La Boston Basketball Band è Matt Farley. Matt Farley ha scritto 19.000 canzoni in dieci anni. Dodici le ha dedicate alla squadra che ama. Poche, in fin dei conti…

Gli anni ’80. Le spalline, i synth, gli album dalle produzioni magniloquenti, le capigliature suggerite da un influencer discendente diretto del Canaro. E poi Drive-in, Milano da pere, il piumino, i paninari, Jovanotti for deficient. Che decennio terribile, vero? Tranquilli, c’è stato anche dell’altro. Persino per noi che della spicchia non possiamo fare a meno. Che, proprio in quegli anni, abbiamo avuto l’opportunità di scoprire il pianeta NBA. Un mondo sino allora sconosciuto ai più, se non per le (scarne) cronache dei quotidiani sportivi o per quelle (più ampie) delle riviste specializzate. Ma di immagini filmate, allora, nisba. Se non per qualche spezzone capitato per sbaglio alla Domenica Sportiva o chissà dove. Poi arrivarono le telecronache di Dan Peterson su Italia 1 e di colpo cambiò tutto. Una meraviglia! Era arrivato il momento di applaudire i numeri di campioni inarrivabili come Julius “Doctor J” Erving o Earvin “Magic” Johnson, di tifare squadroni tipo i Philadelphia 76ers, i Los Angeles Lakers o i Boston Celtics. Già, i Celtics. Chiaro: la loro storia non è certo iniziata negli anni ’80. In realtà, parliamo di una vera e propria dinastia partita con il primo anello, conquistato nel 1957, al quale ne sono seguiti altri sedici, con una striscia vincente arrivata addirittura fino a quota otto, tra il 1959 e il 1966. Come restare indifferenti di fronte a cotanta storia? Forse è la stessa domanda che un giorno si sono fatti nelle stanze della Motern Media, una piccola ma cazzuta etichetta discografica (e non solo) di Danvers, cittadina di poco più di 20.000 anime stazzata nel Massachusetts. La cui capitale, guarda caso, è Boston. Alla Motern si arrabattono come possono, mettendo mano a film, a canzoni personalizzate (per i compleanni, o per cercare qualcuno, roba che nemmeno “Chi l’ha visto”…), con un occhio particolare allo sport. Nel loro catalogo trovano posto dischi dedicati non solo al basket ma anche al baseball e addirittura alle attività agonistiche di intere città. Nel 2008, quelli della Motern tirano fuori “Go Green!!”, album della Boston Basketball Band, tributo, come facile intuire, ai Celtics.

Diciamo la verità: dell’uscita del disco in questione, qui nel Belpaese, non ce ne siamo proprio accorti… Poco importa quando si ha a che fare con un’operazione sponanea, limpida. Anche se non del tutto. Parliamo di limpidezza. Perché leggi la parola band e pensi a un gruppo chiuso in una cantina umida mentre il cantante urla, il chitarrista svisa e la parte ritmica cuce e ricuce. No, niente di tutto questo: la Boston Basketball Band, in realtà, è una one-man-band, nella persona di Matt Farley. Uno che, è proprio il caso di dirlo, se le canta e se le suona. Uno che, nel corso degli ultimi dieci anni, ha scritto qualcosa come 19.000 pezzi usando settanta pseudonimi (qualche esempio? Papa Razzi and the Photogs, The Toilet Bowl Cleaners, The Singing Animal Lovers…). Inutile dirlo, Mr. Farley tifa i Celtics sin da quando era in fasce. E ne avrà viste tante se è vero che “Go Green!!” ripercorre una buona parte della storia sportiva della squadra che ama. Nato sull’onda dell’ultimo trionfo dei Celtics (ricordiamolo, è il 2008), l’album nasce e si sviluppa attraverso dodici canzoni parecchio brevi (la più lunga non va oltre i 2,18 minuti). Si parla e si canta di giocatori storici, come Bob Cousy, Danny Ainge, Kevin Garnett, Paul Pierce, Larry Bird, di Doc Rivers, Kevin McHale, del telecronista Johnny Most, di coach Ricky Pitino, di una figura di altri tempi come Red Auerbach. Lo stile è indefinibile, volutamente sgangherato, un miscuglio di ogni stile esistente e non. Matt Farley gioca la propria partita celebrando una franchigia storica dell’NBA con ironia e sentimento, come se i Celtics fossero parte integrante della sua vita. E, almeno un po’, dovrebbe essere così, visto e considerato che“Go Green!!” riesce a volare in alto come un canestro in acrobazia di Larry Bird. E Larry Bird non lo fermava nessuno…