Il Prof. Maurizio Mondoni

Il Prof. Maurizio Mondoni

“L’attività sportiva in età adolescenziale, soprattutto se praticata a livello agonistico, s’innesta su un terreno ricco di capovolgimenti interpersonali e problematiche esistenziali, andando a influire su dinamismi intrapsichici e agendo sulle capacità di controllo dell’Io e sulle dinamiche inconsce che in questo periodo subiscono massicci riaggiustamenti” (F. Zimbardi)

 

Premessa

 

Per cercare di avere una visione globale del fenomeno dell’abbandono, dobbiamo chiederci quali sono i principali motivi e le dinamiche psicologiche che convincono un bambino a iniziare una qualsiasi attività sportiva.

In Italia purtroppo non sono sempre i bambini a scegliere l’attività motoria e sportiva da praticare, ma spesso sono i genitori e questo è un grave errore e potrebbe essere una delle cause dell’abbandono sportivo in età precoce.

La molla iniziale che fa decidere di intraprendere questa nuova avventura, è formata da diversi fattori motivazionali:

 

–         il provare piacere nella pratica motoria;

–         il giocare e far parte di una squadra;

–         l’indossare una maglia (divisa della squadra);

–         il relazionarsi con gli altri (amicizia con i coetanei);

–         il divertimento fine a se stesso;

–         sentirsi bene fisicamente.

 

Perchè esiste il fenomeno dell’abbandono?

 

Ogni anno migliaia di giovani abbandonano l’attività sportiva, ma raramente ciò accade perché è nata in loro una nuova passione a cui vogliono dedicarsi.

I giovani abbandonano lo sport perché non trovano soddisfatti i bisogni che li avevano inizialmente spinti a intraprendere questa attività.

Non si pratica più uno sport (drop-out) quando le motivazioni iniziali non sono, in parte o del tutto, soddisfatte.

 

Il drop-out

 

Drop-out, leteralmente significa “cadere fuori”, “ritirarsi”. Da studi e ricerche effettuate si evince che circa il 20% dei maschi e il 40% delle femmine interrompe prematuramente la pratica sportiva agonistica.

La fascia d’età più a rischio è tra i 15 e i 17 anni per i ragazzi, mentre per le ragazze questa tendenza si manifesta leggermente prima.

Per certi aspetti il drop-out può essere considerato “fisiologico”, essendo inevitabile un mutamento di interessi e priorità nella vita dei giovani.

 

Perché si abbandona lo sport?

 

Quali sono le carenze o le azioni negative che accelerano l’abbandono o comunque nulla fanno per contenerlo?

Per il giovane i motivi basilari di questa scelta sembrano essere:

 

–         la carenza di momenti di gioco e di divertimento;

–         poco tempo libero a causa degli allenamenti;

–         altri interessi;

–         diminuzione dell’autostima;

–         una spropositata esasperazione della competizione sportiva (ansia pre-agonistica, mancanza di successi, noia e monotonia dell’allenamento, rapporto genitori-allenatori, difficoltà di coesione con il gruppo, rapporto allenatore-atleta, infortuni);

–         il raggiungimento della vittoria ad ogni costo.

 

Chiedere la vittoria ad ogni costo

 

Chiedere o pretendere da un bambino, fin dalla sua prima esperienza sportiva, la vittoria ad ogni costo, promettendo ricompense, può influenzare negativamente il processo di sviluppo delle sue motivazioni a continuare a praticare lo sport.

Se a questo si aggiunge un inadeguato supporto emotivo nei momenti delicati degli insuccessi e delle sconfitte, si creano le premesse per cui il bambino giocherà non tanto per se stesso, ma per le richieste, per lui a volte incomprensibili, del nostro mondo fatto a misura di adulto.

Bisognerebbe ricordarsi che la nostra idea di adulti e il nostro modo di concepire il divertimento, non sempre è uguale a quello del bambino.

Se per noi l’importante è vincere, senza nessuna via di mediazione, per il bambino inizialmente può essere più interessante l’aspetto ludico-motorio dell’attività sportiva, il correre e il giocare con altri bambini; gradualmente, nel periodo puberale, sarà poi lui ad impegnarsi maggiormente nella competizione, affermando la sua voglia di crescere e di affermarsi.

Le cause specifiche comuni a molti casi di abbandono sportivo, sono:

 

–         lo studio, inteso come un impegno che richiede sempre maggior tempo;

–         il non sempre facile rapporto con l’allenatore, a volte poco attento alla relazione interpersonale e spesso troppo esigente;

–         le difficoltà legate alla socializzazione e alla competizione con i compagni e spesso viene a mancare “il gusto” di stare in compagnia e di divertirsi;

–         la troppa fatica fisica che si deve sopportare durante gli allenamenti;

–         l’ansia da competizione che è generata dalle eccessive richieste ambientali (non bisogna attribuire troppa importanza al risultato da parte dei genitori, allenatori, dirigenti; bisogna scegliere competizioni sportive adeguate (non frustranti); occorre prestare attenzione all’impegno e ai miglioramenti che di volta in volta si ottengono e non fare paragoni con gli altri;

–         gli scarsi risultati ottenuti nella disciplina praticata;

–         l’inizio troppo precoce dell’attività agonistica;

–         le strutture sportive troppo lontane e talvolta fatiscenti;

–         i costi troppo alti;

–         i genitori troppo “pressanti”.

 

In questi casi, quando manca quest’aggancio, scompaiono le motivazioni per la pratica sportiva. Queste motivazioni non sono comunque caratteristiche stabili o leggi assolute applicabili in ogni contesto sportivo, ma anzi si modificano nel  delicato periodo dell’adolescenza, subendo un’influenza sociale, famigliare, personale.

 

La motivazione

 

Per i giovani dai 5 agli 11 anni è molto importante il sostegno dell’Istruttore-Educatore, dei genitori, degli amici (dimensione affiliativa), il giocare con i compagni ed  incontrarne di nuovi.

Man mano che i bambini crescono e passano dall’infanzia alla prima adolescenza, emergono altre motivazioni, quali l’acquisizione di competenza sportiva, il desiderio di gareggiare e di confrontarsi con gli altri (agonismo da non confondersi con antagonismo).

Il giovane deve avere fiducia in se stesso e in quello che è in grado di fare. Nella formazione dell’autostima i fattori ambientali ed educativi sono essenziali e in particolare i giudizi espressi dalle persone significative (Genitori, Insegnanti, Educatori, Istruttori, Allenatori).

L’acquisizione di fiducia in se stessi è la vera chiave della motivazione. Solo chi ha forti motivazioni vince gli ostacoli e le difficoltà e continua ad allenarsi e a gareggiare: è importante mantenere alta la motivazione.

La motivazione è l’agente fisiologico emotivo e cognitivo che organizza il comportamento individuale verso uno scopo e costituisce la chiave di accesso ai risultati e può essere associato al termine “bisogno” (motivo-azione).

La motivazione ha due fonti:

 

–         nasce dall’interno della persona (intrinseca);

–         scaturisce dall’esterno della persona (estrinseca) e deriva da altre persone (allenatore, squadra, famiglia) attraverso il rinforzo (positivo/negativo) e ricompense. Il comportamento è mosso maggiormente dal bisogno di raggiungere un’approvazione esterna piuttosto che verso la soddisfazione di un bisogno individuale.