Bryant e Gasol. Questa la foto pubblicata da Bryant poche ore dopo l'annuncio dell'addio di Howard.

Bryant e Gasol. Questa la foto pubblicata da Bryant poche ore dopo l’annuncio dell’addio di Howard.

Stagione 1984/85. Gli allora Buffalo Braves poi diventati nel 1978 San Diego Clippers decidono di trasferirsi a Los Angeles, uno spostamento a nord-ovest di un centinaio di miglia che li porterà a condividere più dolori che gioie con l’altra franchigia della città, i Los Angeles Lakers. Infatti in quasi 30 anni i tifosi Clippers hanno potuto osservare i successi dei cugini, quelli più vincenti e alla moda, guardando dal 1999 in poi (anno in cui hanno iniziato a condividere anche l’arena in Figueroa street, lo Staples Center) i tanti vessilli appesi. Il vento però ha spazzato via tanti brutti ricordi quando nel dicembre 2011 la franchigia di Donald Sterling riesce a soffiare Chris Paul ai gialloviola. Già perché la point guard degli allora New Orleans Hornets era stato spedito via trade ai Lakers e mentre tutti si pregustavano un backcourt da urlo con Paul e Bryant, David Stern nelle veci non di commissioner della lega ma di proprietario della franchigia della Louisiana ( la NBA aveva rilevato gli Hornets nel 2010 ed era in attesa di un nuovo acquirente) mette il veto allo scambio per “basketball reasons”, accettando però poche settimane dopo la proposta di Sterling. Un arrivo quello di Paul che ha completamente modificato gli equilibri, lanciando il guanto di sfida al dominio cittadino. Infatti in men che non si dica Los Angeles è diventata Lob City e i Clippers hanno inanellato due ottime stagioni tra cui l’ultima annata, la migliore nella storia della franchigia, condita da 56 vittorie, il vantaggio del fattore campo al primo turno (mai avuto in quel di Los Angeles) e il primo banner da poter alzare allo Staples Center, il primo titolo della Pacific Division conquistato. Ne sono seguite due brucianti eliminazioni al primo turno per entrambe le franchigie di Los Angeles che hanno lasciato tanto amaro in bocca, fino alla attuale offseason, una offseason che sembra andare di pari passo con il trend degli ultimi 24 mesi. Infatti i due top free agent di questa sessione di mercato appartenevano proprio alle due squadre californiane, ma se uno ha rifirmato immediatamente anche grazie all’ingaggio del nuovo head coach Doc Rivers, il secondo ha mollato la compagnia dopo estenuanti giorni di incontri, rinunciando addirittura a 30 milioni di dollari pur di abbandonare una delle franchigie più vincenti della storia del gioco vedendo nei Rockets una migliore possibilità di eccellere in una squadra giovane, futuribile e capace di lottare. Mai era accaduto in passato che un giocatore negli anni più importanti della carriera lasciasse i Lakers prima di vincere e mai un giocatore tra i migliori nel ruolo, se non il migliore nel ruolo degli ultimi anni, avrebbe abbracciato il progetto proposto dai Clippers prima d’ora.

Nash, Gasol, Howard, Bryant e World Peace, quintetto smantellato dopo nemmeno 12 mesi.

Nash, Gasol, Howard, Bryant e World Peace, quintetto smantellato dopo nemmeno 12 mesi.

Due scelte importanti, soprattutto in ottica futura, che porteranno una franchigia ad essere una reale candidata al ruolo di contender e l’altra ad una ardua e lunga risalita. Infatti i Lakers sono arrivati ad un punto cruciale del proprio percorso, la prossima stagione termina il contratto faraonico di Kobe Bryant (un quinquennale da circa 135 milioni), scade il contratto di Pau Gasol (ben 19 milioni solo in questa stagione) e a libro paga restano solo Steve Nash e Robert Sacre. La dirigenza aveva individuato in Dwight Howard il futuro franchise player, vista anche la condizione di Bryant che a 35 anni dovrà valutare per bene il recupero dopo un infortunio terribile al tendine d’Achille, e tutti erano certi che Howard avrebbe legato se stesso indissolubilmente ai colori purple and gold per i prossimi 5 anni. Difficile individuare il vero motivo dell’insuccesso nel trattenere Howard, molte voci vicino al giocatore ritengono che molte chance siano svanite con l’arrivo di Mike D’Antoni quando Phil Jackson pareva pronto a prendere il posto del licenziato Mike Brown. Howard infatti avrebbe preferito un allenatore vincente, capace di estrarre il meglio dai propri giocatori e in grado di guidare saggiamente l’ego di tanti campioni, idea però non condivisa dall’impulsivo Jim Buss, figlio del presidente Jerry deceduto nel mese di febbraio dopo 34 anni al timone. Altri invece sostengono che Howard non abbia gradito la lingua lunga e biforcuta di Kobe Bryant, avvezzo all’uso del bastone e della carota per stimolare i propri compagni e sembra addirittura che Dwight abbia chiesto alla dirigenza dei Lakers di utilizzare l’amnesty clause sul 24, non solo perché i rapporti tra i due non sono mai decollati, ma per concludere l’era di Bryant e iniziare un nuovo cammino con il centro ex Magic al comando. In sostanza la dinastia che sembrava dovesse crearsi solo 12 mesi fa è svanita in un battito d’ali e i Lakers si sono trovati con le spalle al muro contando su tanto, tantissimo spazio salariale nel 2014, ma con un cap stracolmo per la stagione in corso, frutto di una collezione di giocatori sopra i 30 anni pagati profumatamente (solo con Bryant, Nash e Gasol si toccano i 59 milioni di dollari, di poco sopra al salary cap) impedendo la possibilità di grossi movimenti. Le strade da intraprendere erano tre, prima di tutto usare l’amnesty clause per poter risparmiare in luxury tax, poi firmare il miglior giocatore disponibile con la mid-level exception e infine ultimare il roster con contratti al minimo salariale. Il primo punto è stato realizzato liberandosi di Metta World Peace che aveva da poco esercitato la player option per rimanere un altro anno ai Lakers, una perdita che permetterà sì ai Lakers di avere una luxury tax alleggerita di circa 15 milioni di dollari ma che li priverà del migliore difensore di squadra. Per quanto riguarda il mercato in ingresso Chris Kaman ha accettato l’exception da circa 3.2 milioni andando a rinforzare il frontcourt, mentre Nick Young, Wesley Johnson e il figliol prodigo Jordan Farmar hanno accettato contratti annuali al minimo per poter rilanciarsi e dimostrare di poter avere ancora un ruolo nella pallacanestro attuale. Con la partenza di Howard, Pau Gasol probabilmente prenderà il ruolo di centro titolare (con Jordan Hill utilizzato da power forward), cosa che non sembra preoccupare i compagni che reputano il catalano ben più duttile ad adattarsi ai dettami di D’Antoni come sottolineato anche da Steve Nash: “Penso che Gasol ci potrà dare maggiore fluidità in attacco, la palla potrà muoversi di più essendo Pau un giocatore versatile nel costruire gioco, ma anche nel segnare da dentro l’area. Howard non voleva restare e noi non vogliamo persone non felici di rimanere”.

LeBron James e Carmelo Anthony. Sogni estivi dei tifosi Lakers (Photo by Jason Szenes for The New York Times)

LeBron James e Carmelo Anthony. Sogni estivi dei tifosi Lakers per la prossima stagione (Photo by Jason Szenes for The New York Times)

Sostanzialmente da questo mercato estivo ne è uscita una squadra non così malvagia da poter puntare alla lottery visto il ricco e profondo draft che si prospetta nel 2014, ma nemmeno così buona da poter mirare ai posti che contano nella Conference. E nel 2014 si dovrà riaffrontare l’argomento spinoso del rinnovo di Kobe Bryant, che in una recente intervista ha garantito di poter tornare ad alti livelli e competere per altri tre anni, valutando un nuovo contratto con cospicua decurtazione dell’ingaggio in modo da poter ricostruire il roster per formare nuove solide basi. Si parla tanto di LeBron James che avrà la possibilità di uscire dal contratto e lo stesso vale per Carmelo Anthony, ma al momento paiono solo chiacchiere da bar. Infatti allo stato attuale delle cose i Lakers sono una destinazione ambita più per la storia e per il blasone che per essere la migliore opzione disponibile per poter vincere. I 16 anelli conquistati e la reputazione passata non possono sempre riscuotere attenzione senza un vero progetto futuro, senza garanzie il top free agent di turno non può ambire a vestire gialloviola. I Lakers non sono riusciti a convincere Howard nonostante il g.m. Mitch Kupchak avesse più volte rimarcato che nella loro storia i gialloviola non hanno mai perso un giocatore che volevano trattenere; la tradizione, i successi passati hanno avuto poco effetto e la situazione futura è molto delicata, serve lavorare sodo e dimostrare che la parabola intrapresa non sia discendente ma solo in fase di stallo. La franchigia di Buss senior ha sempre trovato un modo per risalire rapidamente la china e tornare a lottare per il Larry O’Brien Trophy anche dopo gli addii di giocatori simbolo come Jerry West, Magic Johnson e Shaquille O’Neal. Certamente i Clippers in tutto questo continueranno ad essere la squadra da battere in città (non solo per il netto 4-0 rifilato ai Lakers nell’ultima regular season), anche se il dominio di Los Angeles è ben più arduo da conquistare, non bastano due stagioni dopo quasi 30 anni ai margini. Infatti i Lakers attireranno sempre l’attenzione della stampa in un modo o nell’altro, mantenendo probabilmente alti rating televisivi per ciò che accadrà dentro e fuori lo spogliatoio e non saranno al minimo per molto, perché oltre ad essere una delle icone del basket mondiale, sono una delle franchigie valutate oltre il miliardo di dollari (l’unica assieme ai New York Knicks secondo Forbes) con alti fatturati e accordi televisivi sottoscritti attorno ai 3 miliardi di dollari (per i prossimi 20 anni con la Time Warner Cable). Non sono bastati dollari, insegne, cartelloni appesi allo Staples Center e hashtag sui social network per convincere Howard, ma non significa che tutto questo in aggiunta a un buon progetto futuro non possa convincere altri free agent la prossima estate, che si chiamino James, Anthony, Gay, Deng, Randolph o Bogut.


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