Un infortunio può rappresentare un semplice incidente di percorso. Due possono sembrare sfortuna, tre diventano accanimento. Quando ti perseguitano, la frustrazione di non riuscire a tornare sul parquet a fare quello che ami porta inevitabilmente al pensiero di chiudere notevolmente in anticipo la tua carriera. Se hai solo 25 anni e ami questo sport, però, diventa complicato pensare di toglierti di dosso non solo una maglia, ma una vera e propria seconda pelle. “As long as I have my faith in God, i’m good. I know everything else is going to come“. L’ha detto Derrick Rose ed è una citazione che potrebbe valere benissimo per Marco Laganà, uno dei talenti più interessanti del basket italiano, che non è mai riuscito ad esprimere tutte le sue potenzialità per colpa di una sfortuna che ci ha visto fin troppo bene, purtroppo.
Bergamo si è rivelata la scelta migliore che potessi fare quando qualche mese fa i rapporti con Latina si erano definitivamente incrinati. Sei soddisfatto? “La scorsa estate avevo deciso di andare a Latina dopo diverso tempo di inattività. Ho anche detto di no a squadre come la Fortitudo, perché ripartire dopo l’infortunio al ginocchio era un p0′ un’incognita anche per me. Ero convinto che una piazza tranquilla come Latina fosse la scelta migliore. A febbraio, però, alcuni rapporti umani rappresentavano un problema e abbiamo scelto di prendere due strade diverse. Mancava una settimana alla fine del mercato di A2 e avevo diverse richieste: ho scelto Bergamo e si è rivelata la scelta più azzeccata. Sono stati due mesi belli in cui abbiamo vinto tutte le partite e siamo riusciti a salvarci meritatamente”.
Anche se il rammarico di non aver giocato i playoff resta. “Assolutamente, era il mio obiettivo all’inizio stagione della Latina e sono convinto che avremmo potuto raggiungere tranquillamente la post-season. Le cose, però, non sono andate come avremmo voluto…”.
Già fissati gli obiettivi per la prossima stagione? “Già questa stagione, giocando tutte e trenta le partite, ho dimostrato di stare bene fisicamente. Mi mancava solo un po’ di feeling con il campo e di minutaggio. All’inizio del prossimo campionato arriverò sicuramente più pronto”.
Quando si fissano degli obiettivi, non ci si può dimenticare da dove si è partiti. Per Marco tutto è iniziato da Biella, che lo fece esordire in Serie A: che ricordi hai? “Gli anni migliori dal punto di vista cestistico e anche fuori dal campo. Anni in cui sono cresciuto tantissimo e ho avuto a che fare con gente e un ambiente che mi hanno sempre voluto bene e con cui mi sono trovato alla grande. Biella avrà sempre un posto speciale nel mio cuore”.
Poi l’esperienza a Cantù ed ecco, purtroppo, arrivare altri infortuni, anche molto gravi: cosa ti rimane di quel periodo? “A Cantù, purtroppo (perché anche li mi sono trovato benissimo fuori dal campo) avrei voluto dimostrare di più. In due anni e mezzo ho avuto due operazioni alle ginocchia e quando sono arrivato ero già infortunato. Non ho mai avuto la possibilità di dimostrare qualcosa e quelle poche volte che ho giocato non ero al 100% fisicamente. C’è rammarico più che altro: pazienza, ho conosciuto tante persone speciali e rimarrò sempre legato a Cantù nonostante tutto”.
Poi hai deciso di tornare a Reggio Calabria, anche per stare vicino alla famiglia in un momento che per te è stato complicato: l’esperienza, però, è durata pochissimo… “Era un momento difficile per me, visto che non riuscivo a risolvere il problema del ginocchio. A Cantù tra il cambio di proprietà e tutto il resto, non mi curavano più come avrebbero dovuto. Sono tornato a Reggio Calabria sperando che la vicinanza ai miei genitori e una società di A2 mi potessero aiutare dal punto di vista fisico a rimettermi a posto”. Invece le cose non sono andate per il verso giusto: “La situazione, invece, era esattamente come quella di Cantù, con l’unica differenza che avevo vicino la mia famiglia. Non volevo smettere di giocare a pallacanestro: così ho deciso di andare a Brescia: almeno avrei potuto allenarmi in un posto serio, dove si lavora bene”.
Un pensierino per restare a Brescia l’avevi fatto? “Mi sarebbe piaciuto, ma non era il momento giusto nella mia vita e carriera. Ho lavorato tutta la scorsa estate per tornare ad essere un giocatore. Brescia è una società piena di ambizioni che sta andando alla grande in serie A ed ha confermato tutto il nucleo dello scorso anno. Volevo ripartire da un posto più tranquillo, con meno pressioni”.
A dicembre coach Sacchetti ti ha convocato per il mini raduno di Cremona. Al di là di tutto, due giorni importanti per te anche a livello psicologico. “Tornare a vestire la maglia azzurra è un tuo obiettivo? è stato bello tornare a vestire la maglia della Nazionale, anche solo per un amichevole. È un riconoscimento al lavoro che stai facendo
In Estonia nel 2013 vincesti l’oro con la Nazionale U20: che ricordo hai di quell’esperienza? “Un ricordo indelebile, che porterò sempre nel mio cuore: è sempre un onore e una grande emozione vincere qualcosa con la propria Nazionale. Siamo nella storia: non sono tanti i giocatori, in Italia, che possono vantare una medaglia del genere”.
Il fatto di essere alto quasi due metri ti dà la possibilità di giostrare su tre ruoli praticamente: quali aspetti senti che devi migliorare di più? “È una caratteristica che può portare vantaggi e svantaggi: alcune volte ho dovuto ricoprire anche il ruolo di 4 tattico in attacco. In difesa, però, può capitare di finire a marcare un play più basso ed agile si fatica molto di più. Ad esempio, marcare un giocatore del calibro di Ferguson (Biella) e poi dover gestire la palla in attacco non è proprio semplice. Devo migliorare a livello fisico e aumentare la mia capacità aerobica: voglio arrivare a non uscire mai dal campo. Credo che se miglioro dal punto di vista fisico poi lo noto anche dal punto di vista tecnico, sopratutto nel tiro da tre.
Non ha mai smesso di fare sacrifici per tornare ad essere un giocatore. “Non è mai stato un peso per me allenarmi. Anche adesso che sono in vacanza mi sveglio ogni mattina alle 6/6:30 per andare in palestra: lo faccio con grande piacere. A proposito, devo ringraziare Gaetano Gebbia che mi seguirà un’altra volta per tutta l’estate: sono felice che abbia voglia di darmi una mano e vedermi crescere. Gli sarò sempre grato”.
Dopo tutti quegli infortuni e quella sfortuna, hai pensato di mollare tutto? “Nella mia testa sì. Non ho mai avuto la forza per farlo, perché mi piace troppo giocare a basket, ma ci sono stati tanti momenti difficili (come l’anno scorso) in cui avrei smesso volentieri di giocare”.
Avere una famiglia in cui si mastica basket praticamente ogni giorno, però, è stato un vantaggio? “A casa il basket la fa da padrone: abbiamo anche un centro minibasket a Reggio Calabria che si chiama “Lumaka”. Vediamo insieme tante partite in tv: la palla a spicchi è al centro del nostro mondo. Nonostante tutto, i miei genitori non mi hanno mai forzato verso la pallacanestro. Fino a 13/14 anni ho sempre giocato a calcio e a tennis”.
Anche la tua cagnolona Olivia ha avuto un influsso positivo immagino in termini di serenità, vero? “Lei è la mia fidanzata: mi supporta sempre!”
Da fratello maggiore, cosa ti senti di dire o consigliare a Matteo, che adesso gioca a Capo d’Orlando? “Con Matteo ci sentiamo quotidianiamente e ho un bellissimo rapporto, non serve dirgli molto. A 17/18 anni allenarti con la Serie A è sempre molto gratificante e permette di imparare molto. Ha la testa giusta per fare il giocatore e spero possa continuare su questa strada, sempre con la stessa determinazione che sta avendo in questo momento”.
Finirai anche quest’estate in barca con Raucci? “Quest’anno non lo so se ripeteremo la vacanza, ma la scorsa estate ci siamo divertiti tanto (ride, ndr)”.
Cosa ha rappresentato per te la pallacanestro in tutti questi anni e come la definiresti tutt’ora? “Il basket per me è tutto. La mia giornata gira tutta intorno alla pallacanestro: se non si può definire ossessione, poco ci manca. Per me è vita ed è ossigeno puro. Lo è da sempre: in qualsiasi luogo, per strada, in un palazzetto o in un campetto, avere la palla in mano vuol dire pallacanestro”.
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