Bienvenue a tutti con questa rubrica che s’è messa in testa di frugare in giro per il mondo il top-team di alcune tra le nazionali meno celebri del panorama cestistico -e già per questo cult, di culto- cercando di raccontar qualcosa di ognuna di loro, con un occhio di riguardo per gli sbarbati che dovrebbero andare a comporne il roster ideale.
Lo scopo sarebbe quello di scovare tra le bandiere (flags) più insospettabili di questo mondo parallelo un manipolo di giocatori che, se ben assemblato ed allenato, non sfigurerebbe in una fase finale di un Mondiale, un Europeo o un’Olimpiade.
Rapido come il trash talking di Romel Beck ecco il decalogo per questo simpatico giochetto:
1- le nazionali NON devono essere tra le prime 25 dell’attuale ranking FIBA (per dire, la Gran Bretagna è 23a)
2- i giocatori devono essere tutt’ora attivi (non ritirati ufficialmente), anche se infortunati, e costituiranno una selezione dei più forti ancora eleggibili per quella determinata nazionale
3- l’allenatore, seppur di nazionalità differente (tipico per le nazionali di basso livello, diciamo i Bruno Metsu e i Guus Hiddink del basket), deve aver allenato quella specifica nazionale
4- le squadre devono avere in linea di massima un senso tattico (cercheremo di evitare quintetti con 5 playmaker, ad esempio, anche se non lo escludiamo a priori, con i giapponesi in giro)
5- valgono i passaportati, ma solo se non sono ancora stati beccati a ricevere bustarelle da ministri dello sport di federazioni improbabili per il corrotto (il tipico sloveno Omar Thomas è un buon esempio)
6- non sono permessi roster con meno di 5 giocatori, a meno di eccezioni-cult
7- cercheremo di raccontarvi qualcosa di ognuna di queste nazionali e dei loro componenti
8- se c’avete scambiato per dei nerd super seriosi sappiate che l’intento è soprattutto folkloristico, dedito più a sollevare curiosità, chiacchiere e pernacchie, piuttosto che verità assolute (ergo, se ce scappa un player, suggeritecelo voialtri!)
9- l’unico criterio oggettivo di selezione è il ranking FIBA: si lo sappiamo, nel 2013 è anacronistico tanto quanto chi gestisce l’istituzione che l’ha partorito, ma tant’è, c’abbiam provato noi a dargli un senso!
10- se state ancora leggendo, d’ora in poi non avrete altro dio all’infuori di Jr Pinnock

 

Cult Flags #3 Senegal

Flag of Senegal – Cult Flags #3


“Nobiltà, non occorre essere nati nobili per avere l’andatura del cammello | O della giraffa che regge bene il confronto col leone.”

[“Donna nuda, donna nera” di Léopold Sédar Senghor – primo presidente del Senegal e ideologo della “Negritudine”, movimento culturale nato per affrancare l’orgoglio africano dal complesso d’inferiorità imposto dai coloni]

Considerate le numerose segnalazioni di narcolessia dopo le “lenzuolate” di Panama e Georgia, saremo più brevi e speriamo più intensi in questo terzo episodio di Cult Flags che ci porta direttamente e per la prima volta nel Contintente Nero, tra le forti braccia color ebano del fascinoso e sorprendente Senegal.

Ranking FIBA: 37 (20.2 pts)

Best Results: 11mo alle Olimpiadi in Unione Sovietica nel 1980

Dakar

Dakar

Hometown: IL ricordo che c’ha assalito all’improvviso quando abbiam pensato al Senegal della palla a spicchi è legato alle canotte del ’98, Mondiali in Grecia. Decisamente le più fighe di tutto il torneo, con quello sfondo verde lucente e la scritta “Senegal”, obliqua e colorata di giallo-rosso sul petto. Ne fummo attratti istantaneamente, causa anche un secondo tempo in gran rimonta sull’Italia stupita di Tanjevic, l’anno dopo dominatrice agli europei parigini.
Fu il nostro primo approccio, ancora imberbi, con il basket africano. Stupidamente abituati a guardare solo gli albi d’oro dominati dalle nazioni occidentali rimanemmo scioccati nel vedere il Senegal darci così parecchio filo da torcere (66-76 il finale). Così, una volta catturati da quella bandiera, seguirla negli anni è diventato addirittura divertente.
Primissima Repubblica Democratica Africana, pochissime scaramucce o guerre civili per il potere negli ultimi 50 anni, una costituzione rinnovata rispetto all’ormai desueta originaria, governo che da tempo ha riconosciuto l’uguaglianza in Parlamento tra uomini e donne, matrimoni sereni tra cristiani e musulmani…da tempo ormai i luoghi comuni sull’instabilità degli stati africani in Senegal sono diventati barzellette.
Magari economia e sanità non sono ancora al top, anzi, ma il “vivi e sorridi” è da sempre una delle chiavi per provare a tirar fuori il meglio da quel che viene offerto tra Dakar, St.Louis e i dintorni dello stato più occidentale dell’Africa. Mica poco, peraltro. Inutile fare la guida turistica, ma tra oceano, deserto, oasi, savane, palme e pianure, dal punto di vista naturale e di clima raccontano che in Senegal si stia decisamente bene, e non fatichiamo a credergli.

Basketball in Senegal

Basketball in Senegal

Con patria e bandiera nate dal dolore e dal sacrificio per le sanguinose lotte di liberazione (il rosso), generosità e ricchezza della terra con i suoi prodotti (il giallo) e la speranza per il futuro (il verde), questa “flag” è diventata indiscutibilmente “cult” con la diffusione in Giamaica della religione rastafariana rappresentata appunto dall’unione dei tre colori panafricani. Tale Bob Marley la fece sua, trasformandola in uno splendido inno alla vita e alla pace, il reggae, riconosciuto ad ogni latitudine.
Non c’è da stupirsi dunque se l’approccio al basket dei senegalesi è sempre stato di puro e semplice divertimento, lontano anni luce dalla ferocia sportiva o assurda pressione di molti campionati più importanti.
Tra questi super atleti dal fisico clamoroso -con vette vertiginose di cui parleremo- però, la produzione di cestisti pecca purtroppo a livello di guardie e “piccoli”, facile conseguenza dell’annoso problema africano di predominanza del calcio unito a palestre e scuole tecniche non all’altezza per sviluppare, parallelamente al fisico da semidei, quella parte tecnico-tattica-competitiva che permetterebbe a questo glorioso paese di scalare finalmente l’ultimo gradino dell’eccellenza sportiva.
Quella, ambitissima et agognatissima, internazionale.
Ma la strada, ormai, sembra essere in discesa.

Marius Ndiaye Stadium

Marius Ndiaye Stadium


The Place of the Game:
 qualche anno fa coach Bashnen, che andò in Africa per reclutare Mamadou Ndiaye, disse che non ebbe troppa difficoltà nel trovare Mamadou in quanto le partite in Senegal si giocavano nell’unico vero palazzetto al coperto del Paese, il Marius Ndiaye Stadium. Accogliente come un’antica capanna Wolof e a dirla tutta pure dal look molto simile, è un’arena da 5mila posti nel bel mezzo di Dakar, utilizzata massivamente per i campionati d’Africa femminili del 2007. Trattasi di vera e propria cattedrale in un deserto disseminato di stadi da calcio, di cui ben tre da 60mila posti. Ma quel giorno in cui il Senegal del basket dovrà giocare la propria gara senza domani faremo in modo che il calcio sia a riposo, e allora sì che faticherete a trovare un fattore campo più assordante ed incisivo di quello del Marius Ndiaye Stadium, considerata l’affluenza impazzita di mezza nazione orfana della palla al piede.

The Date of the Game: 4 Aprile, no way. Via le catene di schiavi, in alto la testa, per l’Indipendenza e la Libertà conquistate quel giorno nel 1960!

The Intro Song: un po’ di classico R&B sparato nelle casse sulle orgogliose origini ci sembra essere il cocktail giusto per caricare la squadra prima della palla a due..quindi giù con “Senegal” del figliol prodigo Akon..“Yes, I’m comin’from the ghetto ooohh of Senegal!”

The Introduction: “And noooow…the starting lineup for your Senegal National Team..!”
(il basket del futuro, con quintetto e cambi ultrafisici e super alti grazie al favoloso dinamismo che permetterà una versatilità quasi unica)

…the man in the middle, number 52, from Charlotte Bobcats, 2.13…DeSaganaaaaaaaa Dioppp!!
Il senegalese più noto nel mondo dei canestri a 15 anni riteneva il basket uno sport per femminucce, e come la maggior parte dei suoi amici giocava a calcio nella capitale Dakar, dove campetti da basket non se ne vedevano molti. Poi DeSagana crebbe. Tantissimo, più di chiunque, e la pallacanestro iniziò a piacergli. Incazzato perchè non riusciva a controllare il proprio palleggio come quelli più bassi di lui lavorò come un ossesso, fino ad attirare gli occhi di Amadou Fall, allora scout di Dallas e connazionale di cui parleremo più avanti. Nel 1999, convinto da Fall, Diop decollò verso una delle più prestigiose scuole degli USA, la Oak Hill Academy.
Lavorando durissimo e sviluppando fisico e conoscenza del gioco attirò gli interessi della Nba, talmente tanto da persuadersi a saltare il college, voglioso com’era di dimostrare quanto valesse ed iniziare a guadagnare per aiutare la famiglia rimasta in Senegal. Al draft 01 la scelta fu altissima, la 8 assoluta da Cleveland, ma oggi ad onor del vero appare piuttosto immeritata, considerato che Diop è rimasto un solido giocatore da rotazione, superbo difensore ma mai evoluto troppo come attaccante. Le sorti del Senegal passano però soprattutto da lui, in tutti i sensi, anche se i compagni confessano che la paura che venga mandato in lunetta nei finali punto a punto rimane sempre molto alta…

httpv://www.youtube.com/watch?v=6ep6UqgKTug

 

…at forward, number 32, from Ikaros Esperos, 2.08…Mouhammaaaad Faye!!
Come il ceppo genealogico dei Diaw, che nei secoli ha regalato allo sport senegalese (e poi francese) fior fior di atleti come Issa Diaw (campione di salto in alto) ed i suoi tre figli (ovviamente Boris il più famoso), così la storica e regale famiglia Faye ha prodotto e continua a produrre calciatori e cestisti di assoluta qualità. Uno di questi è Mouhammad, nome di chiara origine musulmana (religione dominante in Senegal, quasi il 92%). Arrivato negli States grazie alla SEEDS (vedi sotto), uscito da un bel quadriennio NCAA tra Georgia Tech e Southern Methodist, al suo primo anno da pro nel 2010 ne mise 10 di media in NBDL con le Vipere di Rio Grande, proseguendo la propria carriera tra Francia e Grecia. Alona super atletica, tira pure da fuori (qui sarebbe un ala piccola) ma nella vita avrebbe preferito fare il nuotatore. Poco male, ora è uno dei pilastri del Senegal, che da quando Faye è in nazionale vanta pure la protezione degli ancestrali spiriti Pangool, i protettori del popolo Serer cui appartengono i Faye e la loro dinastia di grandissimi sportivi.

 

Boniface "Baobab" Ndong

Boniface “Baobab” Ndong

…the second man in the middle, number 21, from Galatasaray, 2.13…Bonifaceeee Ndong!!!
Il Baobab è l’albero sacro e uno dei simboli del Senegal. Alto, sgraziato ma nobile, raccontano le leggende che fu punito da Dio e ribaltato a radici in su per punirne l’orgoglio, ma da tempo immemore chiunque cerchi rifugio e riparo sotto le sue fronde non può essere ne insultato ne colpito. Boniface rivede parecchio della sua storia in questa descrizione, sin da quando nel 1999 gli dei del basket ne castigarono la presunzione, non scegliendolo nella Nba. La delusione fu tanta, la voglia di riscattarsi altrettanta. Così, dopo la gavetta in giro per l’Europa, nel 2005 grazie ai soliti magnanimi Clippers Ndong esordì in The League: durò pochissimo, ma fu una stupenda soddisfazione. Tornato in Europa, vinse da titolare l’Eurolega col Barca nel 2010, diventando nel tempo uno dei lunghi più affidabili dell’intero continente, con il suo morbido tocco offensivo ed un fisico scolpito nell’ebano pronto ad aiutare i compagni in ogni parte del campo. L’età ormai è ben oltre i 30 (35) ma San Bonifacio ritiene di non aver ancora ultimato il proprio compito in questo mondo: il Senegal chiama, la gloria può attendere.

 

Il buon Pene spiega come fare per penetrare..la difesa

Il buon Pene spiega come fare per penetrare..la difesa

…at guard, number 5, from Rennes, 1.90…El Kabiiir Pene!!
Uno con questo cognome doveva per forza finire nella nostra rubrica, a maggior ragione se altezza e ruolo ne fanno una delle pochissime guardie senegalesi conosciute a livello internazionale. Il buon Pene ha un passato simbolico: la sua prima squadra da pro in madrepatria giocava nell’isola di Gorée, da dove per secoli sono partiti gli schiavi africani verso le Americhe, mentre il fortissimo legame tra Senegal e Francia, paese colonizzatore fino al 1960, lo visse poco dopo. Cresciuto a Thiés, dopo il Gorée nel Dicembre 2005 decise di risalire al contrario il famoso percorso rallystico della Parigi-Dakar, fermandosi a 400km dalla capitale ed iniziando a Clermont-Ferrand la sua carriera europea. Tiro morbissimo, fisico compatto e buon passatore, El Kabir è un veterano già protagonista col Senegal in passato che ha trovato la propria dimensione nella SerieA francese, mentre in nazionale sarà costretto agli straordinari insieme a Savané considerati i cambi nel suo ruolo, tra reduci del campionato giapponese (Mamadou Diouf, Pape Faye) o della nostra B1 (Ousmane Gueye). Grandissimo conoscitore di vini, dichiara, e secondo noi a ragione, che la cucina senegalese stia a quella africana come quella francese sta a quella europea. Non ci credete? Gustatevi il suo piatto forte, il ceebu jen fatto di riso e pesce, e poi ne riparliamo.


…at forward, number 7, from Badalona, 2.01..
Sitaphaaaa Savané!!
Carisma affascinante, grande agonista e ala dotata di fisico d’acciaio, esperienza, tiro e versatilità, Sitapha è figlio di un famoso politico senegalese che lo mandò a frequentare l’accademia navale degli States (Navy), prima di fargli servire con orgoglio il proprio paese come militare per due anni. Finito addirittura in un libro sportivo su quel college, agli inizi negli USA Sitapha -come tanti altri senegalesi- conosceva solo il Wolof, la lingua del suo paese, e non capendo nulla d’inglese si limitò a giocare senza rispondere alle provocazioni. I risultati furono entusiasmanti, e poco dopo iniziò l’avventura in Spagna, tra Leb Oro e ACB. Diventando un vero e proprio idolo a Gran Canaria, dove hanno composto questo video-omaggio per l’addio dopo 8 stagioni di grandi ricordi e soprattutto grandi sorrisi colpevoli d’aver “steso” negli anni un discreto numero di femmine spagnole. D’altronde, sorridereste di più anche voi se il vostro nome significasse “Il Predestinato”. Allez, Sitapha!

httpv://www.youtube.com/watch?v=CnnQR2dz0a0

 

Mamadou, 2 metri e 26

Mamadou, 2 metri e 26

 FROM THE BENCH:

…the third man in the middle, number 34, from Brethen Christian HS, 2.26…Mamadouuuu Ndiaye!!
Farsi battere in palleggio non è mai stato così produttivo, pensarono i compagni di high school di Mamadou dopo le prime assurde stoppate in aiuto del 18enne senegalese alto 2metri-e-26. Figlio d’arte, Mamadou venne scoperto in Senegal da coach Bashnen che lo portò alla Brethren Christian HS in California. Decine di college misero subito gli occhi su di lui causa l’incredibile altezza e mobilità, ma un futuro che sembra ormai roseo rischiò di non sbocciare mai. Arrivato negli States, dopo i primi sprazzi di dominio gli venne diagnosticato un tumore all’ipofisi, terrificante malattia che colpisce alcuni soggetti cresciuti precocemente (capitò anche al russo Pavel Podkolzine, uno degli idoli di questa rubrica). A pochi mesi dalla scaduta del permesso di soggiorno e con zero soldi in tasca per pagarsi assicurazione sanitaria ed intervento, Mamadou era sull’orlo del baratro, ma una provvidenziale e commovente raccolta fondi gli permise di operarsi, rimettersi in sesto e tornare a schiacciare sopra tutto e tutti. Ora la strada sembra spianata verso una buona carriera al college e forse in Nba, dove diventerebbe il secondo della famiglia dopo le 5 stagioni giocate dall’omonimo padre. Buon sangue non mente, soprattutto se sei il giocatore di basket più alto d’America. Nba compresa.


…at forward, number 9, from Al Manama, 2.08…
Papeeeeeeeeeee Sow!!
Il miglior cambio dei lunghi e decisamente quello dotato del miglior gioco fronte canestro. Intelligente, elegante e diplomatico almeno tanto quanto la compaesana e politica Segolene Royal, Pape ha girato il mondo arrivando pure nell’Nba (47ma scelta nel 2004 da Miami) grazie al tiretto dalla media che lo rende diverso dai propri connazionali sopra i due metri, passando pure in Italia da titolare sia nella grande stagione 07-08 a Rieti (13,5 punti e 9,4 rimbalzi di media) sia in quella successiva nell’Olimpia Milano. Purtroppo l’incostanza è da sempre uno dei suoi peggiori difetti (che ci fa in Bahrain?!), ma in una frontline fisicissima ma poco tecnica molto meglio lui del diretto rivale Malick Badiane, scelto alla 44 del Draft 03 da Houston, spaventoso atleta passato però alla storia per esser stato scambiato a Memphis per i diritti sul buon..Sergei Lishchuk, semi-sconosciuto golem ucraino di cui parleremo prossimamente.

Il sorrisone di Sene

Il sorrisone di Sene

 

…the fourth man in the middle, number 18, from Fuenlabrada, 2.11…Mohuameeeeed Sene!!
Al momento l’altro “Maometto” di questa nazionale è conosciuto ai più solo per esser stato scelto alla 10 del draft 2006 da Seattle (poi OKC) e poi esser finito fuori dai radar Nba in un battibaleno. Tra gli 8 senegalesi passati nell’Nba Sene si ritiene erede “vero” solo del capostipite e nome di culto Makthar Ndiaye, il fallosissimo lungo della North Carolina di Carter e Jamison scelto da Vancouver nel 1998. Nero come la pece e dotato di qualche accenno di movimenti in post, Mohuamed sembra come tante altre sequoie senegalesi essersi fermato presto nella sua crescita tecnica, facendo cadere in fallo per l’ennesima volta gli scout, anche se in ACB sta ancora dicendo la sua. Ma in nazionale un posto per lui o per l’eventuale sostituto “losangeleno” Cheick Samb un posto ci sarà sempre, se non altro per ricevere chiunque entri al palazzetto con il sorriso classico della Teranga, la sacra accoglienza senegalese.


…at forward, number 10, from Louisville University, 2.11…G
orguiiii Dieng!!

Gorgui e le studentesse di Louisville..

Gorgui e le studentesse di Louisville..


Nel 2009 il ventenne Gorgui non sapeva nemmeno cosa fosse un’infrazione di passi, mentre facendo il portiere parava l’impossibile dall’alto dei suoi 2.05m a Kebemer, in Senegal. Nel 2013, pochi giorni fa, Dieng è stato fondamentale nel portare la sua Louisville al titolo NCAA, e il suo nome è già pronto per essere chiamato dalla Nba, laurea in Sport&Amministrazione permettendo. Dotato di un fisico e di un atletismo da far paura, al momento come tanti altri compaesani è considerato un difensore di livello assoluto (già recordman per stoppate a UL) ma attaccante modesto anche se il tocco sembra esserci. Comunque un enorme miglioramento, considerato il background! Ennesimo giovane prodotto arrivato negli States grazie alla già citata SEEDS, quando al suo primo anno all’università la sua Louisville fu eliminata dal torneo NCAA l’ingenuo Gorgui domandò perchè quell’anno non avrebbero più giocato. I compagni gli spiegarono che se non si vince si va a casa. Gorgui -triste- si zittì ma decise che quella cosa non gli piaceva per nulla. L’anno successivo Louisville arrivò alle finali, l’anno dopo vinse pure il campionato, e Dieng, finalmente, potè dichiarare che ormai gli rimanevano solo due cose da fare per dirsi felice. Andare nell’Nba e diventare un modello sportivo per i giovani del proprio amato Senegal. E se Gorgui Dieng dice una cosa…

 

Amadou Gallo Fall

Amadou Gallo Fall

…and the Head Coach of Senegal is…

Ci perdonerete se il buon Amadou Gallo Fall nella sua vita avrà allenato solo al campetto, ma siamo dell’idea che nazionali con enorme potenziale ma con un’evoluzione sportiva appena solo accennata necessitino, più che di un selezionatore (il caro vecchio cittì), di una figura che fornisca oltre alla fondamentale parte tecnica un contributo concreto alla crescita del basket, e dunque della propria nazionale sul lungo periodo, nel proprio paese.

E, fidatevi, nessuno meglio di Amadou rispecchia questo tipo di personaggio in Senegal. Laureato cum laude in Biologia negli States, era arrivato in USA per giocare a basket, scoperto in Africa dai Corpi della Pace. Un infortunio al polso troncò presto la sua carriera, ma le sliding doors girarono nella giusta direzione, dando il via a quella, stupenda, fuori dal campo. Scout internazionale dei Dallas Mavs, poi addirittura loro Vice Presidente delle “Basketball Operations” ed ora Vice Presidente per l’Nba in Africa, Amadou ha sempre dimostrato di avere “occhio” nello scovare talenti nascosti in tutto il mondo, dote che gli ha fruttato un ottimo stipendio ed una fama sempre maggiori. Ma il suo primo pensiero è sempre stato rivolto alla madrepatria, con il sorriso ad aprirsi spontaneo ed orgoglioso nel veder crescere finalmente il proprio Senegal dal punto di vista sportivo anche grazie a lui.

La SEEDS School di Amadou a Thiès ed alcuni dei suoi studenti-atleti

La SEEDS School di Amadou a Thiès ed alcuni dei suoi studenti-atleti

Nel 2003 infatti Mr.Fall crea la società SEEDS, “Sport per lo sviluppo educativo ed economico”. E’ la grande svolta per i destini cestistici senegalesi, che da quel momento in poi troveranno in quest’istituzione valide strutture per allenarsi, campus, educazione di qualità ed aiuti economici per poi emigrare negli USA, con la speranza concreta di trovare borse di studio e ottimi college dove proseguire la propria carriera, sia essa dentro o fuori un campo da basket.

Ora, passati dieci anni, si contano 40 ragazzoni senegalesi arrivati nelle università americane grazie a Fall e alla SEEDS, ed altre centinaia sotto costante aiuto nella terra natìa. Forse è ancora presto per gridare alla “nuova grande sorpresa” del basket mondiale, Fall in primis sa bene quanto sia ancora il lavoro da fare per diventare veramente competitivi.
Ma la cosa sorprendente è riscontrare la totale devozione di “quelli che ce l’hanno fatta” verso il proprio paese: una parte del loro successo, intimamente, sentono di doverla condividere con chi invece in Senegal ci dovrà rimanere o farà fatica ad andarsene.
Dare speranza e serenità umana ed economica attraverso lo Sport, attraverso la Pallacanestro.
E’ il credo principale della SEEDS, e pure quello di Diop, Dieng e tutti gli altri.
Un approccio talmente altruistico per i nostri canoni da suonarci strano, inusuale.
Questione di cultura differente, sicuramente, ma anche questione di DNA.
Ed in Senegal, signori, quel DNA farà la differenza.
Good Luck.


E voi, che ne pensate?

Alla prossima, qui su DailyBasket, con CULT FLAGS #4!