Laimbeer a Notre Dame

Laimbeer a Notre Dame

Pensare al capo dei Bad Boys dei Detroit Pistons come un paffutello ragazzino privilegiato fa un po’ ridere ma è vero, nato a Boston nel 1957 Bill Laimbeer è un rampollo di buona famiglia, il padre è un potente manager della Owens-Illinois, industria del riciclo del vetro, e seguendo dad il futuro bad cresce nella dolce California fra i country & golf clubs e le spiagge di Palos Verdes. Ecco se c’è un posto che vorreste crescere nella vostra adolescenza Palos Verdes, una penisola fra Los Angeles e Long Beach, può essere un’ottima scelta. Visti posti decisamente peggiori nell’orbe terracqueo.

Ed alla locale High School il nostro Bill, cresciuto sino a 2.11 cm, si mette in luce non tanto per le doti atletiche, che sono under the par, ma per le mani dolci unite alla notevole stazza tanto da avere offerte da tutti i college californiani UCLA e USC in primis. Eppure fa una scelta contro corrente ed opta per Notre Dame a South Bend nell’Indiana ad anni luce dalla California per clima e stile di vita. Ma i Fightin Irish sono squadra emergente, spesso e volentieri sulla televisione nazionale, guidati da un santone come Digger Phelps, in seguito analyst di ESPN, maniaco dell’ordine in campo e fuori. La scelta non è felicissima. Laimbeer fa una fatica dannata a mettersi in regola coi voti e non gioca praticamente mai visto che le stelle di Notre Dame sono i pariruolo Knight, Batton e Bruce Flowers oltre all’ala Adrian Dantley ed infatti gioca solo 10 partite. Va meglio negli anni a seguire quando, adattatosi al nuovo stile di vita, col suo gioco duro e poderoso ed il buon tocco si guadagna il posto in quintetto base anche se le stelline della squadra continuano ad essere altri ovvero il meraviglioso tiratore baffuto Kelly Tripucka, Orlando Woolridge e… Bruce Flowers. Ed al Torneo NCAA non ha nemmeno fortuna nel 1978 perde in semifinale contro la Duke di Mike Gminski e Gene Banks mentre l’anno successivo viene sbattuto fuori da Magic Johnson ed i suoi Spartans di Michigan State lanciati verso la storica finale contro la Indiana State di Larry Bird.

Pinti Inox Brescia

Pinti Inox Brescia

Finisce così l’esperienza al college e viene chiamato in fondo al draft NBA, che ai quei tempi contava ben tre giri, chiamato dai Cleveland Cavaliers. A quei tempi poi i rookies non avevano contratti già fissato come oggi ma dovevano contrattare con la squadra che deteneva i suoi diritti e Laimbeer chiede, anzi pretende, dai Cavs un contratto garantito.

Risposta picche.

Entra allora in azione il barone Sales, allora coach della Pinti Inox Brescia che gli offre l’opportunità di venira a giocare in Italia al fianco di Marc Iavaroni e Laimbeer accetta uccellando la dirigenza di Cleveland. Arriva a Brescia con enormi attese e l’inizio in precampionato è piuttosto deludente tanto che qualcuno comincia a dubitare sulla bontà della scelta, dubbio che non sfiora nemmeno lontanamente il buon Bill che invece nello spogliatoio ha spesso un pensiero per l’ex compagno Bruce Flowers, giunto pure lui in Italia a CantùTutti credono che sia lui quello forte, è pure biondo e bello ma io sono migliore…”

Flowers in realtà avrà una grande carriera in Italia vincendo scudetto, Coppa dei Campioni e coppa delle coppe (con Cantù)  e Coppa Intercontinentale e Korac (con Roma) ma se guardiamo la carriera NBA in effetti aveva ragione lo spavaldo Laimbeer.

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Laimbeer promette.. vendetta

Ma quando le cose si fanno serie Laimbeer c’è: 21.1 ppg e 12.5 rpg con grandi percentuali dal campo e l’eliminazione dei quarti di finale dei play off con la Emerson Varese di Bob Morse. Ballerà un solo anno in Italia poi viene chiamato ai Trials per la nazionale USA in vista delle Olimpiadi di Mosca, viene tagliato e comunque gli Stati Uniti non vi parteciperanno per il boicottaggio dopo l’invasione sovietica in Afghanistan.

Dopo aver notato il suo impatto in Italia i dirigenti di Cleveland scendono a miti propositi e lo firmano portandolo così finalmente nella NBA. La sua prima stagione a Cleveland è interlocutoria, sfiora i 10 punti di media partendo sempre dalla panchina e mostrando grande vigore e durezza in area ma non convince sino in fondo coach Musselman ed al suo secondo anno le sue cifre, ed il suo impiego, calano drasticamente tanto che a metà stagione viene scambiato a Detroit. Sarà la svolta della sua carriera, nei Pistons trova Isiah Thomas con cui aveva fatto i trials per la nazionale, e viene subito inserito in quintetto, nella seconda parte della stagione viaggia a 12.8+11.3 di media e nelle successive sei stagioni Laimbeer va sempre in doppia doppia di media con il top di 17.5 punti nel ’84-’85 e di 13.5 rimbalzi l’anno successivo. Siamo in epoca pre-Bad Boys e Laimbeer di dimostra un centro completo in grado di avere grosso impatto in difesa ed a rimbalzo ma anche di avere mano dolcissima non solo nei pressi del canestro ma pure da lontano. Certo è un duro, non risparmia le gomitate agli avversari ma non è ancora il giocatore più odiato d’America e gioca quattro All star Game dal 1983 al 1987.

Ma i Pistons non vincono.

Nulla.

Però si cominciano a creare le fondamenta dei Bad Boys: nel ’86 arrivano John Salley e Dennis Rodman nel draft e l’ex compagno dei tempi di Notre Dame Adrian Dantley dagli Utah Jazz.  Detroit arriva alle finali della Eastern Conference dove perde con Boston 4-3. L’anno successivo, dopo l’acquisto di James Budda Edwards, i Pistons si prendono la rivincita su Boston ed arriva per la prima volta alla finale NBA contro i Lakers ed arrivano ad un passo dal titolo NBA quando un fallo fantasma di Laimbeer su Kareem Abdul-Jabbar gira gara 6 e con Thomas out per una distorsione alla caviglia Los Angeles vince gara 7 108-105.

Laimbeer con Perdue...

Laimbeer con Perdue…

La svolta arriva nel 1989 quando Dantley viene scambiato con Mark Aguirre a Dallas e nascono ufficialmente i Bad Boys. Gioco duro e molto spesso sporco dove Rodman, Mahorn e Laimbeer sguazzano come rospi nello stagno, ma anche tanta qualità con la classe di Thomas e Joe Dumars, l’impatto istantaneo di Vinnie Microwave Johnson ed una fame di vittoria e voglia di rivalsa assolute.

Non c’è storia per nessuno in Finale Detroit batte i LA Lakers dello Showtime per 4-0 con Dumars MVP.

L’anno seguente si fa il bis. I Pistons battono i Bulls di Michael Jordan, a loro volta in fase di costruzione della loro dinastia, nelle finale della Eastern 4-3 poi in finale trovano la Portland di Clyde The Glide Drexler e vincono 4-1 con il canestro decisivo di Microwave Johnson sulla sirena di gara 5.

Qui finisce l’epopea dei Bad Boys perché MJ sta per arrivare a spazzare via tutti con i suoi Bulls, Detroit coi suoi vecchi leoni prova a stare al top ma il culmine è passato e comincia la discesa e nei play off i Pistons vengono spazzati via 4-0 dai Bulls.

Arriva pure il ritiro di Bill Laimbeer nel 1994, prima si riunisce al padre nell’azienda di famiglia “Laimbeer Packaging Corp” (che chiuderà nel 2002 per problemi economici) e fa il commentatore delle gare dei Pistons poi comincia una carriera di allenatore, conduce le Detroit Shock, portandosi come assistente l’amico di tante lotte Ricky Mahorn, a tre titoli della WNBA, fa un paio di anni il vice a Minnesota e poi tornare dalle donne nelle New York Liberty ma senza ottenere la tanto agognata panchina NBA che resta l’obbiettivo di questo incredibile lottatore.