Steph Curry e tutto il suo rammarico per la sconfitta contro i Nuggets (Isaiah J. Downing-USA TODAY Sports)

Steph Curry e tutto il suo rammarico per la sconfitta contro i Nuggets (Isaiah J. Downing-USA TODAY Sports)

Nel corso delle ultime due settimane, nella Pacific Division si sono delineati alcuni equilibri in parte inaspettati e in parte prevedibili, seguendo il trend dei mesi precedenti. Sembra passata una vita da quando, nella Western Conference, la grigia playoff mostrava 3 squadre provenienti dalla Pacific.
Inizialmente, oltre all’ovvia Golden State e ai Clippers, squadra dal rendimento altalenante nel primo mese e mezzo abbondante, la squadra che ha occupato l’ottavo posto ad ovest è stata Phoenix. Le posizioni delle prime due sono rimaste invariate, con i Warriors al primo posto e i Clippers al quarto; la vera notizia, ed è una grande notizia, sono i Kings all’ottavo posto, dopo una crescita costante che è stata visibile da metà dicembre in poi.

Golden State (39-4, primi ad ovest) ha subito un paio di sconfitte, contro Denver e Detroit, ed è sempre una notizia quando la brigata di Curry non esce vincitrice dal campo. Oltre ai demeriti dei Warriors, ci sono da evidenziare i meriti di Gallinari e compagni prima, e quelli della squadra del Michigan poi, partita benissimo ad inizio stagione per poi avere un calo decisamente importante.

Redick e il suo career-high nel MLK day (photo NBA.com)

Redick e il suo career-high nel MLK day (photo NBA.com)

Grandioso il rendimento della squadra di Doc Rivers (27-14, quarti ad ovest) nelle ultime 10 partite, con un record di 9-1 che evidenzia tutta la qualità di cui dispongono. L’unica squadra con cui hanno perso sono, guarda caso, quei Sacramento Kings che hanno scalato la seconda metà della classifica nella Western. Non hanno un realizzatore principale, ma una serie di elementi che possono segnare anche 40 punti in una partita senza snaturare l’identità della squadra. Che si tratti di Chris Paul o di Blake Griffin, di J.J. Redick o di Jamal Crawford, l’attacco di Rivers può regalare soddisfazioni di ogni tipo, sapendo di avere giocatori che eccellono in categorie come assist, rimbalzi, stoppate e che possono mettere in mostra una grande duttilità. Grandiosa la partita di Redick contro Houston, vinta dopo un overtime per 140-132, e conclusa con 40 punti (9/12 da tre). La guardia ex Duke ha dimostrato in molte occasioni di poter essere il miglior marcatore di questa squadra, non dimenticando tutti gli altri aspetti del suo gioco, in costante miglioramento. È anche il miglior tiratore da 3 della Lega per percentuale ma, come se non bastasse, Redick non è l’unico leader in una categoria statistica, ma ci sono altri due compagni che svettano. DeAndre Jordan, oltre ad essere secondo nei rimbalzi e terzo nelle stoppate, è primo nella percentuale dal campo, con un irreale 71.9%. Jamal Crawford, invece, è l’unico giocatore NBA in grado di tirare i liberi con una percentuale migliore di Steph Curry, primeggiando con un 92.7%.

Rajon Rondo, dopo la schiacciata in penetrazione (foto The Sacramento Bee)

Rajon Rondo, dopo la schiacciata in penetrazione (foto The Sacramento Bee)

Eccellente la crescita dei Kings (18-23, ottavi ad ovest), arrivati all’ottavo posto ad ovest a discapito degli Utah Jazz. DeMarcus Cousins continua ad avere un rendimento da MVP, piazzandosi al quarto posto sia nei punti che nei rimbalzi (26.2 punti e 11.2 rimbalzi) e sembra aver trovato il giusto equilibrio sia con la squadra che con l’allenatore, fattore da non sottovalutare. Anche Rondo continua a stupire, con statistiche veramente notevoli: 11.7 punti, 11.7 assist, 6.3 rimbalzi e 1.8 recuperi, in 35 minuti di impiego. Le vittorie contro i Thunder, i Jazz e i Clippers sono servite alla squadre di coach Karl per mandare un messaggio molto chiaro alla Western Conference, abituata da fin troppo tempo a fare i conti senza di loro. Ora la musica potrebbe davvero cambiare nella capitale californiana e, di certo, non ci stanchiamo nel ripetere quanto una squadra con questo tasso di talento possa dare fastidio anche alle avversarie di prima fascia.
In fondo alla Pacific e, purtroppo, anche alla Western Conference, c’è l’accoppiata formata dai Phoenix Suns (13-30, tredicesimi ad ovest) e dai Los Angeles Lakers (9-35, quindicesimi ad ovest). Una partita vinta sulle ultime quindici è qualcosa di veramente frustrante per la squadra di Jeff Hornacek, incapace di risollevarsi dopo le vicende che hanno colpito la franchigia a livello comportamentale (Markieff Morris) e di infortuni (Eric Bledsoe). La rottura del menisco e la conseguente operazione impediranno alla guardia dei Suns di rientrare nel corso della stagione, costituendo una tegola di grande entità; le decisioni riguardanti Morris sembrano arrivare, per poi svanire nel nulla, ma la situazione comincia ad essere insostenibile per un giocatore che manifesta un costante malcontento, con modalità senza dubbio sbagliate. Il tentativo di Byron Scott di trarre qualcosa di buono dai suoi sembra sempre un’impresa, ma responsabilizzare la parte giovane della squadra pare la mossa più azzeccata, non per ottenere risultati nell’immediato ma bensì nelle prossime annate, magari sfruttando qualche innesto di livello. Il ritiro a fine stagione di Kobe rimane la notizia più importante di cui si possa parlare, potendo sembrare deleterio per la squadra parlare sempre e solo di un giocatore, per quanto egli possa essere il vero simbolo della franchigia. Guardando questo aspetto da un’altra prospettiva, però, si potrebbe leggere il fatto in un altro modo: l’attenzione, fissata sul numero 24, potrebbe levare buona parte della pressione dagli altri giocatori, consentendo loro di poter giocare con più leggerezza e approfittandone per tirare fuori risultati incoraggianti.