Ian Miller in canotta Fileni Jesi

Ian Miller in canotta Fileni Jesi

“No heart, no chance” recita la t-shirt con la quale Ian Miller esce sconsolato dagli spogliatoi del PalaTriccoli. Di cuore ne mette tantissimo quando gioca. Lo vedi quando infila una tripla che fa esplodere il palazzo di Jesi e lui allarga le braccia come a voler stringere tutti a sé. Lo vedi quando esce a capo chino dopo la seconda sconfitta in due partite e si lascia abbracciare dal ds Federico Manzotti. Lo vedi quando ha un sorriso e un autografo per tutti i bambini che, sul fischio finale della sconfitta dei leoncelli contro Biella, lo assaltano per mostragli il loro calore.

Il cuore ce lo sta mettendo, la chance di farsi notare e ad arrivare dove tutti sognano, in Nba, ce l’ha avuta già la scorsa estate giocando la Summer League di Orlando con i Detroit Pistons. Ma il nativo di Charlotte ne aspetta un’altra, perché nell’annata da senior a Florida State ha fatto sì bene (13,7 punti col 40% dall’arco, 2,5 rimbalzi e 2,8 assist) ma con i Seminoles confinati fuori dal torneo Ncaa le possibilità di mettersi in mostra non sono state troppe.

Ian ha fatto strabuzzare gli occhi sin dalla preseason, prima di esplodere fragorosamente con le prime due giornate di A2 Gold: 43 punti con 10/15 dalla lunga distanza a Brescia, 33 con 7/11 da due contro Biella. “Mi aspettavo di essere all’altezza – confessa Miller senza strafottenza ma con l’aria di chi ha le idee ben chiare in testa – speravo di poter avere un buon impatto. Quando sono stato chiamato, mi hanno chiesto di essere aggressivo. Non mi interessa troppo di come vanno le cose a livello personale, l’importante ora è che iniziamo a vincere qualche partita”.

Parlando ancora di chance, la sua uscita di scena per cinque falli a 5’ dalla sirena della partita contro l’Angelico ne ha tolto una bella grossa alla Fileni per cancellare uno zero in classifica che però, alla luce degli infortuni di Rocca e Santiangeli, è abbastanza comprensibile. Adeguarsi al metro italiano è uno degli aspetti del gioco su cui ci sarà da lavorare per Ian. “Mi sono accorto che il metro arbitrale è un po’ diverso – dice sorridendo Miller parlando della prematura uscita di scena contro i piemontesi in una partita in cui ha letteralmente fatto impazzire tanto Lombardi quanto Voskuil le regole sono un po’ diverse dal college, in particolare l’interpretazione dei passi. Qui, comunque, devi usare molto più il cervello per giocare. Devi sempre pensare a cosa stai facendo, ci sono giocatori con un altissimo quoziente intellettivo. È difficile adattarsi”.

La grande incognita sul suo futuro ad alto livello è quella del ruolo. Fisico da playmaker, istinti da guardia, coach Lasi lo fa fluttuare nelle due posizione del backcourt. “Per me è indifferente giocare da 1 o da 2 – chiarisce Ian – voglio solo rendermi utile alla squadra. Se c’è bisogno di punti e aggressività, gioco da shooting guard, altrimenti da point guard, cerco di aiutare la squadra a crescere”.

Prima di sbarcare in Italia, come detto, anche lui ha provato la strada della Nba. Ha fatto provini (leggenda vuole che a Chicago, durante un workout con i Bulls, abbia coperto con una felpa la testa di alligatore che Joakim Noah tiene in spogliatoio in memoria degli anni di college ai Gators, grandi rivali dei suoi Seminoles), ha partecipato alla Summer League di Orlando (9,8 punti col 43% da 3 punti e 3,0 assist), ma la chiamata non è arrivata. “Volevo capire il mio valore fuori dal college – dice Ian – provare a tutti che ero in buone condizioni fisiche dopo che al college ho avuto diversi infortuni. Volevo dimostrare di essere pronto per un livello più alto”.

Ian Miller ai tempi di Florida State

Ian Miller ai tempi di Florida State

E allora ecco la chiamata dall’Europa e la scelta di Jesi, società da sempre bravissima a pescare nel sommerso del mercato americano (lanciando gente come Romain Sato, David Moss e, da ultimo, Leemire Goldwire). “E’ una piccola città, dove si può restare concentrati sul proprio lavoro – afferma l’esterno americano – l’ideale per provare ad avere una grande stagione da rookie, il mio vero obiettivo una volta uscito dal college. Un bel posto e una bella squadra. Abbiamo diversi infortunati e abbiamo parecchi giovani ma dobbiamo capire queste non sono scuse per perdere le partite”.

Come gran parte degli americani, Ian ha un grande legame con l’università che per 4 anni è stata la sua casa. Florida State non è un ateneo di primissimo ordine per quanto riguarda il basket, più votato al football (campioni Ncaa 2013), anche se Miller ricorda con piacer le due partecipazioni al torneo Ncaa nel 2011 e nel 2012. Meno la tripla del possibile pareggio fallita nella semifinale del Nit di quest’anno contro Minnesota. “C’è un ottimo coach ed un bel programma di basket – ribatte Ian con gli occhi accesi – abbiamo portato Florida State due volte al torneo Ncaa. È facile farlo nei luoghi dove tutti i migliori vanno, noi ci siamo riusciti lì”.

A Florida State, Ian è stato compagno dell’ex Brindisi Michael Snaer e dei “neoitaliani” Okaro White e Deividas Dulkys. “Ho parlato con Michael durante l’estate, ma non riguardo l’Italia, quella di venire è stata una decisione professionale che ho preso da solo per me stesso – spiega la combo-guard jesina, che ha belle parole anche per i due compagni che si sono accasati al piano di sopra – Okaro e Deividas sanno cosa fare per affermarsi anche in serie A. Sono due grandi persone, grandi lavoratori, che comprendono il gioco. Okaro è uno che gioca duro, Deividas è grandissimo tiratore. Quando sai fare delle cose al meglio, le sai fare ad ogni livello. E loro hanno queste capacità”.

Poi ci vogliono le chance per dimostrarle queste capacità. E bisogna avere cuore per prenderle al volo. Cosa che Ian sta facendo come si deve.


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