltre ricordiamo che all’epoca la Virtus aveva il primo budget d’Europa. Noi adesso con la migliore squadra italiana non arriviamo nei primi 10.

D Cosa manca oggi? I soldi di allora o i vivai giovanili?

R Tutti quei periodi sono coincisi con programmi di lungo periodo, oggi no. Quest’anno siamo arrivati a febbraio senza cambiare un giocatore..

D Perché Livorno è così importante, per il basket italiano?

R Livorno è una città ancora povera, dove le persone vivono lo sport per emanciparsi, e moltissimi vedono nello sviluppo del giocatore una grande opportunità. Pensa a  nuoto, scherma, a tutto.. Arrivai a Livorno da Lucca, città ricca ed elegante. I bimbi lucchesi mi dicevano ‘buongiorno maestro’, quelli livornesi ‘te, budello di tua madre’.. A Livorno mi rompevano le scatole per un allenamento in meno.

D Penso che Andrea Trinchieri sia diventato quello che è perché figlio di un diplomatico, perché persona che poteva permettersi di fare scelte senza l’assillo economico. Mi sembra di capire che vale qualcosa di simile anche per te..

R Il mio contesto familiare ha influito nel momento in cui mi hanno spinto a pensare. Gaber disse ‘meno male che c’era il pensiero’, parole che peraltro scrisse Sandro Luporini, un grande amico di mio zio, il fratello di mia madre. Io ho sempre pensato di vivere la vita come volevo, certamente avevo una base che mi aiutava. Considera che ho fatto mille lavori per pagarmi le tasse universitarie: ho fatto il bagnino, il modello, il cameriere, il cantante di un gruppo pop..

D Che musica ascoltavi a 20 anni?

R U2, De Gregori, De Andrè, Battisti, Battiato dopo. Oggi ascolto le stesse cose.

D Ma ascolti anche la robaccia che sentono i tuoi giocatori??

R Certo, se vuoi combatterli devi conoscerli… Ero in Ucraina poco tempo fa ed è previsto il tutto esaurito per il concerto di Pupo dell’8 marzo..

D Hai allenato due mesi a Milano, nel 2013.. Come fu quell’esperienza?

R Fu bellissimo e strano, feci due mesi da agosto a ottobre, c’erano gli Europei in Slovenia. Luca Banchi mi volle fortemente, appena mi vide disse di andare con Langford per allenamento individuale. Il secondo giorno fece fare a me la riunione di squadra.

D La Milano di quell’anno fu la più forte degli ultimi anni, disputando anche una grandissima Eurolega. Cos’aveva di speciale?

R Banchi, oltre a essere forse il migliore allenatore europeo in palestra, ha una  cosa che è molto toscana: fa passare la differenza tra vincere e perdere, quello che credo manchi oggi a Milano. Noi a Firenze non contemplavamo l’idea di essere sconfitti.

D E in quell’Olimpia che triturò Olympiacos e Barcellona c’era Alessandro Gentile, 21 enne e fortissimo..

R Io con lui feci solo 5 giorni. Quel Gentile era un giocatore da Nba, penso lo possa diventare ancora.

(Savino Paolella 2016)

Alessandro Gentile (Savino Paolella 2016)

D Ho letto che sei stato in Colombia, dove quelli come me pensano che il cartello di Medellin controlli anche la pallacanestro… Cosa ci puoi dire?

R Nel periodo in cui andai io, tra 2013 e 2014, stetti alcuni mesi a  Bogotà. La Colombia ha un materiale umano davvero interessante, sono il paese del Sudamerica col più alto tasso di afroamericani, con un  grande fisico. Io sono stato il primo allenatore europeo a fare una lezione tecnica, un clinic. Il progetto in essere all’epoca si chiamava Colombia 2028, progetto per arrivare alle Olimpiadi.

D Sei stato anche in Ucraina

R Quando ci andai io le prime 4 squadre avevano grandi budget ed alto livello, giocavano D’Or Fisher, Curry, Doron Perkins. Contratti milionari.

D Perché Luca Banchi è così speciale?

R Quando passai da Lucca a Livorno, Massimo Faraoni- presidente del Don Bosco- prese Banchi e me lo mise in camera per una settimana. Il mio primo modello fu lui, io ero uno che faceva chilometri per vedere un allenamento. Sono fatto così, sono maniacale. Mi arrogo poi il fatto di essere così appassionato dell’allenare, e uno come Banchi non l’ho mai visto. Neppure quando ho visto Ettore Messina: quando Banchi vede un movimento tecnico, è avanti dieci anni rispetto a tutti.

D Tre colleghi italiani che stimi e perché

Andrea Trinchieri per la capacità di essere sempre uguale a se stesso e sempre diverso. Carlo Recalcati per il buon senso che ha sempre avuto in contesti diversi. Simone Pianigiani per la sua incapacità di NON accettare contesti NON vincenti.

D Siena l’ha aiutato, in questo?

R Pianigiani è stato costruito per essere Pianigiani da Minucci, sin dalle giovanili. Quando Siena perse di 40 con l’Olympiacos non voleva tornare ad allenare la partita dopo. Lo convinsero e la vinse.

D Tre allenatori fuori dall’Italia

R Obradovic, perché se vinci così tanto una ragione ci sarà.

D Gli faresti da assistente?

R

D Poi?

R Popovich per via dell’anatra (poi ti dirò), infine dico Pat Riley perché passa dallo show time dei Lakers al  basket di transizione dei Knicks.

D Torniamo a Viareggio. Cosa c’è di viareggino, in te?

R Lo spirito carnescialesco e la genialità di chi ha il salmastro nelle vene. Il Carnevale di Viareggio ha una ironia seria che provoca la necessità di essere autoironici e introspettivi. Non sono molto viareggino perché amo lavorare, mentre a Viareggio farebbero tutti i bagnini da maggio a settembre.

D Ti piace il pesce?

R Mi piace tutto.

D E c’è rivalità con Forte dei Marmi?

R Viareggio ha rivalità con tutto il mondo, Forte per i viareggini è come se non  esistesse, è come una via con tre negozi..

D Ma si mangia meglio da Lorenzo al Forte o da Romano a Viareggio?

R Si mangia da Dio alla trattoria il Gabbiano, in fondo a viale dei Tigli a Viareggio.

D Che libro hai sul comodino?

R Ne ho talmente tanti.. L’Arte dell’Attesa. Amo molto Umberto Eco e il Nome della Rosa, e adoro la prima pagina del Pendolo di Foucault.

D Come si mangia a Cantù e dintorni?

R Cucino per me stesso, ma ho apprezzato molto la cassoeula. Certo, risotto con pesce di lago.. E’ meglio il pesce di mare.

D Il viaggio più bello che hai fatto?

R Il prossimo.

D Il viaggio che vorresti fare?

R Il tempio di Angkor Wat in Malesia. Bel posto, dove si unisce la terra al cielo.

D Sei credente?

R A mio modo. Ho ricevuto i sacramenti.

D Personaggi storici di riferimento?

R Ti direi Ramsete Secondo

D Perché?

R Perché nessuno ricorda come fosse.

D I tre principali difetti di Marco Sodini

R Arroganza, maniacalità, sincerità.

D I tre pregi

R Disponibilità, passione, l’essere sempre sorridente.

D Dove ti vedi tra 10 anni?

R Su un campo di basket.

D Tra 20?

R Su un campo di basket.

D Questa Cantù può arrivare ai playoff? E come?

R Prima serve ottenere la matematica salvezza.

D Cosa può dare Ellis alla tua squadra?

R Competitività, multidimensionalità, freschezza. E’ un giocatore che mi piace ma che non ha mai giocato in Europa.

D Tra ottobre e novembre avete vissuto momenti difficili. Quale è stato per te il momento PIU’ difficile?

R Un attimo dentro gli uffici societari di Cermenate in cui non sapevo se ci sarebbe stato l’attimo successivo.

D Di chi fu l’idea di andare a salutare gli Eagles sul piazzale del Paladesio?

R Non ricordo, ma non fu mia.

Eagles Cantù (Foto R.Caruso 2015)

D Cosa farai l’1 luglio 2018, il giorno dopo la scadenza del tuo contratto con Cantù?

R Riposerò.

D Ma il desiderio di costruire qui un ciclo,  a Cantù, ce l’hai?

R In qualche posto del mondo sì, l’ambizione è avere la possibilità di portare avanti un ciclo con un progetto condiviso.

D Chi sono i canturini che ti hanno colpito di più?

R Quelli che ho intorno tutti i giorni.

D La cosa più bella che ti hanno detto qui a Cantù

R Me ne hanno dette tante. Quella che hanno fatto: i miei giocatori a Firenze. Ho sempre avuto dai miei giocatori più di quanto ho dato.

D Il gelato di Nonna Papera l’hai assaggiato?

R Me l’hanno portato, quando allenavo ancora a porte chiuse.

D Cosa hai provato la prima volta che hai attraversato il tunnel del Pianella prima di entrare in campo?

R Al Pianella ci venivo da avversario. Vorrei tanto allenare al Pianella in casa.. Diciamo che la primissima volta al Pianella ebbi un ‘serenissimo’ scambio di battute con gli Eagles. Era ai tempi della Virtus,  con David Moss, fai un po’ te..

D Giocasti la epica serie playoff contro Trinchieri..

R Sì, e Trinchieri dopo la vittoria in gara 5 di Cantù mi disse ‘non mi ero reso conto di quanto tu incidessi sulla squadra’. Il più grande complimento che ricevetti. E non avevo un rapporto stretto con lui.

D Le sue conferenze stampa le hai visionate prima di venire qui?

R No

D E le tue conferenze stampa?

R Un conto è seguire i dettami  di un capo allenatore, un altro scegliere metafore come ho fatto io di recente. E’ il mio modo di esprimermi, io sono una persona curiosa. Il basket è una cosa bellissima, ma la vita è più varia del basket. Riuscirei a vivere anche all’esterno.

D E se sai solo di basket, non sai nulla di basket..

R Certo. Come l’anatra di Popovich: quando allenavo i bambini dissi di tirare come l’anatra, spezzando il polso. Ho scoperto dopo 15 anni che lo diceva anche lui, in allenamento..

D Com’era la Virtus quando ci sei stato tu?

R Molto formativo, avevo squadre fortissime. Koponen, Moss, Sanikidze, dalla seconda lega turca Aaron Jackson.. Ragazzo che fece persino 1 anno in high school con una squadra mista, maschi e femmine.

D Giocatori interessanti fuori dal campo?

R Allora, Sanikidze una sera si presentò con Miss Georgia a una partita della Virtus e 5mila persone si girarono. Dopo 4 giorni gli dissi ‘Sani, quand’è che la riporti?’, e lui mi disse ‘basta, lasciata, ne ho un’altra adesso’. Bellissima pure lei. Voglio però citare Peppe Poeta, giocatore e uomo di grandissime doti: dopo aver perso a Torino contro di noi, mi ha telefonato per farmi i complimenti e per estenderli ai ragazzi.

D E i ‘labari’ di Cantù appesi al soffitto del Pianella?

R Antonello Riva era il giocatore preferito di mio padre, io andavo pazzo per Marzorati. Parlo di italiani, non a caso. In Europa il nostro basket ha vinto con grandi dinastie, giocatori italiani, squadre costruite per competere in 5 o 6 anni.

D Come vedi una coppia Trinchieri-Sodini?

R Sarebbe difficile sopportarci..

D Dopo Modena Park chiesero a Vasco Rossi se fosse felice, e lui risposte che la felicità è per i mistici. Si disse soddisfatto. Tu sei un uomo felice?

R Io sono sempre felice, sto sempre bene. Questo non vuol dire che si possa avere l’ambizione di avere qualcosa in più.

D Che rapporto hai coi soldi?

R Sono necessari ma  non indispensabili, non ho sempre fatto scelte dettate dalla ragione economica.

D Perché hai scelto Virginio Bernardi come procuratore?

R Perché è una brava persona, una persona perbene.

D Il tuo sogno di sportivo?

R Le Olimpiadi.

D Il tuo sogno di uomo?

R Le Olimpiadi.

Finisce l’intervista, c’è allenamento di minibasket a Vighizzolo. Un bambino biondo, sembra Jack Sikma da piccolo, si alza e saluta: ‘Ti sei l’allenatore del basket..’. Marco Sodini sorride. E’ un ragazzo fortunato, ad essere finito nella mistica di Cantucky. E Cantucky è stata fortunata, o forse no.. Tutto merito degli Dei del Basket. Come ora, come ieri, come sempre. A proposito.. ma avete visto Fandango, o no?

Fabrizio Provera


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