Il basket nella visione di uno dei più importanti ‘cultori della materia’: Altro tiro, altro giro, altro regalo. Passato, presente e futuro della pallacanestro. Tra richiami etici e la pericolosa deriva del giornalismo ‘apolide’. Un libro da leggere

 

“Altro tiro Altro giro Altro regalo”

O anche di quando, come (e soprattutto perché) ho imparato ad amare il Gioco

Baldini & Castoldi, 16 euro

Che Flavio Tranquillo sia perdutamente innamorato della palla a spicchi lo sappiamo da 24 anni. Ossia dalla domenica della leggendaria ripassata che la Cantù di Pace Mannion e Davide Pessina rifilò alla Philips Milano, uscita malconcia dal Pianella. Da adolescenti che attendevano i propri beniamini, fuori dagli spogliatoi,  vedemmo un giovane Flavio Tranquillo- all’epoca radiocronista, in procinto di passare al tubo catodico- camminare scuro in volto, a fianco del suo grande amico Tullio Lauro, con l’espressione di chi ama visceralmente questo sport, e all’epoca i destini della formazione di Mike D’Antoni.

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Da allora ne è passata, di acqua sotto i canestri, e Flavio Tranquillo- classe 1962- è diventato uno dei più importanti, seri, autorevoli ‘ac’ rigorosi cantori del basket, un dicitore appassionato capace di finezza, abbacinato e graziato dall’aver condiviso anzitutto gli anni del Jordan a Superbasket (parliamo di Aldo Giordani, leggersi- ne abbiamo parlato- la sua bellissima biografia curata da Flavione e dal principe Luca Chiabotti), poi dall’aver vissuto lo sbarco dell’Nba sugli schermi nostrani, l’avvento di Peterson, l’aver vissuto da cronista ‘embedded’ l’epopea della Milano di Gabetti, D’Antoni e Cappellari.

Poi, un giorno qualunque, destinato come spesso accade nei destini degli uomini a diventare QUEL GIORNO, l’incontro con Federico Buffa, all’epoca sormontato da chioma più rassomigliante agli studenti di Berkeley nel 1965 che all’attuale, con cui nasce un sodalizio rotto solo temporaneamente (speriamo), ma che ha segnato le vite di moltissimi tra noi. Flavio Tranquillo ha vissuto appieno il momento, cavalcato l’onda, sfibrato se stesso e lavorato come un mulo, anche 48-54 ore in tre giorni, per arrivare d0v’è arrivato. E parliamo non solo del blasone, ma anche del rispetto e della succitata autorevolezza. Tutto questo, ma anche molto di più in vero, è condensato in Altro tiro Altro giro Altro regalo, la dichiarazione d’amore edita da Baldini che sta raggiungendo picchi di vendita importanti. Magari non felicissima la scelta del titolo (peraltro ‘signature dish’ della retorica ‘tranquilla’), tuttavia davvero appassionante, e avvolgente, il contenuto.

Battezzato da una dichiarazione del Jordan, quello col 23 (“Il Gioco del basket è stato tutto per me. Il mio rifugio, il posto in cui ho trovato il benessere e la pace che cercavo”), il libro ci riporta un Flavio Tranquillo che  vive le stesse emozioni del numero 23, anche se non c’è il suo nome su scarpe  Nike. Scandisce questo amore in pregame, sei capitoli e postgame, divisi per argomento, da Giocatori ad Arbitri, in realtà verga un calembour tarantiniano (Buffa rules..), pagine che sprizzano passione e sentimento da ogni poro.

Il basket, che Flavio vive dai primordi della sua affermazione mediatica (crocevia determinante), è ancora oggi un concentrato di “armonia, velocità ed eleganza”, una magnifica invenzione che vive- e tantissimo- della sua ‘capacità di narrazione’, come direbbe a ogni piè sospinto Valerio Bianchini (quanto condividiamo, quella frase..), tema centrale nel rapporto tra commentatore e telecronaca. Uno sport magnifico che in Italia non decolla, sottolinea l’autore, a causa di un “ambiente che soffre di una tremenda auto referenzialità e che non utilizza mai un approccio serio e realistico, preferendo la chiacchiera velleitaria”. Il Tranquillo che ci convince è quello che sa leggere, oltre la superficialità, “un fatto sportivo riassumibile da freddi parametri biomeccanici e da avanzanti statistiche, ma dove c’è una cospicua componente immateriale che aleggia sul parquet. Sono i famosi intangibles, spesso chiamati a spiegare risultati sorprendenti che tali non sono affatto”. Il basket è uno sport semplice per persone intelligenti, lo dice spesso Sergio Tavcar e lo conferma Tranquillo,quando esalta il fatto che “non esiste dinastia cestistica che non abbia usato i termini cultura e sistema per spiegare le proprie vittorie”, un omaggio alla democrazia ateniese, “che poi, volendo, anche Pericle era un dittatore democratico, proprio come l’ex agente Cia e il Maestro Zen (Popovich e Phil Jackson, nda). 

Sua Maestà

Sua Maestà

IL SENSO DEL NOI E LE REGOLE

Tante le perle sparse qua e là, nel libro, a partire dalla definizione di giocatore forte: “Uno che accoppia a un alto livello tecnico e fisico la disponibilità a lasciare la prima persona singolare a casa. Quando, insomma, inizia ogni discorso con un bel noi”. Game, set, match. Da qui una parte godibilissima, una carrellata di incommensurabili predicatori del verbo cestistico: Jordan, Lebron, Gallinari jr, Duncan, Ginoboli, Bodiroga, Danilovic, Sabonis. Parla anche di allenatori, ovviamente, e distilla (o codifica) la definizione secondo cui- riferendosi all’arcinota polemica su Pop e il canestro di Ray Allen, Finals 2013, e la domanda di Massimo Oriani al Santone texano- “l’allenatore non è l’unico depositario di una scienza esatta che gli permette di vincere sempre quando riesce ad applicarla, bensì un signore che tramite trial and error procede per tentativi alla ricerca di qualcosa che funzioni per la sua squadra”. Molto interessante, anche perché intessuta di richiami e ricordi nobili, la parte relativa agli arbitri. Si parte con la citazione di Aldo Giordani (Inviare la tal coppia anziché l’altra- come sanno i sassi- nel basket determina le classifiche), si riflette sull’indispensabilità di avere una classe arbitrale all’altezza, si rileva come quella attuale italiana non lo sia, si sottolineano gli elementi essenziali per avere fischietti all’altezza: “Dare credibilità agli arbitri pagandoli di più, preparandoli meglio, punendo chi li delegittima, è una decisione strettamente imprenditoriale, presa da privati con forte scopo di lucro”.

Gli arbitri sono il viatico al richiamo etico che Tranquillo ha del giornalismo, e di quello sportivo (‘ossimorico’), rifacendosi ad esempi come Pippo Fava, manifestando forte vocazione per quello spirito legalitario che Flavio non perde occasione di esternare, pur risultando molto meno giacobino di tanti giustizialisti (che il sottoscrivo vede con molta antipatia, e di cui condanna il bieco furore giustizialista). Bellissimi i primordi giornalistici di di Tranquillo, 85mila lire al mese per le radiocronache di Milano, moooooooooolto meno a Superbasket, eppure quella gavetta sottopagata- vissuta nella Golden Age del basket italiano ed europeo- ha reso Flavio il grande professionista che è oggi. Dapprima giovane cronista che viaggiava al seguito dei suoi beniamini, sullo stesso pullman, testimone delle finali di Losanna, di esultanze che gli costano la fatwa di un ‘grande quotidiano’, la finale di Livorno 1989 e la ‘perdita dell’innocenza’, ossia la consapevolezza che il distacco del cronista sportivo, un certo distacco, che ovviamente non può prescindere da amicizie è simpatie, è strutturalmente necessario. Il Tranquillo telecronista, che vanta solide esperienze anche nel campo della produzione televisiva di partite importanti, vive nella consapevolezza che esistono tre pilastri: alto livello produttivo; contenuti editoriali; integrità cestistica della produzione.

Il Vate

Il Vate

Uno dei passi più godibili, sempre riferito al Vate Bianchini, è il punto d’equilibrio necessario- ma spesso difficile- tra tecnicismo spinto e capacità di narrare: “Dipingere come ineluttabile l’antitesi tra narrazione tecnica e narrazione divulgativa è un falso storico. In realtà c’è abbondante spazio per ragionare di tecnica, tattica, storia, politica, costume, musica, letteratura e divulgazione negli spazi di approfondimento che corrono accanto alla cronaca della partita. Il primo a farlo è stato proprio Bianchini, che rispondeva alle domande dei giovani radiocronisti citando Eraclito e Senofonte tutt’altro che a sproposito”.

Detto da chi, assieme a Federico Buffa, ha guidato e condotto la seconda rivoluzione linguistica del basket dopo Aldo Giordani, tendiamo  a credergli.. G0detevi, poi, i richiami a partite/tele e radiocronache leggendarie, al mondo del commento Nba ed ai momenti vissuti durante le Finals..

PETERSON, L’ETICA E LA VIOLENZA DI ACCUSE ANONIME. IL CASO BASKETNET

Non sceglie di finire con lo zuccherino, l’autore. Non dispensa melense ‘prefiche’ conclusive. Addenta la polpa dolorosa di uno dei casi giornalisticamente più vergognosi, su cui la Magistratura deve ancora prounciarsi, pertanto ci asteniamo dal dare giudizi perentori, degli ultimi anni. Un caso che Dailybasket conosce bene, tanto che questa testata on line non ci sarebbe se non fossero usciti i tre articoli datati 2011 su Basketnet.it (oggi scomparsi dalla rete, ma depositati nei Tribunali) dove Flavio Tranquillo fu oggetto di attacchi personali così violenti che furono oggetto di querela avanti alla Procura della Repubblica. Tranquillo fu accusato di torbidi tramestii, di appartenere a un clan capace di condizionare scelte, di spingere alla cacciata di Dan Peterson da Sky. Una pagina nerissima del giornalismo sportivo italiano, che l’autore commenta così:

“Sempre e solo pasolinianamente (parla del Pasolini dei tempi dello stragismo sul Corriere, nda), so anche il nome del potente mandante e dei complici (di quegli attacchi). Non posso però lasciarmi andare a una risposta negli stessi termini, altrimenti sbaglierei. Non posso farlo neppure in un caso eclatante, con accuse tanto infamanti quanto destituite di fondamento. Chiedo a chi legge di non appiattirsi mai sulle posizioni altrui e di verificare tutto con rigore: su queste cose non si scherza”. E già, solo qualcuno ha pensato di condire la più vergognosa delle campagne che si ricordino a memoria di appassionato. Sepolti dal tempo, i tempi di Aldo Giordani. Alto basket. Altri uomini.

Su Dan Peterson, argomento cui una persona come Tranquillo tiene (perché deve) molto: “A Sky nessuno sapeva della legittima volontà di Peterson di portare a Sportitalia i suoi eccezionali talenti nel 2005. So cosa è il rispetto professionale e a quali persone si deve. A Peterson questo rispetto si deve e si dà. So che non ha a che fare con quegli articoli, ma se potesse pubblicamente dire che io non ho avuto nulla a che spartire con la vicenda del suo divorzio da Sky mi sentirei meglio”

o Fenomeno

o Fenomeno

O FENOMENO, ALSO SPRACH L’AVVOCATO

Leggetelo con passione e attenzione, questo libro. Perché finisce col botto, con alcune pagine di passionale intimismo di Flavio, ma soprattutto con la più mirabolante delle descrizioni che si potessero fare in poche righe, ovviamente merito e musica di Federico Buffa, corresponsabile di incanto simbiotico con Flavio Tranquillo. Che il Venerabile Avvocato ricorda così:

“Un pomeriggio al compianto PalaSansiro arrivò la Gran Scavo di allora, e con lei un numero brasiliano di radiocronisti. A fine gara ognuna delle radio pesaresi chiedeva un parere al cronista locale, e io dissi a uno di loro, tale Diotallevi mi pare, che magari poteva rivolgersi al mio coequipier, Mentre Flavio parlava, sorridevo alla vista di Diotallevi, incerto sulla provenienza del meteorite che lo aveva investito. Aqui naceu o fenomeno”

Adesso sì: altro tiro, altro giro, altro regalo..