“Non mi piace però che si legga la storia sportiva della Pellegrini in relazione alla sua vita privata, se non altro perché con un uomo non lo si farebbe mai.” Non mi ricordo di essermi mai tanto addolorato, avvilito, ma soprattutto offeso da un commento a qualcosa da me detto come stavolta. E da Pado che è persona di grande spessore che arricchisce di eccellenti commenti questo blog e che è sempre un enorme piacere incontrare di persona alle sconvenscion non me lo sarei aspettato. Forse gli è scappato perché, come dice lui, è tifoso sfegatato della Fede nazionale. E’ l’unica scusa che trovo. O forse sono io che in tutti questi anni (incredibile, ma l’anno scorso è stato il decimo anniversario da quando questo blog funziona a pieno regime) non sono mai riuscito a spiegarmi bene.
Provo a rifarlo e chissà che stavolta non riesca a farmi capire. Per educazione ricevuta e profonda convinzione personale io sono una persona che è ferocemente razzista verso una sola categoria di persone, che purtroppo costituiscono la massima parte dell’umanità. Parlo ovviamente degli imbecilli che, attenzione, non vuol dire ignoranti nel senso etimologico di questa parola, ma di coloro che proprio non ci arrivano a mettere in moto la quantità sufficiente di neuroni per imbastire un qualche ragionamento logico che non sia campato in aria o, peggio, inficiato da qualche inestirpabile pregiudizio. Ecco, se esistesse un metodo per rendere in qualche modo sterile la madre degli imbecilli che è sempre incinta, io sarei in prima linea per caldeggiare ferocemente la sua immediata messa in pratica.
La caratteristica fondamentale della stupidità è quella di essere spalmata in modo lineare in tutte le categorie nelle quali si divide l’umanità, per cui non conosce differenze rispetto a sesso, razza, religione, orientamento sessuale o quant’altro. Ed è questa la ragione per la quale non concepisco neanche intellettualmente alcun tipo di razzismo verso una categoria che è diversa dalla mia, che è quella di maschio bianco agnostico e di orientamento sessuale normale (nel senso di largamente maggioritario, sia ben chiaro). Però la cosa fondamentale che viene spesso negata per ragioni di malintesa correttezza politica, che in questo caso sono convinto che funga da tappo nei confronti di un razzismo latente che altrimenti si paleserebbe inesorabilmente, è che queste categorie nelle quali si divide l’umanità sono comunque diverse. Proprio per la mia origine multirazziale e multiculturale so, per esperienza personale, che siamo diversi, il problema è che normalmente viene in modo inavvertito stabilita comunque una relazione, per la quale essere diverso vuole dire valere di più, o nella stragrande maggioranza dei casi, di meno. Io, da quando sono nato, combatto questo modo di pensare, e che cioè la diversità di qualsiasi tipo coinvolga per forza anche un giudizio di merito. Sono diverso, anche profondamente, ma in termini assoluti, come essere umano, valgo comunque quanto te, né più né meno.
Ragion per cui accusarmi, neanche tanto velatamente, di sessismo mi offende profondamente. Ripeto per l’ennesima volta anche in questa sede che, per quanto scritto sopra, sono convinto fino al midollo che vi sia una abissale differenza fra i due sessi nei quali si divide l’umanità, ma che proprio questa differenza (ying e yang) fa sì che l’umanità possa andare avanti e che in definitiva si evolva. E in tutto ciò è semplicemente ridicolo dire che uno dei due sessi sia dominante. Non esiste uno senza l’altro. Sono assolutamente paritari, complementari, ambedue perfettamente indispensabili. Però totalmente diversi per modo di ragionare e di comportarsi ed è solo normale che sia così. Vive la difference, dicono i francesi. Tutto questo per arrivare al punto per me focale: valutare l’universo intellettuale e affettivo di un uomo o di una donna fa entrare in gioco parametri completamente differenti, per cui dire che di un uomo non si direbbe quello che si è detto di una donna è per me motivo di orgoglio e non lo posso prendere per un’offesa come tale, ma per il retro pensiero per me umiliante che contiene: che cioè valuto a un tanto al chilo e non invece, come faccio da una vita, per la precisione da esattamente 53 anni, da quando cioè ho cominciato ad allenare contemporaneamente squadre maschili e femminili di basket accorgendomi subito che si trattava di universi differenti prima da capire e poi da uniformarsi ad essi per farsi accettare e rispettare, a ragion veduta dopo una lunga ricerca anche sul campo provando e riprovando approcci differenti tenendo solamente quelli che funzionavano. Che mi hanno fatto capire in sostanza che per una ragazza la sua vita privata, principalmente affettiva, ha un’importanza ben diversa e che incide molto di più sulla sua personalità in generale, e dunque anche in campo sportivo, rispetto a quella che può avere per un maschio. E tentare di valutare una donna senza addentrarsi, o più semplicemente tentando di capirne qualcosa, impresa sempre impossibile per un maschio, cioè per un essere in realtà di un universo alieno, nella sua vita affettiva vuol dire trascurare un lato fondamentale che per i maschi è molto più secondario. Per cui in questo campo, proprio per averlo affrontato e studiato a lungo sul campo (in tutti i sensi), semplicemente non accetto lezioni né tantomeno che qualcuno mi metta il sale in zucca, come dicono gli sloveni.
Passando al basket vorrei saltare ancora un giro, visto che incombe la più stringente attualità. Lascio a voi commentare le Final Four di Eurolega, come sospendo il giudizio sull’NBA, visto il “fracaso” di Dallas in gara tre contro i Clippers. La cosa più preoccupante è che, sul 2 a 0 maturato in trasferta e sull’inizio bomba della partita con il 10 a 0 iniziale e il più 18 nel primo quarto, e dunque con tutta l’inerzia soprattutto psicologica a favore, i Mavs si siano incartati finendo per perdere e con ciò clamorosamente riaprendo la serie, visto che l’inerzia è ora tutta dall’altra parte. Ribadisco comunque quanto scritto l’altra volta: le prime due partite mi sono piaciute (Llandre, mi dispiace, ma siamo in completo disaccordo) perché, al netto di tutte le considerazioni, peraltro giustissime, sulla deriva primitiva presa dall’NBA in questi ultimi anni con il gioco che è diventato sempre più scarno e prevedibile, stucchevole è forse l’aggettivo più giusto, ho visto finalmente un piano partita che ambedue le squadre hanno più o meno messo in pratica. Gli adeguamenti difensivi dei Clippers su Luka erano tutti logici con staffette di marcatori e raddoppi effettuati al momento giusto, cosa che si è vista soprattutto in gara due, nella quale, sia chiaro, Dončić ha giocato male perdendo molti palloni e soprattutto mancando molte letture, anche se poi ha messo dentro tiri incredibili. Molto meglio aveva fatto in gara uno con una gestione per me semplicemente magistrale degli ultimi minuti. Rimane sempre il mistero Porzingis che proprio non ne vuole sapere di mettersi dove dovrebbe sempre essere, cioè sotto canestro, muovendosi verso il pallone per poi magari smistarlo a qualcuno meglio piazzato o, ancora meglio, semplicemente girandosi e tirando dai 3-4 metri. Chi può fermarlo? Sarò anche semplicistico, ma la mia filosofia di base rimane quella che, prendendo in considerazione il fatto banale che il pallone è solo uno e che dunque solamente uno può tirarlo a canestro, sembra solo logico che a tirare da lontano sia un piccolo e che il lungo vada sotto a tentare di prendere il rimbalzo. E Dallas di gente che tira, e soprattutto segna, da lontano ce ne ha tantissima, da Hardaway a Finney-Smith a Richardson, magari anche Brunson, per cui cosa c…o va a tirare dai 9 metri Porzingis?
Sulla serie fra Brindisi e la Virtus devo invece confessare che sono rimasto spiazzato dal come si sono svolte le prime due partite, tutta un’altra cosa rispetto a quanto mi sarei atteso. Brindisi molto male, niente da dire. La squadra si è semplicemente sciolta, soprattutto nel reparto guardie americane, ambedue assolutamente inguardabili. Come sapete per il mio abito mentale i meriti che io do alle difese sono strettamente correlati a quanto fanno gli attacchi, nel senso che una difesa può mettere tantissimi bastoni fra le ruote, ma alla fine nulla può contro un attacco che funziona, per cui se prevale la difesa è perché l’attacco ci ha messo molto di suo per incartarsi. Bologna si è preparata molto bene per la serie, tantissimo onore al merito. Ha messo in piedi una difesa logica, come detto giustamente da coach Michelini, a uomo, ma molto flottata, come dicevamo una volta, dando precedenza assoluta al compito primario di impedire penetrazioni a centro area e poi andando a chiudere sui tiratori da fuori. In queste situazioni la soluzione unica che può avere un attacco è quella di creare lo spazio necessario per tiri facili svuotando il cerchio della lunetta per riempirlo con tagli flash dal lato debole. Con questi tipi di difesa è la zona più nevralgica perché meno coperta dai movimenti difensivi e tirare dalla prossimità della linea dei tiri liberi dovrebbe essere l’obiettivo primario dell’attacco. Cosa mai vista da parte di Brindisi. Una sola volta ho visto l’azione che avrei voluto sempre vedere: è capitato però che a tirare un tiro del tutto indisturbato da un metro entro il pitturato, tiro che ai massimi livelli dovrebbe avere una percentuale attorno al 98% (alla più sporca, come diciamo noi, basta tirare una bomba verso il quadrato dipinto sul tabellone che la palla entra comunque), sia stato Perkins che ha scagliato un missile sul secondo ferro. Poi ho visto tantissime volte uno che arrivava in lunetta, era totalmente solo, ma per inerzia neanche guardava verso il canestro e invece scaricava subito fuori verso uno che era marcato. Rivedete soprattutto la seconda partita se non mi credete. Insomma, Brindisi ha giocato alla rovescia e proprio non me lo sarei aspettato da un bravissimo coach come Vitucci.
Vorrei finire con il Giro, perché anche qui ho letto cose che per me semplicemente non esistono (come vedete stavolta i vostri commenti in toto mi sono piaciuti molto poco). Il Giro è una delle tre grandi corse di tre settimane. Il Tour è quella più importante, lo è sempre stata. I corridori dunque hanno il Tour come obiettivo primario, e anche questo è sempre stato. Solo che una volta si potevano correre Giro e Tour nella stessa stagione sperando di vincere entrambi, se ci si chiamava Coppi, o ancora Merckx o Hinault. Ora non più, per tantissime ragioni. Viste queste premesse la partecipazione al Giro di quest’anno è stata il massimo assoluto che si potesse sperare. In realtà dei veramente forti mancavano solamente i due sloveni che si concentreranno sul Tour per la rivincita dell’incredibile finale della scorsa edizione, e forse Thomas (che però in queste ultime stagioni ha fatto ben poco) o ancora Carapaz e Lopez, ambedue però almeno un gradino sotto a tutti gli altri perché semplicemente fermi a cronometro (ci si dimentica per esempio che nell’ultima tappa dello scorso Tour, quella nella quale Roglič finì arrostito da Pogačar dando l’immagine dell’uomo alla deriva quando arrivò con il casco storto che rimane nella storia, nel frattempo aveva comunque raggiunto e superato in tromba Lopez che era partito quattro minuti prima). Gli altri, secondo me, c’erano tutti, da Bernal a un gemello Yates (sono intercambiabili, per cui uno vale l’altro che andrà al Tour), a Landa, Buchmann, Vlasov, o ancora Carthy che fece un’ottima Vuelta lo scorso anno e addirittura Bardet, che è quello che di meglio possano offrire oggidì i francesi in una corsa a tappe. In più c’era il debutto assoluto in una grande corsa a tappe di Remco Evenepoel, cosa questa che ha letteralmente mobilitato un reggimento di giornalisti belgi che si sono precipitati a seguire il Giro. Detto che sono sempre più convinto di essere sulla buona strada per vincere la scommessa fatta con l’amico Walter che sostiene che negli anni prossimi nei grandi giri non ci sarà niente da fare contro di lui, mentre io sono dell’opinione che sia un corridore che vincerà tutte le classiche possibili, ma che non mi sembra tagliato per le corse di tre settimane, rimane il fatto che le premesse erano semplicemente ottime. Solo che, oltre alle nuvole di questa marcia primavera, c’è stata sulla corsa anche la mefitica nuvola di Fantozzi che ha, chi prima, chi poi, eliminato per cadute e disgrazie varie tutta una serie di favoriti e di ottimi corridori. Per noi sloveni è stata una disgrazia veder volare Mohorič, che tutti vedevamo vincitore a Gorizia in una tappa che lui stesso non avrebbe potuto disegnare meglio per le sue doti con la picchiata finale giù dal Collio verso Nova Gorica (accento sulla “i”, per favore, del resto nessuno di noi dice Gòrizia) dove sarebbe passato da solo in un tripudio di folla prima di imboccare il valico di Casa Rossa per arrivare da trionfatore sul Travnik (antico nome nostro per l’attuale Piazza della Vittoria). E dunque penso che, proprio per rispetto verso i corridori e quanto rischiano sulla propria pelle per divertire il pubblico, siano semplicemente odiose le polemiche in merito alla cancellazione della salita sul Pordoi in condizioni di tempo puramente invernali. I tempi della glorificazione dello sport “eroico” sono per fortuna definitivamente tramontati. Se c’è uno sportivo di un qualsiasi sport che non sia viziato, questo è proprio il ciclista.
E infine non ho capito la discussione sul come sia strutturata l’attività del ciclismo di vertice e soprattutto l’assurdo paragone con la fantomatica Superlega calcistica. Qui è la Federazione internazionale che organizza il calendario e che distribuisce le licenze fra squadre ProTour, Continental e Professional in relazione al budget di cui possono disporre secondo logiche normali di domanda e offerta senza preclusioni a priori nei confronti di nessuno. Se hai tanti soldi corri fra i forti, se ne hai di meno, corri con quelli meno forti. Mi sembra solo normale e ovvio. Tanto più che ci sono le dinamiche degli inviti, per cui anche squadre meno forti possono competere con quelle forti nelle grandi corse, e dunque che problema c’è? Forse il problema è che attualmente i corridori italiani sono tanto scarsi che scatta inavvertitamente la tendenza italica a considerare gli sport nei quali gli italiani non vincono sport di Serie B, male amministrati, perché se lo fossero bene gli italiani vincerebbero. La verità è che semplicemente sono scarsi e non ce la fanno comunque li si faccia gareggiare. Tutto qua.