Un sistema di qualità 

Qualche settimana fa Carlo Perotti, lodandomi a dismisura in un suo interessante intervento, mi ha stuzzicato non poco invitandomi a descrivere il sistema di gioco denominato «Princeton Offense».
Premesso che, mi sia concessa questa licenza, uso il femminile quando la cito, metto subito in evidenza che grande, grandissimo merito del suo successo va a Pete Carril, l’allenatore che la ideò e adottò nei suoi 29 anni (dal ’67 al ’96, 514 – 261 il suo record, 65,8% la percentuale di vittorie) alla guida di Princeton, l’università ben nota per i suoi meriti accademici.

Disponendo di giocatori spesso inferiori fisicamente e atleticamente agli avversari (non ha mai potuto contare su giocatori reclutati con una borsa di studio per atleti), Carril ha progressivamente messo a punto un basket disciplinato e basato sulla solidità dei fondamentali individuali e di squadra che ha fatto dei suoi “Tigers” un team temibile e difficile da incontrare.
La qualità del sistema di Carril si è confermata anche nel mondo NBA allorché, lasciata Princeton, è diventato assistente dei Sacramento Kings (al suo primo anno ha contribuito a portarli al miglior risultato della franchigia).
Come si può facilmente comprendere, non è possibile trattare un simile argomento in modo esauriente in qualche decina di righe. Chiedo quindi soccorso alle note introduttive contenute in una dispensa da me redatta alcuni anni fa su questo sistema offensivo e rivolta agli allenatori. Spero risultino chiare anche al lettore non addetto ai lavori e mi impegno, se necessario, a dar seguito con qualche diagramma a quanto segue.
Ideato, studiato e sperimentato nella seconda metà degli anni ’60 e implementato e sviluppato negli anni a seguire, questo sistema offensivo ha progressivamente attirato l’attenzione di molti allenatori, la gran parte dei quali lo ha adottato riconoscendone la validità e l’efficacia.
Anche oggi non sono pochi gli allenatori che lo utilizzano con successo pur essendo un attacco fra i più studiati, analizzati, vivisezionati e datati. Le università di Princeton, per evidenti motivi “ereditari”, North Carolina State, Northwestern, Air Force e Stamford nella NCAA, Sacramento, per altrettanto evidenti motivi essendo il suo ideatore, Pete Carril, ascoltato assistente, e New Jersey nella NBA, sono alcune delle squadre che utilizzano il sistema di Carril con buoni risultati.
L’idea embrionale di Carril dimostra che non è necessario ricorrere a combinazioni di gioco astruse e si fonda sul ricorso ad un movimento offensivo elementare: il taglio back door. Questo è il vero marchio di fabbrica della «Princeton Offense», il carattere principale della sua carta d’identità che la rende riconoscibile per la ricorrenza e la varietà del suo utilizzo.
La constatazione che ha portato al suo intenso impiego è semplice ed è divenuta la prima regola da seguire: ogni volta che a un attaccante sul perimetro è negata la ricezione del pallone, in particolare quando è anticipato, ha una eccellente opportunità per trasformare in un vantaggio consistente l’aggressività del difensore con l’impiego di un efficace cambio di direzione seguito dal taglio a canestro alle sue spalle.
E’ ovvio che non si può banalizzare e semplificare tutto, come se bastasse il taglio back door per portare al successo un attacco e renderlo così meritevole di riconoscimenti. Si deve considerare questo taglio, adeguatamente eseguito nei modi e nei tempi, il punto di snodo integrato in una manovra che ha nell’efficace uso dei passaggi, nell’intelligente gioco senza palla, in primis tagli e blocchi, nell’adeguata spaziatura fra i giocatori – che fa lavorare maggiormente la difesa per coprire tutta la metà campo che difende e elimina l’aiuto difensivo dal lato debole – nella puntuale e corretta lettura della difesa (ad esempio: come si comportano i difensori?, cosa vogliono ottenere?) e nella capacità di giocare sotto pressione i suoi punti forti.
La «Princeton Offense» è un eccellente esempio di come dovrebbe giocare una squadra: non è altro che una serie di giochi a due e a tre che coinvolgono continuamente i cinque giocatori in campo senza escluderne alcuno. Giocatori che, al contrario di quanto accade e si riscontra spesso, non bramano per possedere il pallone ma, piuttosto, per condividerlo in una vera logica di gioco di squadra.
Come si evince da queste prime note, la «Princeton Offense» riassume in sé le peculiarità dell’attacco di successo: da una parte l’adozione e il rispetto di regole base e di movimenti semplici, dall’altra la capacità e la preparazione a reagire e contrastare quanto la difesa avversaria mira ad ottenere mediante l’adozione delle contromisure per renderla inefficace.
Ne consegue che tanto più gli elementi fondanti di questo attacco sono acquisiti e assimilati dai giocatori, tanto più essi sono in grado di reagire con successo di fronte ai possibili atteggiamenti difensivi muovendosi coerentemente, senza dover pensare alle scelte da fare.
Allorché tutti i giocatori – tutti, indipendentemente dal loro ruolo – sono padroni dei vari movimenti e delle regole che governano il fluire delle azioni, il gioco di squadra prende corpo nella sua interezza e nella pienezza della sua efficacia e pericolosità.
Quindi, in estrema sintesi, si può definire la «Princeton Offense» “un attacco che fa assegnamento sul costante movimento per generare opportunità di tiro da posizioni e in condizioni favorevoli”.
E’ evidente che questo attacco necessita di giocatori con determinate caratteristiche fisiche e tecniche. In particolare, devono essere ben preparati fisicamente per garantire sempre il massimo impegno, e, dal punto di vista tecnico, devono essere in grado di tirare bene da fuori, di passare e di penetrare a canestro in palleggio con entrambe le mani e devono possedere un eccellente senso della posizione.
Inoltre, per rispettare il lavoro dei compagni, ogni giocatore deve essere altruista e lavorare con impegno anche per generare opportunità per loro.
Resta da citare una particolarità tutt’altro che secondaria di questo attacco: la flessibilità. Sebbene il suo impiego più ricorrente abbia origine da due schieramenti – «2-3» (post alto) e «2-2-1» (post basso) – può infatti iniziare da una varietà di disposizioni e può essere adattato a molti schemi offensivi. Ne deriva una deduzione elementare che manifesta una sua ulteriore caratteristica: i quattro giocatori sul perimetro sono intercambiabili.

 

Aldo Oberto

 

Per ulteriori approfondimenti e curiosità sugli stili di gioco delle squadre si rimanda al sito www.lavagnatecnica.it