pistolQuel pomeriggio a Pasadena nella palestra della Prima Chiesa del Nazareno James Dobson ha organizzato un quattro contro quattro speciale poiché oltre ai suoi soliti amici con cui si trovava a giocare ha portato un ospite con cui in mattinata aveva registrato uno dei suoi show radiofonici riguardanti l’importanza del cristianesimo nella famiglia.

Il suo ospite, un tipo magro e dal volto scarno, è molto arrugginito e si vede. Non salta ma cammina, la palla non sembra fatta per stare nelle sue mani, il suo primo tiro a malapena sfiora il ferro. Poi man mano che si comincia a scaldare, riaffiorano i ricordi biomeccanici e la magia ritorna… fa un canestro… il palleggio si fa sicuro e chiede palla… ne segna un altro, sul suo volto esce un sorrisetto sardonico. La palla gli esce dalla mano per passaggi inimmaginabili… quell’uomo sa giocare a basket.

I giocatori, un gruppo di ultra-quarantenni, si prendono una pausa e vanno a bere alla fontanella.

Il loro ospite resta in campo e continua a tirare.

“Hey! Come va?” gli chiedono

“Sto alla grande!”  risponde. Perché l’ospite d’onore non è uno qualunque.

Si chiama Pete “Pistol” Maravich.

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Press and Pete

Press and Pete

Non si può parlare della storia di Pistol Maravich senza partire da suo padre.

Petar “Press” Maravich è figlio di Vajo Maravich e Sara Kosanovich, emigranti serbi originari di Dreznica, e cresce ad Aliquippa, un triste e grigio sobborgo industriale di Pittsburgh dove tutto ruota intorno alle fabbriche metallurgiche. Lo chiamano Press perché conosce tutti i segreti e pettegolezzi di Aliquippa ed è un ragazzo brillante ed inquieto destinato a qualcosa di diverso del lavoro in fabbrica. Trova quel “qualcosa” nella pallacanestro, diventa una stella della sua high school e si laurea nel 1941 con una borsa di studio per il basket alla Davis and Elkins College nel West Virginia, appena finito il college viene chiamato dallo Zio Sam e si arruola nell’aviazione dove diventa tenente e combatte nella Seconda Guerra Mondiale nel Sud Pacifico come comandante dello squadrone di bombardieri chiamato Black Cat.

Alla fine del 1945 Press torna a casa celebrato come un eroe dalla comunità serbo-americana, comincia a giocare da professionista negli Youngstown Bears della NBL e conosce Helen Gravor, una ragazza serba alta mora e dagli occhi blu, al loro primo appuntamento decide che l’avrebbe sposata. Helen era vedova. Suo marito un italo-americano di nome Elvidio Montini era killed in action in Europa durante la guerra e le aveva lasciato un figlio di nome Ronnie. Ma per Press non c’era problema, avrebbe trattato Ronnie come suo figlio. Un anno dopo il loro matrimonio, nel 1947, nasce Peter Press detto Pete. Suo padre conclude la sua carriera di giocatore nei disastrati Pittsburgh Ironmen della BAA (che un paio di anni dopo diventò la NBA ma senza gli Ironmen) e comincia ad allenare.

Se per Helen allenare è il lavoro del marito per Press è una Chiamata. E vi si dedica anima e cuore.

pete LouisianaState3La sua carriera di allenatore di College comincia da West Virginia Wesleyan e continua alla sua alma mater Davis and Elkins, nel ’52 torna ad Aliquippa ad allenare la high school locale e nel 1956 arriva la chiamata da Clemson nel South Carolina. Clemson anche allora era un football college ma Press non ci sta e lavora come un matto per portare i Tigers al top. Lavora come un matto anche sui figli ma Ronnie Montini ha il fisico (diventa alto sul 1.90) ma non ha la passione, nonostante sia la stellina della Daniel HS, ed è un vero ribelle mentre il piccolo Pete, alto 1.60 magro e fragile, è una macchina da basket su cui Press lavora instancabilmente creandogli appositamente un gran numero di esercizi sui fondamentali che il bambino esegue regolarmente. Ha sempre il pallone in mano e va a scuola palleggiando ed eseguendo drills di ball handling. Un bambino bizzarro, con pochi amici e non troppo popolare ma che quando arriva pure lui alla high school mostra ormai tutto il suo talento giocando al fianco del fratellastro maggiore. Mentre Ronnie ottiene una borsa di studio e va a Georgia Southern, da cui scappa poco dopo per cercare fortuna a New York, il quattordicenne Pete delizia i tifosi di Clemson durante l’intervallo delle partite del padre facendo numeri mai visti prima con la palla in mano. Resta un aneddoto famoso quando per scommessa con un negoziante Pete fa girare la palla sulla dita per un’ora arrivando a farle sanguinare in cambio di cinque dollari.

Press alla guida di NC State

Press alla guida di NC State

Nel 1964 Press Maravich passa ad allenare North Carolina State, prima come assistente del mitico coach Everett Case e poi prendendone il posto quando deve lasciare per motivi di salute, a NC State Press vince la ACC, intanto Pete è la stella assoluta alla Broughton HS, lo chiamano Pistol perché spara via la palla dal lato come se stesse sparando con un revolver ed ha offerte da tutta America ma il padre gli mette sotto il naso quella di LSU

Se non firmi questa lettera non provare a tornare nella mia casa”

Press infatti ha un piano: allenare Pete al college e lanciarlo nel firmamento dei più grandi.

Ma Louisiana State University è un altro college da football dove oltre al football si segue lo Spring Football ed il palazzetto del basket sembra un fienile tanto che lo chiamano The Cow Palace.

Col cavolo” gli risponde il figlio “io vado a West Virginia, ho già parlato con il coach Bucky Waters, LSU è un football college”

“Se vai a West Virginia non metterai mai più il tuo sedere in questa casa”

“Se vado a LSU mi devi comprare una macchina”

“Col cazzo che ti prendo una macchina”

Pochi giorni dopo a New Orleans Press Maravich viene introdotto come nuovo coach di LSU “Mio figlio sarà una superstar… aspettate soltanto “ dice ai giornalisti “Aspettate di vedere il mio ragazzo…”

a LSU

a LSU

Secondo le regole del tempo Pete non può giocare nel varsity team da freshman ma spopola nella squadra dei freshmen segnando 43.6 punti a partita con 10.4 rimbalzi mentre Press allena una squadra da incubo che vince solo 3 partite e ne perde 23 “Non ho un solo giocatore con un singolo gene da cestista” schiuma di rabbia Press, ma le prove di Pete rendono l’attesa per il suo anno da sophomore spasmodica.

Nel frattempo il piccolo e smilzo Pete è arrivato ad essere 1.92 per circa 70 chili e spopola nelle leghe estive diventando l’idolo degli studenti di LSU ma elettrizzando l’intero stato della Louisiana tanto che il governatore diventa un assiduo frequentatore delle partite dei Tigers. The Barn, il fienile, The Cow Palace che era sempre vuoto improvvisamente diventa troppo piccolo tanto che si decide di costruire un nuovo palasport.

Al suo secondo anno comincia lo Showtime. Press aveva ragione. Pistol è una superstar ed il suo coach-padre chiama un solo schema: palla a Pete. Il ragazzo può fare tutto quello che vuole e DEVE tirare appena può, i compagni di squadra sono solo comparse del suo show. Il ragazzo magrolino col numero 23 e le calze che cascano pendule sugli scarni polpacci è inarrestabile. Poco importa che nei suoi tre anni nella varsity di LSU avrà un record tutto sommato mediocre di 47 vittorie e ben 33 sconfitte, quello che conta è che Pistol Pete esordisce con 48 punti e 16 rimbalzi contro Tampa (con 20 su 50 al tiro) viaggia a 43.8 punti da sophomore superando nove volte i 50 punti (high i 59 contro Alabama); da junior viaggia a 44.2 ppg tirando in media 37 tiri a partita con un record di 66 punti contro Tulane e nella stagione da senior (con un record nella Sec di 13 vinte e 5 perse) segna 46.6 ppg con 5.4 rpg e 6 apg con il career high di 69 punti contro (ancora) la povera Alabama e per la prima volta porta LSU alla post season al NIT dove la sua carriera finisce contro la Marquette di Al McGuire poiché Press decide di non schierarlo nella partita di consolazione contro Army guidata dal giovane coach Bobby Knight.

A Pete mancano ancora 29 ore ore di lezione per laurearsi in Business Administration ma a Miss Lola Hawkins, la sua insegnante di matematica che gli chiede di completare gli studi, il giovane fenomeno risponde “Sono più importanti 29 ore di studio o due milioni di dollari?”. Infatti Press ha deciso che quella è la cifra che la NBA dovrà versare a suo figlio per assicurarsi dei suoi servizi.

Maravich coi Jazz

Maravich coi Jazz

Ma nella NBA lo aspettano. Non solo gli owners che non vedono l’ora di mettere le mani sul suo talento e sui fans che impazziti lo seguono, lo aspettano anche i giocatori, infastiditi di tutta la pubblicità che i media fanno a questo ragazzino che però non ha vinto nulla al college e che chiede 2.000.000 di presidenti estinti per giocare. Lo aspettano per spezzarlo in due.

The Pistol comincia ad uscire con la dolce e paziente Jackie e viene selezionato dagli Atlanta Hawks alla terza chiamata del draft del 1970 dopo Bob Lanier e Rudy Tomjanovich. Per la prima volta non ha a fianco Press a proteggerlo ed anzi il rapporto, difficile e conflittuale, col padre-padrone degenera sino ad allontanarsi dal suo mentore. Press allenerà ancora un paio di anni LSU, ma senza Pete il suo tempo è finito, l’ultimo suo college sarà poi per tre anni il piccolo Appalachian State. Invece ad Atlanta Pete è atteso con scarsa simpatia dalle due star degli Hawks: la guardia Lou Hudson, gran realizzatore, ed il centro Walt Bellamy gelosi dell’ingaggio da 1.9 milioni di dollari che il rookie ha ottenuto. Il coach Richie Guerin si rende conto che gli sponsor vogliono la sensazione bianca ed il suo showtime in campo ma pretende pure che la sua selezione dei tiri cambi drasticamente, deve difendere e deve imparare ad avere un coach che non sia suo padre. Pete prova ad adeguarsi. Nel suo anno da rookie viaggia comunque a 23.2 ppg e coi suoi passaggi fuori da ogni logica della fisica innesca Hudson che ne segna 26.8 cosicché gli Hawks raggiungono i play off, dove perdono coi Celtics, mentre Maravich entra nel quintetto ideale dei rookies.

In campo però la pressione è tremenda: i media ed i tifosi pretendono da lui numeri da circo ogni sera, gli avversari cercano in ogni modo di fermarlo, picchiarlo, i grandi giocatori di colore come Earl Monroe o Oscar Robertson  vogliono umiliarlo ed i compagni di squadra si guardano bene da difenderlo.

Pete è tremendamente solo. Jackie è a casa mentre Pistol se ne va in giro: parties ed alcool sono la sua quotidianità.

Nella sua terza stagione le cose in campo sembrano funzionare. Pistol e Hudson superano entrambi i 2000 punti a segno, per la seconda volta nella storia della NBA due compagni ci riescono, ma per la terza volta consecutiva Atlanta esce al primo turno dei play off. Nella sua quarta stagione cogli Hawks The Pistol è il vicecannoniere della NBA con 27.7 punti a partita ma Atlanta non va ai play off ed ha un record negativo.

Maravich contro i Suns

Maravich contro i Suns

Il suo stato mentale peggiora sempre di più. Cerca disperatamente di avere amici in squadra portandoli nei bar o al ristorante ma non sa come essere un buon amico. Nella sua gioventù non ha mai avuto bisogno di amici, l’unica amica è la bottiglia, beve tanta birra e diventa pure vegetariano: ha una fase in cui mangia solo fagioli, non mangia più pane bianco, zucchero e sale ed è convinto di non aver superato i due metri di altezza a causa dello junk food mangiato in gioventù.

Continua a chiedersi “Perché tutti mi odiano?” in tanti iniziano a pensare che Pete sia un maniaco depressivo, gioca ore ed ore a Pong, l’antenato dei videogiochi, ed ha atteggiamenti compulsivi

Anche ai vertici degli Hawks c’è insoddisfazione, lo hanno pagato una cifra mai vista prima ma la squadra non migliora. E non vince.

Nel 1976 finalmente sposa Jackie dopo un suo ultimatum dopo una trasferta “Quando torni ci sposiamo oppure io vado via di casa”. Jackie è l’unico fattore stabilizzante che gli resta. Al matrimonio arriva anche Press dalla Svezia, è finito ad allenare l’Halsinborg, la mamma Helen è scomparsa ed il vecchio coach cresce con un amore ed un dolcezza sorprendente la terzogenita Diana.

Nella NBA arriva una franchigia in espansione, proprio a New Orleans e per lanciare i Jazz quale acquisto migliore della leggenda della Louisiana Pete Maravich? I Jazz mandano due giocatori e quattro scelte agli Hawks in cambio di Pistol.

Dopo la "pace" con Press

Dopo la “pace” con Press

La squadra è scarsa ma fa tutto per supportare Maravich che nel 1977 viaggia a 31.1 di media superando i 40 per ben 13 occasioni compreso un vero capolavoro contro i Knicks in cui segna 68 punti. Sembra la svolta per lui che oltre a segnare fa impazzire le arene della NBA coi suoi passaggi e le sue incredibili doti nel palleggio ma le sue ginocchia lo abbandonano e comincia a soffrire di continui infortuni. La franchigia ha anche problemi economici e nel 1979 l’owner Sam Battistone la trasferisce a Salt Lake City.

Gioca solo 17 partite a Utah, il coach Tom Nissalke per regola non fa giocare chi non si allena e Pete spesso non riesce a farlo. Lo tiene in panchina per ben 24 partite consecutive. Nel gennaio del 1980 Pete Maravich viene tagliato ed i Boston Celtics lo prendono dalla waiver list. Il suo ruolo è di uscire dalla panchina e dare una scintilla alla partita, lo fa e per la prima volta dopo gli iniziali anni di Atlanta Pistol torna a giocare i play off dove perde nelle finali di conference coi Philadelphia 76ers di Julius Erving 4-1.

La sua carriera si chiude qui. Dieci anni nella NBA, 658 partite disputate, 24.2 punti e 5.4 assist di media.

Fa per due anni vita da recluso. Si disintossica dall’alcool. Poi decide di cominciare a crearsi una vita e capirne il senso. Si riavvicina al padre ed alla sorella Diana e con Press fa camp per ragazzini, si interessa di ufologia, pratica yoga ed induismo. Infine si riavvicina al cristianesimo, Jackie le dona due figli Josh e Jaeson, diventa un padre e marito presente e dolcissimo. Nel 1985 suo padre si ammala di cancro alla prostata e nel 1987 le condizioni peggiorano, Pete è al suo fianco sino all’ultimo momento. Spira il 15 aprile del 1987 mentre Pete gli sussurra “Ci rivediamo presto papà”.

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Sto alla grande!” risponde Pete. Dobson lo guarda mentre il volto dell’ex campione sbianca all’improvviso.

Cade a terra e muore.

Il 5 Gennaio 1988.

Non aveva toccato palla da otto anni, dal giorno del suo ritiro dalla NBA. E muore con la palla in mano, così come era cresciuto con quel pallone. Il suo destino.

Nell’autopsia i medici scoprono che a Pete Maravich mancava completamente l’arteria coronaria sinistra del suo cuore per un disturbo genetico. In quelle condizioni di solito si muore molto giovani e non si può far sport agonistico.

Pistol lo ha fatto. Lo ha fatto in modo leggendario.

(Consigliamo caldamente di non perdervi i seguenti video)

Ed ora le sue lezioni di dribblig e tiro: