Maurizio Buscaglia durante un time-out (foto A.Musolino)

Maurizio Buscaglia durante un time-out (foto A.Musolino)

La sua specialità, da ragazzino, a Perugia, era il salto in alto. Oggi, a 45 anni, la sua specialità è ancora il salto in alto, ma l’atletica non c’entra più. Maurizio Buscaglia, eletto coach dell’anno per la LNP, è abituato ai salti di categoria. Specialmente se la missione da compiere non è facile, se si tratta di costruire e di farlo con un progetto e una squadra pensati per il lungo periodo. A Trento, cittadina dalla modesta tradizione ma dal notevole potenziale, Buscaglia cerca la serie A. Tutto è cominciato dalla serie C, vincendo sul campo: una carriera unica per un ragazzo dal carattere schivo ma dalle idee chiare, che sa essere anche molto rock nella sua ritrosia mediatica.

La porta accanto
Maurizio Buscaglia da ragazzino pratica l’atletica, e d’inverno l’attività si fa indoor. Una gran fortuna per lui: «La porta a fianco alla nostra era quella del palazzetto. – ricorda – Finivo di allenarmi e preso dalla curiosità mettevo la testa dentro…e guardavo. Così fu la prima volta. La seconda entrai un po’ più dentro, la terza ero seduto per terra a vedere, e la quarta volta l’allenatore mi ha detto: “Scusa tu…ma perché domani non provi?”». Buscaglia e il basket si conoscono così, nella Perugia degli anni migliori, con la squadra in serie A e un ambiente in fermento, seppur in una realtà relativamente piccola. La pallacanestro giocata nelle giovanili fa scattare qualcosa: «Giocare mi piaceva tantissimo, ma notavo che mi interessava tantissimo anche vedere la preparazione della partita, il lavoro fuori dal campo». Finché qualcun altro notò lui, e la storia professionale del coach comincia qui, quando gli chiesero di allenare gli esordienti.

Azzeccagarbugli e problem solving
La difficoltà maggiore negli studi di giurisprudenza è questa: «Tra casa e la biblioteca c’era il palazzetto» racconta sorridendo il coach, richiamando alla memoria gli anni bolognesi. A vent’anni infatti Buscaglia allena le giovanili a Bologna, chiamato da amici che gli affidano diversi gruppi. L’atmosfera pazzesca della capitale del basket italiano è l’ambiente ideale per farsi le ossa. E arrivano le prime soddisfazioni, insieme ai primi insegnamenti. Le società che lo accolgono non sono i grandi club in cui la strada è già tracciata. Si tratta di piccole realtà dove lo stimolo stava nel vedere un’autostrada dove c’è un sentiero, nel tradurre le idee in organizzazione e risultati: «Dove non ho avuto riferimenti già strutturati, ho studiato. Ogni volta poi ho portato con me le esperienze, e le ho ripetute, perché le problematiche sono molte, ma quasi sempre le stesse. Si tratta di studiare e di aggiungere sempre qualcosa. Non siamo scienziati della Nasa ma non si possono fare a caso». Grazie al passaparola o al passa curriculum, il coach si trasferisce in Veneto, dal 1996 al 2003. È la prima esperienza che gli conferisce lo status della professionalità: Maurizio non è più “solo” un dottore in legge con l’hobby del basket ma è un allenatore a tutti gli effetti. «Era un basket di provincia, Padova, Mestre, ma furono anni umanamente incredibili. Con le promozioni il lavoro andava organizzato, passaggi successivi, miglioramenti: non solo pallacanestro ma il discorso diventava manageriale».

Emozioni forti al PalaTrento (Fonte: Ufficio Stampa Aquila Basket Trento)

Quasi un business plan
Così come il trasferimento a Padova, anche quello a Trento è frutto di una serie di incontri più o meno casuali (alcuni usano la parola “destino”). È il 2003 e l’Aquila Basket è in serie C. «Dal primo colloquio rimasi molto colpito, clamorosamente colpito: incontrai persone con un’idea chiara. Io mi sono seduto, loro mi hanno fatto un quadro completo: cosa volevano, perché, come. Sono tornato a casa pensando: “questi ce la fanno!”. Volevano fare un percorso, e mentre lo esponevano si capiva la programmazione, la loro volontà e allo stesso tempo una grande serenità». A Trento la società è in mano a professionisti che hanno studiato per fare i manager prima di lavorare nello sport, e a Buscaglia la cosa piace: «La interpreto così, la pallacanestro come un’azienda. Non credo sia un caso che siamo arrivati fino a qui». L’ambiente è ideale per costruire, ci sono i materiali: gli obiettivi, i ruoli, un’organizzazione da mettere in piedi ma già fondata su solide volontà. Il coach non ci pensa due volte, e comincia il sodalizio con il Gm Trainotti che continua tutt’ora verso la serie A. La permanenza a Trento si interrompe due stagioni, tra il 2007 e il 2010, anni in cui Buscaglia riscopre la sua città, Perugia, per centrare un’altra promozione. E per poi tornare a Trento ricaricato.

La festa per Trento promossa dalla Silver in Dna Gold (Fonte: Ufficio Stampa Aquila Basket Trento)

Mental coach
«Non mi sono mai dimenticato una cosa: se c’è solo l’allenatore, non si gioca. Se ci sono solo i giocatori, invece, la palla si alza lo stesso. Magari fanno confusione, ma la partita si fa comunque».
Una concezione rock dell’allenare una squadra, dove il coach è un motivatore che, oltre ad orchestrare il lavoro sul campo, tiene sotto controllo le condizioni generali dentro e fuori lo spogliatoio. «L’ambiente fa il giocatore. Se il contesto produce il giusto messaggio, ecco che ciò fa fare un tuffo in più, fa recuperare una palla in più, fa vincere una partita in più. Ho sempre cercato di dare alla squadra un’identità forte, un’identità di gruppo, che è la precondizione per la capacità di condividere quello che succede in campo. Il gruppo dello spogliatoio deve essere trattato con serietà, sincerità, serenità. Se la squadra è unita fuori, lo sarà anche in campo». Pascolo, Spanghero, Baldi Rossi: giovani che a Trento hanno trovato il terreno adatto a sbocciare: «Qui a Trento ho trovato ragazzi giovani, seri, capaci di assumersi responsabilità. Bisognava solo dirgli che potevano, tirarglielo un po’ fuori. La capacità dell’allenatore è creare condizioni. È sapere che un giocatore vale 7, ma se messo vicino a un altro diventa da 9, e quell’altro, che vale 9, diventa 10 se insieme a un altro…come un ufficio, la squadra è questione di equilibri. Ora, andare in palestra con questo gruppo è un piacere perché ciascuno cresce attraverso il rapporto con l’altro, e io stesso vengo ricaricato dalla loro energia, positività».

Se son rose
Trento è pronta per la serie A? «Non pensiamo se siamo in grado di vincere o no. Dobbiamo preoccuparci di fare bene ogni giorno, ogni partita. Programmare sì l’anno, ma fare prima bene il mese, la settimana, l’allenamento di oggi pomeriggio. Piccoli obiettivi, da raggiungere presto, il breve periodo che sommato si traduce in un lungo periodo» dice Buscaglia.
L’esplosione di interesse della città per il basket è incredibile. Da questo punto di vista ci può essere grande slancio. Secondo il coach, che si accinge ad incontrare Torino in semifinale playoff – ci sarà Stefano Pillastrini, che Buscaglia ricorda bene di aver ammirato da lontano durante gli anni bolognesi – Trento sta lavorando seriamente per la salire in A, serve però fare un discorso economico. Più di tutto, però, serve fare un discorso meno materialista ma più profondo: «La serie A vuol dire sofferenza, lottare, salvarti. È pronto il Trentino a lottare? A tutti piace stare in cima, ma quando il gioco si farà duro?». Ci si penserà al momento opportuno, se è meglio essere primi al villaggio o secondi a Roma. Nel frattempo ci sono altre partite da vincere, palazzetti da riempire, obiettivi da centrare. Maurizio Buscaglia sta prendendo la rincorsa.