Julius Randle (Fonte: Twitter @lakers)

Julius Randle (Fonte: Twitter @lakers)

“É soltanto un piccolo ostacolo. La riabilitazione è appena iniziata, lui è un po’ giù di morale, ma sarà in campo prima che ve ne accorgiate”.

Parole ed emozioni di Carolyn Kyles, mamma di una delle stelle dell’high school più promettenti. Era il weekend del ringraziamento del 2012, ed al Thanksgiving Hoopfest di Dallas quella stella stava luccicando più di tutte le altre. Stiamo parlando di Julius Randle, che in quell’occasione stregò tutti gli osservatori, che già lo conoscevano bene, prima di cadere a terra e procurarsi la frattura del piede destro. Ma solo tre mesi dopo quel ragazzo texano sarebbe rientrato in campo e avrebbe, nella sua stagione da senior, accumulato 32,5 punti e 22,5 rimbalzi di media.

Quelle parole della madre di Randle sono riecheggiate nella testa di chi ha a cuore le sorti dei Los Angeles Lakers, la squadra che scelto Randle al numero sette del draft di quest’anno, subito dopo il season opener contro gli Houston Rockets. Uno dei pochi motivi per cui seguire la squadra gialloviola nella stagione appena iniziata era proprio il numero 30, ma quella sera ha lasciato un vuoto e regalato un pessimo presagio a tutti i tifosi della franchigia 16 volte campione NBA.

Siamo di fronte ad un altro “piccolo ostacolo” nella carriera di un giocatore che a 19 anni ha già visto parecchi guai. Nonostante si tratti di un infortunio che lo terrà fuori per tutta la stagione, l’ottimismo la fa da padrona in casa Randle. “Non mi sono tirato giù, sono un po’ deluso, certo, ma non ho pensato “perché proprio a me?”, ho solo tanta motivazione in più. Non vedo l’ora di rientrare e dare tutto per la squadra”. Randle sa che il talento a sua disposizione é immenso e lo spirito è quello giusto, anzi perfetto per affrontare questo tipo di ricadute.

Parlando di talento e prospettiva di questo giocatore, sin da marzo 2013, alla fine della stagione liceale era uno dei 5 migliori prospetti che si affacciavano al primo anno di college e che già pensavano al draft 2014. Lui, insieme, fra i tanti, a Wiggins e Parker, poteva andare dove avrebbe voluto, perché tutti gli facevano la corte. E come spesso capita, é John Calipari a vincere il corteggiamento. A Kentucky passa soltanto un anno, come capita troppo frequentemente, ma lo fa in maniera grandiosa: 15 punti e 10.4 rimbalzi a partita con il 50% dal campo. Presenza fisica e mentale, specialmente nella seconda parte di stagione, gli hanno regalato enormi apprezzamenti, nonostante una finale nazionale contro Connecticut “bucata” da lui e dalla squadra. Ma, nelle stesse parole del diretto interessato, Kentucky é servita per “crescere e maturare, l’ho fatto e mi dichiaro per il draft”.

Una delle migliori performance di sempre da un freshman di Kentucky (record di doppie-doppie, ben 24 su 40) lo hanno portato quindi al draft, definito il più forte dai tempi di LeBron, come prospetto da non perdere nella stagione 2014-2015. Scende con sorpresa, anche a causa dei soliti problemi al piede, fino alla settima posizione, dove i Los Angeles Lakers lo scelgono e lo coccolano, Kobe Bryant lo prende sotto braccio e i tifosi reduci da una stagione da 27 vittorie cominciano a vedere la luce in fondo al tunnel, grazie a lui, il futuro della franchigia.

In Summer League prima, in preseason dopo, convince, gioca bene e finalmente arriva la sera dell’esordio ufficiale. Due punti in 14 minuti dalla panchina, 1 canestro segnato e due liberi sbagliati prima di incontrare ancora una volta la sfortuna: con un bel primo passo incrociato verso destra, nel momento di saltare a canestro perde il controllo della palla e cade male sul piede destro, rompendolo, di nuovo.

Il ragazzo è però forte, ed essendoci già passato sa come gestire questa spiacevole situazione. Dopo qualche giorno, durante l’intervallo della gara casalinga contro i Phoenix Suns (persa 113-107), il numero 30 ha rilasciato la sua prima intervista dopo l’accaduto, dando prova di forza di volontà e convinzione dei propri mezzi.

“Posso migliorare altri aspetti del mio gioco stando a guardare, in particolare l’aspetto mentale. Posso guardare le partite, studiare e capire su cosa ho da lavorare di più”. Un po’ di lacrime sono state versate, lo shock iniziale è stato anche riassorbito ma la mentalità è quella giusta: “ho pianto ma, ora, mentalmente sto benissimo”.

Il futuro non è affatto negativo. Le potenzialità di diventare un All-Star sono ancora intatte, e con un compagno come Kobe a spronarti e che riconosce il talento dove c’è, potrà essere più facile rientrare psicologicamente sani (“Kobe mi ha aiutato ad uscire dal “pity-party” e guardare oltre”).

Di buon auspicio c’è un incontro che ha toccato molto Randle, quello con James Worthy, che nel 1983, nella sua stagione da rookie, si ruppe una gamba: “E’ stato bello sapere come lui vede molto di se stesso in me e che oltretutto abbiamo avuto lo stesso infortunio. James mi ha aiutato parecchio”.

Il paragone è pesante, ma le carte in tavola sono quelle giuste. Purtroppo per loro, i tifosi gialloviola dovranno aspettare un altro anno, ma siamo sicuri che ne varrà la pena.