Young discute con LeBron James

Young discute con LeBron James

A Washington, D.C. è iniziata l’estate, è il 1° giugno 1985. Da qualche parte nella capitale, una ragazzina di appena 14 anni, tale Marquet Craig, sta per dare alla luce il suo primogenito, Samuel David.
La situazione non è facile, Marquet è single e la famiglia (alla fine i figli saranno 5, padri assortiti (cit.)) viaggia per gli States in cerca di stabilità, trasferendosi di stato in stato per ben nove volte. La tanto desiderata stabilità arriva nella contea di Prince George, nel Maryland. Qui, alla Friendly High School a Fort Washington, il giovane Sam inizia a far intravedere che con il pallone in mano sa cosa fare. Il basket diventa la sua occupazione principale, gli amici riferiscono che non è raro vederlo alle 6.30 del mattino nella palestra della scuola ad allenarsi. Young guida i Patriots al titolo statale del Maryland nel 2003 e nel 2004 giocando come centro e tenendo una media di 24.6 punti, 14 rimbalzi e 6 stoppate di media.

Nonostante le incredibili statistiche, il giovane talento non viene considerato dagli addetti ai lavori come un prospetto futuribile: gioca centro ma ha il fisico di una guardia/ala piccola, ciò all’HS magari non è un problema, ma nel basket che conta non c’è spazio per uno così.
Ad eccezione di Pittsburgh, le attenzioni dei college di livello tardano ad arrivare. Per puntare in alto Sam doveva modificare il suo gioco, adattandolo a quello che poi sarebbe stato il suo ruolo naturale. Ah, come se non bastasse, i suoi voti non gli permettono di beneficiare di una borsa di studio. Quand’è così la soluzione è una soltanto: frequentare per un anno una scuola di preparazione (che sarebbe una scuola “intermedia” tra liceo ad università, un esempio è la leggendaria Oak Hill Academy).

La scelta ricade sulla Hargrave Military Academy. Durante quell’anno l’etica del lavoro di Young si delinea e diventa uno dei suoi punti di forza: nella sua stanza del dormitorio c’è un poster con la scritta “I can’t let my mother work harder than I do” (“Non posso lasciare che mia madre lavori più duramente di me”). Abbastanza deciso il giovane.
Ad ispirare e spronare Young c’è anche il fratello, Michael Spriggs, cieco dall’età di 13 anni ma nonostante ciò judoka di ottimo livello. “Sarebbe potuto succedere a me. So per certo che se lui avesse avuto le mie stesse opportunità ne avrebbe tirato fuori qualcosa di costruttivo”.

Young a Pittsburgh ai tempi dell'università

Young a Pittsburgh ai tempi dell’università

L’annata è più che positiva, la scuola conclude con un recordi di 28-1 e Young, che chiude con 23 punti ed 11 rimbalzi di media, viene nominato National Prep School Player of the Year del 2005. Le chiamate dal college arrivano: lo cercano Georgia, Maryland, Georgetown, Virginia Tech, e Miami.
Sam decide però di andare a Pittsburgh, dato che erano stati gli unici ad averlo cercato anche quando gli altri non credevano in lui dopo gli anni del liceo.

I quattro anni a Pitt sono un continuo crescendo di minutaggio e punti, partendo dai 7.9 in 20 minuti del primo anno ai 19.2 in 31.8 minuti (più 6.2 rimbalzi) della stagione da senior, il suo ultimo anno. In realtà nel mezzo c’è uno scazzo con il coach perchè lo faceva giocare troppo “inetrno” mentre lui voleva scorazzare sul perimetro libero di sparare qualche tripla. Per fortuna si arriva ad un compromesso.
Nell’estate prima del suo anno da senior, Sam porta un materasso ad aria negli spogliatioi del campo da gioco dell’ univeristà di Pittsburgh e vive letteralmente lì per un mese intero. Il motivo? “Così posso allenarmi quando voglio”.
Il punto più alto della sua carriera collegiale coincide con il suo ultimo torneo NCAA, nel 2009, in cui Young tiene una media di 23.5 punti nelle 4 partite disputate da Pitt. Il coach di Connecticut, Jim Calhoun, dopo che Young aveva segnato 56 punti nelle due partite disputate contro la sua squadra, dichiarerà: “Non c’è mai stato un giocatore che ci abbia dato tanti problemi quanto lui”.

Il sogno di Sam si avvera al draft NBA dello stesso anno, i Memphis Grizzlies lo scelgono con la chiamata numero 36. Young resta nella città del blues per 3 anni, la stagione più prolifica è quella 2010-11, in cui parte da titolare in 46 partite e realizza 7.6 punti di media in 20.2 minuti di utilizzo.
Al di là dei freddi numeri, non va sottovalutata l’esperienza dovuta al solo fatto di far parte di quei Grizzlies che nei playoff di quella stagione mancarono le finali di Conference perdendo solo in gara 7 contro Kevin Durant e i suoi Thunder. Partire in quintetto con Marc Gasol e soprattutto Zach ‘Ciccio’ Randolph in annata di grazia (assolutamente immarcabile e professorone di gioco in post) non capita tutti i gironi.
Inoltre, per un giocatore del suo tipo, molto attento alla fase difensiva del gioco, avere come compagno di squadra il cazzimmoso mastino Tony Allen non dev’essere stato male.
Il Commercial Appeal, principale quotidiano di Memphis, scriverà su Young: “È noto da tempo per la sua etica del lavoro e determinazione. Gioca a basket con una rabbia controllata, motivato da chi l’ha sottovalutato, scartato, ignorato”.

Young in maglia Grizzlies

Young in maglia Grizzlies

Dopo gli anni a Memphis, una breve parentesi ai 76ers e l’arrivo ai Pacers per la stagione 2012/13. Alla corte di Larry Bird gioca pochi minuti a partita (12.4), ma diventa molto importante nelle Finali di Conference perse poi in gara 7 contro gli Heat.
Infatti, nei pochi minuti in cui il coach lo tiene in campo, Sam è utilizzato come arma difensiva sull’ala #6 degli avversari che poi sarebbe solamente il giocatore più forte del mondo, tale LeBron James. La faccia tosta c’è…

La scorsa stagione, dopo aver provato la carta Spurs, Sam Young ha giocato in Australia per i Sydney Kings e successivamente, a gennaio, in Portorico per i Vaqueros de Bayamón.
Le medie di entrambe le esperienze: 20.9 punti, 6.8 rimbalzi e 2.3 assist in 32.4 minuti di utilizzo.

Il resto è storia nota. Atripaldi (sempre sia lodato) torna a Caserta con il contratto firmato dal giocatore, non senza qualche brivido dovuto, pare, ad un ritardo della copia autografata da Sam. Per una volta, il termine “colpo” (tanto abusato che ormai si usa pure per la firma di un qualsiasi mestierante che giocherà 3 minuti in tutto il campionato) è l’unica parola adatta a descrivere l’operazione di mercato.
Ah, ci teniamo a dirvi che nonostante la faccia da miononno, ha veramente 29 anni.

Per chiudere, un video in cui Zio Sam ci mostra che gli piace mortificare i ferri come se non ci fosse un domani.

Fonte: http://juvecasertareport.blogspot.it