Dailybasket incontra il più potente procuratore degli allenatori italiani. Dalle origini a Desio, da Federico Buffa a Mike Mitchell che morì in esilio (col solo Gregg Popovich, che forse..), dall’abbandono della panchina a Capicchioni, da Maurizio Gherardini a Walter Veltroni, che forse.. Sino ad Andrea Trinchieri, che a Milano, quella sera, stava per…Chiacchierando amabilmente davanti a un bicchiere sublime, con l’uomo i cui occhi tagliano il silenzio.

 “Tutti possono vedere la mie tattiche, nessuno può conoscere la mia strategia” (Sun Tzu)

Di Fabrizio Provera, con la collaborazione enologica di Andrea Pesce e dell’enoteca Vini e Più, di Cantucky

Le bollicine. La grana. L’occhio attento di Virginio Bernardi viene distratto dall’intima magia del Franciacorta biodinamico, che scivola lungo le pareti del bicchiere. Ma dura solo un attimo. L’uomo forte manifesta sempre le sue emozioni, le sue gioie. Ma se in dote, o per sorte, ha ricevuto l’arte del comando allora si ricompone, e sottrae l’occhio dal particolare per poi tornare a focalizzare l’attenzione sul generale.

Siamo con monsù Virginio Bernardi, a Cantù, nell’enoteca di Andrea Pesce, la più colto baskettara d’Italia. Dove Andrea Trinchieri sceglieva Barbere, Brunelli e Baroli. Dove Bruno Arrigoni si metteva di nascosto a leggere libri, e sorseggiare perle nascoste scovate dal talentuosissimo titolare. Dove Toni Cappellari dei Rizzà di Mengalvio e Werther Pedrazzi, prima dell’ultimo Santo Natale, furono stregati da un Cannonau selvaggio.

E dal Franciacorta biodinamico che adesso Virginio Bernardi sorseggia davanti a noi, nel mentre ci accingiamo a fargli l’intervista definitiva. Nel senso che, dopo questa, la summa del pensiero bernardiano potrà dirsi chiusa, sezionata, sviscerata. Questo NON significa che per l’Uomo verrà meno il tempo della battaglia (“Nell’operazione militare vittoriosa prima ci si assicura la vittoria e poi si dà battaglia. Nell’operazione militare destinata alla sconfitta,  prima si dà battaglia e poi si cerca la vittoria). Significa che avrete ricevuto gli strumenti per capirlo.

Significa solo che, riuscendo a carpire le verità che le sue risposte evocano, oppure solo accarezzano, si potrà penetrare il pensiero di questo procuratore di successo, potente, capace di esercitare la sottile arte del dominio assieme a pochi altri agenti, che di fatto- per blasone, esperienza, capacità, intelligenza- dominano il mercato del  basket italiano. Specie adesso, quando chi era uso a camminare fianco a fianco ai giganti ora deve tendere la mano, e  reclinare il capo, per porgere parola e orecchio a certi  nani.

Virginio Bernardi è un Monsù, nell’accezione gattopardesca, quando Tomasi di Lampedusa decritta la scintillante descrizione della decadente nobiltà siciliana di fine secolo (e fine Ancien Regime):

Buone creanze a parte, però,  l’aspetto di quei babelici pasticci era degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fraganza di zucchero e di cannella che ne emanava non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un vapore carico di aromi, si scorgevano poi i fegatini di pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.”

Mica è un caso, che Virginio Bernardi sia bon vivant. Amante di cose buone, di cibi e vini buoni, si trova a suo agio ai confini del parquet come tra i tavoli di Tony Cannavacciuolo, a Orta.

Il più potente e influente procuratore di allenatori italiani, tra cui Trinchieri, Sacchetti, Bucchi, Griccioli, Sacripanti e molti altri; l’amico di Federico Buffa e Flavio Tranquillo; l’ex allenatore a fianco di Maurizio Gherardini; il grande, fraterno amico del compianto Mike Mitchell; il padre di una ragazza che esercita la docenza in ingegneria nucleare a North Carolina; il diplomatico che ritaglia e affila le parole con la sapienza di un Richelieu, e la capacità relazionale di un Henry Kissinger, ci siede davanti come in una partita a scacchi.

Il progressista illuminato, che sarebbe stato un perfetto migliorista ai tempi di Giovanni Amendola. Convinto del progresso, riluttante del populismo, fiducioso nella  avanguardie capaci di guidare le masse. Convinto che la leadership è un dono, dispensato a pochi. E che i leader sono pochissimi.

Ogni volta che s’apre un varco, e pensi di poterlo infilzare, s’alza un muro e vieni ricacciato. Con mestiere, sapienza, distacco. Bernardi dice, e pure tanto. Ma quando vuole, non dice. O accenna. L’esercizio del potere- materia inadatta e incomprensibile al becero populismo grillino che monta in questo bordello post Dantesco che è l’Italia, dove un nano approdato in Parlamento come il più insignificante dei parvenu bofonchia stupido parole contro giganti del calibro di Amintore Fanfani, Giovanni Malagodi, Enrico Berlinguer, Giorgio Almirante, Bettino Craxi- è difficile e spesso doloroso. Tanto più nel basket, che è uno stagno secondo l’efficace immagine adottata da Bernardi in questa intervista.

Il vino stimolare della conversazione

Il vino stimolare della conversazione

Ma ci siamo già dilungati troppo. Lasciamo spazio (e parole, e voce, e pensieri) a Monsù Bernardi.

Perché il  basket, nella vita di Virginio Bernardi?

Perché farà sorridere molti, ma nella giovinezza sono stato un giocatore della Juve Caserta. Poi venne la mia grande passione per Romano Piccolo, persona a cui ero e sono molto legato; lui ruppe con la famiglia Maggiò, che era già proprietaria del club, ed io lo seguii cominciando la carriera di allenatore.

Che giocatore era, Virginio Bernardi?

Uno scarso playmaker. Giocai in serie C a Caserta, all’epoca di Maggetti e Cavagnin.

Scarso, però playmaker, regista di trame..

Certo…Iniziai ad allenare una formazione femminile, dove giocava quella che divenne la mia futura moglie. In seguito tornai a Caserta, dove feci l’assistente in serie A. Poi, penso fosse la fine degli anni Settanta, prima di Tanjevic comunque, andai via perché da assistente non diventavi mai capo allenatore. Andai a Salerno, Scauri e poi mi sposai. Avevo 27 anni. E il primo anno dopo le nozze, spinto da Giancarlo Sarti, feci il general manager nel campionato femminile

Perché a Caserta è nata e cresciuta una vicenda cestistica così leggendaria, e non a Benevento o altrove?

Beh, quando nacque il mito di Caserta, ricordo tuttavia che Napoli aveva una grande formazione, era una sorta di Ignis del Sud: il commendatore Giovanni Borghi aveva uno stabilimento da quelle parti, e mandava molti giocatori a svernare e a lavorare da quelle parti. C’era un grande allenatore come Tonino Zorzi, c’erano grandi americani. E ti svelo un segreto: io e Franco Marcelletti andavamo spesso a vedere Elio Pentassuglia e gli allenamenti alla base Nato di Bagnoli, dove venivano grandi allenatori americani- ricordo il coach di Marquette- a tenere clinic senza paragoni, per l’epoca. Vedevamo delle difese, degli schemi assolutamente unici.

Anni di grande vivacità..

Sì, di grande fermento.

La prima panchina importante quando arriva?

A Scauri facevo la serie B nel girone Sud. Il primo anno vinse Reggio Calabria, con Cacco Benvenuti, il secondo Cesare Pancotto a Porto San Giorgio. Giancarlo Sarti, che era a Caserta pur essendo di Pontremoli, già capitano a Cantù, fece una telefonata ad Antonio Farina e gli parlò bene di me. In quel momento facevo l’assistente di Dido Guerrieri a un corso allenatori.

Beh, Dido...

Beh, Dido…

Guerrieri, personaggio irripetibile..

Unico e irripetibile.

Quindi?

Quindi Farina mi scelse e arrivai a Desio. Appena giunto in Lombardia, Umberto Zappelloni scrisse sul Giornale ‘Un terrone costringe gli allenatori milanesi all’esilio’. Ritagliai quel pezzo, dopo due anni fummo promossi in serie A, lui venne alla festa e glielo mostrai.. Da allora, debbo dire, fu molto tenero nei miei confronti. Poi andammo in A1 e scrivemmo pagine irripetibili.

Da allenatore eri perfettamente calato nel ruolo..

Era la mia vita. Un buon allenatore lo fanno una buona società e un buon manager. Ho vinto 3 o 4 campionati, e ho avuto 3 o 4 esoneri. Al mio fianco ho avuto Farina, Mario Ghiacci, Maurizio Gherardini a Forlì. Cerca di capire che personaggi..

Una delle tappe che ti segnano è senz’altro Reggio Emilia. Perché sei finito da quelle parti?

Avevo fatto molto bene a Forlì e male a Varese, con Reggie Theus in campo e la presidenza di Antonio Bulgheroni, personaggio straordinario verso cui nutro ancora sentimenti di grande amicizia.

Che stagione, che presidenti..

Parliamo di persone che amavano questo gioco. C’era meno tutto, rispetto a oggi, ma forse una passione viscerale maggiore. C’erano Benetton, Porelli, il giudice Viola, Scavolini, Allievi.. A quei tempi il basket era uno sport d’elite, non di massa. C’erano meno giocatori rispetto a oggi.

Qual è il rapporto ideale tra giocatore e allenatore?

Penso non ci sia un modo solo, per arrivare alla metà. Meglio difesa a uomo o a zona? Dipende. Certo, una personalità come Ettore Messina si approccia ai giocatori come uno che ha vinto tanto, e che può dire ‘ascoltami’. E i giocatori ascoltano. Lui non deve essere amico del giocatore. Se un esordiente vuole scimmiottare Ettore Messina, arriva facilmente all’esonero. Se un giornalista intervista Bernardi ha un approccio, se intervista Popovich è diverso. Puoi essere duro se hai una società ferrea. Oggi si incontrano società di serie A dove un giocatore ha tutto: casa, auto, medici, stipendi precisi. Poi altre società con case sgaruppate, macchine scassate, stipendi sì e no.. Gli allenatori di queste squadre non possono avere lo stesso approccio, perché si trovano in situazioni diverse.

Mike Mitchell, il campione che cercò di esorcizzare la morte con l'esilio

Mike Mitchell, il campione che cercò di esorcizzare la morte con l’esilio

 

Parliamo del tuo rapporto con Mike Mitchell. Sappiamo tutto dell’inizio e della fine, ma non sappiamo cosa c’è in mezzo..

Ho allenato Mike una stagione a Brescia e due a Reggio Emilia. Tra me e lui ci fu un amore a prima vista. Lui era dell’Alabama, nero e ‘terrone’. Le sensazioni erano le stesse. Amavamo lo stesso vino, gli stessi tortelli.. Mi chiamava ‘il mio fratello bianco’. Un pomeriggio, in allenamento, dico una cosa a Mike e lui mi dice ‘fuck you’. Io gli rispondo ‘fuck you’. Passano giorni e non mi parla. Mi chiede un appuntamento in  ufficio. Arriva con la moglie, Diane. Entra  e mi dice ‘perché mi hai detto fuck you?’. Perché me lo hai detto tu. Lui disse ‘hai ragione’. Chiamò Diane e disse ‘tu adesso puoi abbracciare Virginio, perché adesso le famiglie Mitchell e Bernardi sono ancora amiche’. Un rito tribale. Mike non doveva entrare in spogliatoio e parlare, per essere leader. Entrava e la leadership gli veniva riconosciuta. Spontaneamente. Persino un giocatore difficile come Marco Lamperti mi diceva ‘coach, basta allenamento per Mike. Lui ci deve far vincere la domenica’. E considera che aveva quasi 40 anni.

Ma avendolo conosciuto così, avresti pensato che sarebbe morto isolandosi da tutti..

Ne ho parlato con molti suoi amici. Mario Ghiacci, Maurizio Bezzecchi, Angelo Reale, Tony Brown, oggi assistente a Brooklyn in Nba: tutti grandissimi amici, che non lo sentirono più. Gli unici ad avere notizie erano Federico Buffa e Gregg Popovich, che rimase in contatto sino alla fine e sono certo lo abbia anche aiutato, supportato. Considera che a San Antonio lui era una leggenda: anni dopo aver lasciato l’America lo fermavano ancora al supermarket. Noi abbiamo giocato a biliardo a casa sua con George Gervin, Tony Moore.. Nel plexiglass di casa Mitchell c’era il pallone dei 5mila e dei 10mila punti in Nba. Mitchell me lo segnalò Toni Cappellari, che aveva McAdoo e non poteva prenderlo.

Quando lo hai sentito, l’ultima volta?

Anni prima che morisse, quando il figlio Mike junior venne a giocare una Summer League col Maccabi. Morì senza parlare con nessuno, voleva essere ricordato come un campione. Non come una persona malata. Era un capricorno, come me.

Nel 2002 diventi procuratore.. Perché?

Non fu una scelta facile. Quell’anno allenai sei partite a Scafati. Poi andai a Montegranaro, feci 6 vinte e 9 perse ma mi mandarono via. Quando fui sostituito da Ranuzzi, dissi ‘non alleno più’. Non era più il mio basket. Ho atteso due o tre giorni, e mentre tornavo a Desio mi fermai da Luciano Capicchioni, all’epoca agente di Toni Kukoc, e gli proposi di lavorare per lui. Mi sfidò: fammi vedere cosa sai fare, cos’hai in mente. Ebbi l’intuizione che nessun allenatore, alla fine, aveva un vero procuratore che lo rappresentasse, come avviene coi giocatori. Tant’è vero che io non rubai niente a nessuno. Frates, Pancotto, molti altri: era spontaneo chiedermi di essere rappresentati.

Quand’è che un allenatore si fida a tal punto di essere rappresentato da un agente, da uno come te?

Sai, il problema della discussione economica è sempre delicato. Un terzo è sempre più equilibrato. Quando le cose vanno bene, il procuratore serve più di quando le cose vanno male. Se tu presidente mi vuoi confermare, ho fatto una buona stagione, la trattativa sul rinnovo può essere complessa. Se mi vuoi tenere e io voglio stare, una sola parola detta male incrina un rapporto bellissimo. E’ lì che serve, un agente terzo. Quando le due parti hanno delle tensioni, il procuratore deve saper mediare in modo efficace.

Ma se prendo 100 e faccio una buona stagione, è giusto chiedere 150 l’anno successivo?

E’ giusto se la società è in grado di pagarti i 50 aggiuntivi. Quando i presidenti comunicano un taglio di budget del 30%, gli allenatori a volte non capiscono che il taglio riguarda anche loro.. La situazione è delicata, sempre. Quando qualche sito scrive che alcuni miei allenatori sono senza squadra, dimentica di aggiungere che ho più allenatori nella mia agenzia delle panchine a disposizione..Semplice.

Qual è la  caratteristica di un allenatore che ritieni essere più importante delle altre?

Sono presuntuoso. Tra i procuratori, nessuno conosce gli allenatori meglio di me. Quindi.. Forse solo un altro ex allenatore oggi su piazza, ma puoi scriverlo tu.. Con un giocatore di 16 o 17 anni ho meno facilità a parlare rispetto ad un giovane, ma per parlare a un allenatore di 40, 50 o 60 anni la mia esperienza pesa tantissimo. Parlando di qualità individuali, dopo Andrea Trinchieri vedo un grande avvenire per Giulio Griccioli. Due carriere molto simili. Perché serve cultura, tanta cultura.. Tra i giocatori rappresento un talento straordinario come Amedeo Della Valle.

..ecco, ho sempre avuto il sospetto che i figli di grandi ex giocatori abbiano un percorso più semplice, verso la gloria sportiva.. Giusto o sbagliato?

Sai, i cromosomi contano. Amedeo ha un talento superlativo, e come suo padre Carlo capisce lo cose un attimo prima.

Diventerà un campione?

Sì, assolutamente. I giocatori li so riconoscere, però mi resta molto più semplice parlare nel dopo partita con Pino Sacripanti che con Amedeo Della Valle.

Ma perché mi sembra che Virginio Bernardi parli poco?

Perché nel ruolo che rivesto serve prudenza, serve attenzione. Gli allenatori hanno una vita difficile, io devo essere sempre un passo dietro. Perché gli attori sono loro. Certo, l’adrenalina che avevo ai tempi in cui ero coach non la provo più.. Ma spesso sono amareggiato come loro. Se giocano due miei clienti, tifo per chi gioca in casa. Se perdi in casa, è bruttissimo. Per il loro bene, è meglio sperare vinca chi gioca in casa. Come tutte le persone ho delle preferenze, senno sarei un bugiardo, uno freddo.

Siete davvero il male del basket, come dice qualcuno?

Si dicono tante cose, e mi spiace che ce le dicano i presidenti: i primi che dovrebbero sapere che spesso li aiutiamo in situazioni delicatissime. E quando dicono quelle cose, in attimi di difficoltà economica, ci accusano di parteggiare troppo per le società o i clienti. Penso che dobbiamo essere in grado di fare il meglio per tutti, in ogni momento. Se ho un pessimo rapporto con la società di Sacripanti, faccio il suo male. Devo essere rispettato per poter fare delle grandi battaglie, ma voglio poter stringere la mano al termine di ogni trattativa. A me piace essere considerato ‘un leale avversario’, quando rappresento un cliente di fronte alla società. Però mi piace essere considerato leale. Quanti allenatori ho salvato dall’esonero, grazie a questo tipo di rapporto costruito nel tempo.. Senza fare nomi. Sono fasi nelle quali riesco a far capire che non tutte le colpe ricadono sul coach.

Ma se un esonero è oggettivamente giusto, se un tuo allenatore è oggettivamente fuori posto, Virginio Bernardi cosa fa?

Quando capisco che il rapporto è consumato, devo salvaguardare il suo salario e il suo futuro. Se un allenatore, un giocatore o un procuratore decide di finire la sua carriera in quel momento, può compiere anche azioni violente e sbagliate. Il basket è uno stagno piccolo e chiacchiericcio, ci conosciamo tutti..

Valerio Bianchini

Valerio Bianchini

Esiste o meno il conflitto d’interesse, per chi rappresenta sia giocatori che allenatori? Ne ha parlato di recente Valerio Bianchini..

Guarda, penso che tutto si riconduca all’onestà e al senso morale delle persone. I miei allenatori si divertono a ironizzare su chi sarebbero i miei clienti preferiti, come Andrea Trinchieri; solitamente sono quelli che vanno meglio. Poi mi dicono Bucchi, Sacchetti, Sacripanti.. Ok, parliamo di questi 4: Sacripanti non ha un giocatore in squadra della mia agenzia, Sacchetti uno (Sanders), Trinchieri non ne ha mai preso uno, Bucchi non ne ha mai avuti e quest’anno ne ha 3. Abbiamo due giocatori americani, Nelson e Viggiano a Venezia, con Charly Recalcati che è una delle persone più oneste del pianeta. E potrei andare avanti. Ti dico di più: a mio parere, proprio per questo chiacchiericcio qualche volta i miei allenatori prendono giocatori rappresentati da altri.

Quindi l’equilibrio è sottile..

Certo. Aggiungo che sono una persona molto ligia alle regole. Se la Fip varasse la regola analoga all’Nba, ossia chi rappresenta giocatori non lo fa con gli allenatori, io farei marcia indietro e terrei soltanto i secondi.

Basket sempre più povero.. Di soldi, idee oppure di uomini?

Soldi, sicuro. Idee, anche. Uomini: ce ne sono alcuni non collocati al posto giusto, che meriterebbero la ribalta.

Facciamo qualche nome?

Penso che il basket italiano non può permettersi di prescindere da Maurizio Gherardini.

Maurizio Gherardini (foto C.Devizzi Grassi 2014)

Maurizio Gherardini (foto C.Devizzi Grassi 2014)

Ma lui tornerebbe in Italia?

Non lo so, so che nessuno glielo ha chiesto. Penso che il basket italiano non possa fare a meno di uno dei suoi più grandi tifosi, ossia Walter Veltroni, che è stato in ballottaggio per diventare Presidente della Repubblica. Penso che dovremmo ‘usarli’, chiamarli. Mi piace anche l’idea di avare un manager importante cui dare le chiavi della Lega, che potrebbe essere anche Nando Marino.

Opinione non condivisa dal nostro maestro Werther Pedrazzi.. Il conflitto d’interesse presidente di società/presidente di Lega rimane.. Attenzione: se i presidenti del basket italiano designano Marino, a me va benissimo. L’importante è che Marino abbia carta bianca, potere reale.  E’ lo statuto della Legabasket che non concede questo potere.. Il più grande manager italiano in Legabasket, senza regole, farà la stessa fine di Valentino Renzi e dei predecessori. Il cosiddetto ‘commissioner’ della Lega deve avere i poteri che aveva David Stern. Anche per un solo anno, non necessariamente venti.

Quindi il basket italiano ha possibilità di rinascita..

Sì, perché ci sono comunque entusiasmo,pubblico, società in salute. Poi dobbiamo farci una domanda: perché 5 giorni su 7 il maggior quotidiano italiano sportivo scrive solo o quasi di basket Nba? Faccio poi l’esempio di un amico, come Federico Buffa. Se Federico, a Sky, raccontasse non solo Maradona ma anche Gallinari, Boni, Gentile, Ricci con la stessa enfasi, ci aiuterebbe o meno? Io dico certamente di sì.

Allora concordi col Bianchini che dice  “il basket deve recuperare la sua capacità di narrazione”.. A proposito, valuti positivamente l’impatto di Gianmarco Pozzecco sulla massima serie?

Sicuramente sì. Potendo,  ne avrei fatto l’uomo immagine del nostro basket per anni. Ovunque vada porta entusiasmo, sponsor… Adesso sta sfidando il mondo facendo l’allenatore, e peraltro lo rappresento io, però potrebbe stare ovunque.

Quindi ha ragione Giammaria Vacirca, quando dice che il Poz è molto più intelligente di certe apparenze..

Certo, lo era anche come giocatore.

Quand’è che Andrea Trinchieri tornerà ad allenare in Italia?

Non so, onestamente, se augurargli di tornare presto o tardi ad allenare da noi. Sai, ogni uomo  ha un sogno, e Andrea  ha il suo (ossia l’Nba, ndr). Toto Bulgheroni, però, una volta mi disse che i sogni non dovrebbero realizzarsi mai.

Trinchieri 2 B&W

Perché?

Perché se si avvera, poi non ce l’hai più..Meglio averlo per tutta la vita. Io auguro ad Andrea di raggiungere il suo sogno, poi naturalmente anche i sogni cambiano nell’arco della vita.

Ma chi dice che prima o poi siederà sulla panchina dell’Olimpia Milano, ha ragione o torto?

Ha ragione.

E allora, se possiamo dirlo, prima della scelta di Luca Banchi è vero che Andrea Trinchieri arrivò a cinque, tre centimetri dalla firma del contratto con l’Armani?

Non commento (e assume la posizione di una sfinge, nda)

Cosa farà da grande Virginio Bernardi?

Spero di consolidare la mia agenzia, con sempre più servizi, coinvolgendo giovani capaci. Esperti di marketing, sponsorizzazioni, eventi. Un incubatore. La fortuna di vivere a Milano mi permette di conoscere molti giovani capaci e desiderosi. Tra 5 anni vorrei essere pensionato felice e di andare a trovare mia figlia, che vive e lavora a North Carolina, dove è ingegnere nucleare e insegna già. Un amante del basket che si divide tra Italia e Usa, insomma.

Chi è il miglior agente italiano?

Secondo me il migliore è Riccardo Sbezzi.

L'altro gigante dello stagno

L’altro gigante dello stagno

Nonostante decenni passati nel freddo e grigio nord, come può Virginio Bernardi rimanere un uomo profondamente del sud?

Con una frase semplicissima: sto benissimo  a Desio, ma certamente non ci morirò.

Qual è la dote irrinunciabile, per un agente?

Quella di riscuotere la fiducia altrui.

Qual è l’allenatore DEL PASSATO che avresti voluto rappresentare, più di tutti?

Forse Valerio Bianchini da giovane

Qual è il tuo più grande rimpianto?

Beh, quello di aver fallito a Cantù.

Virginio Bernardi si ritiene una persona onesta, vecchia maniera?

 Non c’è dubbio, i miei valori umani sono per sempre.

 Virginio Bernardi è un uomo felice?

 Molto felice, con una famiglia unita e tanti amici.

 Ma per un uomo nella tua posizione, è preferibile cummannari o fottiri?

E’ meglio essere se stessi anche nelle situazioni difficili. Mantenere la calma. E’ quella, la cosa migliore.

Virginio Bernardi

Virginio Bernardi

 

Non contrastare il nemico che si ritira verso casa.  Lascia una via d’uscita a un esercito accerchiato.  Non incalzare un nemico disperato.  Poiché la disperazione può produrre una forza  inaspettata” 

 

 

 

 

 

sun tzu