Come nella migliore scenografia di un film werstern di Sergio Leone è un “mezzogiorno di fuoco” quello che accompagna la dura preparazione atletica della rinnovata Sigma Barcellona Basket 2012/13, dove il sangue delle sparatorie è metaforicamente sostituito dal sudore e le “pistolettate” delle sezioni di allenamento al tiro dei giocatori, in un Palalberti “infuocato” dal torrido caldo di fine agosto. Ed ecco che spunta puntuale, non a cavallo, bensì con il suo inseparabile scooter, fedele condottiero negli spostamenti in una Barcellona deserta di domenica mattina, il nuovo coach della compagine giallorossa, lo Sceriffo, quel Giovanni Perdichizzi che dodici anni prima sfiorava per un solo canestro la promozione nell’olimpo del basket con la squadra della sua città, l’allora Cestistica Barcellona, nella finale promozione contro la Snaidero Udine di coach Boniccioli e del “ragno” Charly Smith. Lo incontriamo e, con la solita gentilezza e disponibilità, ci concede un’intervista come se, per lui e per chi scrive, il tempo non si fosse mai fermato dopo dodici lunghi anni. La prima impressione destata dal “coach dei miracoli” è quella di un uomo molto pacato e sereno ma altresì deciso e colmo d’entusiasmo il quale, nonostante il suo illustre pedigree, possiede ancora quell’umiltà ma soprattutto quella determinazione con gli “occhi della tigre” pronto ad aggredire la propria preda, ossia l’inseguimento di un sogno, che per Barcellona è quella Serie A inseguita da sempre e mai conquistata. Quindi, proprio l’uomo giusto al momento giusto, per il vulcanico Presidente Bonina il quale finalmente potrà parlare la stessa lingua non strettamente legata al fattore dialettale ma soprattutto nel potersi confrontare con un uomo che nella sua carriera è stato sempre accompagnato dalla voglia di vincere ed emergere.

 

Giovanni Perdichizzi, ci si ritrova a distanza di 12 anni della tua città natale. Iniziamo con l’aspetto sentimentale: quali emozioni al momento della firma sul tuo nuovo contratto che ti lega con il team giallorosso?

L’emozione è davvero forte, risponde il coach, poiché ritornare, professionalmente parlando, nella propria città dopo dodici anni significa per me riprendere un discorso lasciato in sospeso. La mia scelta è stata dettata dal cuore, dal sentimento ma soprattutto dalla voglia di portare la squadra e la città nella massima serie anche se questo sarà un discorso più complicato rispetto agli anni passati, per via dell’unica promozione disponibile. Tuttavia gli stimoli sono forti e sono, anzi siamo pronti a far bene, a sudare e combattere per questi colori dopo quest’ultima stagione appena trascorsa un po’ tribolata per società e tifosi”.

Facciamo un viaggio a ritroso, quasi a scorrere la macchina del tempo nei dodici anni trascorsi fuori dal Longano, professionalmente parlando: Messina dal 2000 al 2003 con due campionati di A2 e il ripescaggio nella massima serie conclusosi poi con l’esonero dopo 8 gare. Forse il momento più difficile e delicato della tua carriera?

La cosa più difficile e delicata, tende a precisare Perdichizzi, è stata quella di andare a Messina per il trasferimento del titolo da Barcellona. Tuttavia il sottoscritto era legato ancora con un contratto con la società che era stata trasferita a Messina e, quindi, necessariamente l’alternativa era quella di uscire e rescindere il contratto ma, ai tempi, non esistevano opportunità professionali all’altezza. Pertanto intrapresi quella strada dove, tra l’altro, ricordo si partì con una base di poco più di 200 spettatori a partita per poi arrivare a più di 5000 nella finale promozione di serie A contro Teramo. I campionati di A2 sono stati comunque soddisfacenti ma l’anno in cui tutto è si trasformato negativamente è stato quello della serie A (ripescaggio ndr) quando è cambiata la proprietà, si defilò dalla società il gruppo Franza e la società iniziò ad accusare problemi economici e organizzativi sin dall’inizio. A quel punto la situazione da gestire era difficile ed il primo intervento da effettuare è stato quello di separarsi dal sottoscritto. Successivamente le cose non è che siano andate tanto meglio anzi ci sono stati scioperi, atleti che non si allenavano e non giocavano la domenica. Si è rivelata quindi una scelta infelice per Messina quella di fare la serie A ad ogni costo non possedendo una struttura adeguata per affrontare un campionato così competitivo e difficile come quello della serie A”.

Quindi, un anno di pausa di riflessione, e il Campionato 2004/05 vede la chiamata di Enzo Sindoni che ti ha legato alla città di Capo D’Orlando: grandi soddisfazioni, immediata promozione in serie A “ammazzando” il campionato, stavolta sul campo, con le scoperte Terrel McIntyre, Ryan Hoveer, Rolando Howell, l’eterna classe di Bryan Oliver e i kg di Montonati sotto le plance, il tutto tradotto con 5 americani; i due anni successivi, in serie A, due salvezze e la tua conclusione del rapporto con il club paladino. Ci racconti l’esperienza del triennio orlandino?

“Ricordo che si era partiti per costruire una squadra di B1 e già si stava lavorando per fare una squadra di terza serie con giocatori da terza serie. Poi Enzo Sindoni che ha da sempre palesato questa voglia di stupire spedì una raccomandata in federazione, non volendo acquisire titoli da altre società, al fine di dichiararsi disponibile ad un eventuale ripescaggio. Il destino volle che tante squadre davanti a Capo D’Orlando rinunziarono e si aprì così la possibilità di disputare il campionato di serie A2. Paradossalmente si rivelò un vantaggio poiché tanti buoni giocatori erano senza squadra, molti avevano abbassato le pretese economiche iniziali e quindi ci trovammo nella condizione di poter costruire una buona squadra ed, a mio avviso, dei giocatori menzionati la grandissima scoperta oltre a Terrel McIntyre fu quella di Rolando Howell, un pivot proveniente dal primo anno di College, che veniva a giocare per la prima volta da professionista in Europa. Gli americani così come il gruppo degli italiani, la squadra tutta insomma, si rivelarono un meccanismo perfetto capaci di regalare a Capo D’Orlando, al Presidente, al coach quella storica promozione. Dico storica perché quella ormai rimarrà negli annali dei records della Legadue in quanto, oltre ad aver vinto il campionato e la Coppa Italia di Lega da matricola, bissammo il torneo vincendo 27 partite su 30 con una striscia positiva di 22 vittorie consecutive. Fu un’annata incredibile e, cosa da non trascurare, acquisì maggior valore il fatto di averla contesa all’assoluta favorita per la vittoria finale, ossia quella Virtus Bologna estromessa dalla serie A ed ammessa in Legadue, una squadra con un blasone talmente grande che era inammissibile che non tornasse immediatamente al piano di sopra. Ma Capo D’Orlando sul campo ha dimostrato di essergli superiore vincendo con 10 punti di vantaggio. Ma è stato un anno, ammette Perdichizzi, in cui tutto è filato liscio senza intoppi o infortuni ed anche quando ci sono stati piccoli infortuni siamo riusciti, di squadra, a superarli. I due anni successivi, come diceva Sindoni, sono coincisi con la vittoria dello scudetto il primo anno e l’eurolega il secondo, ossia le due salvezze che per una cittadina di poco più 12 mila abitanti ed un budget limitato hanno davvero rappresentato un’impresa sportiva. Capo D’Orlando è la dimostrazione, al contrario di Messina, che se si lavora con alle spalle una struttura organizzativa adeguata e le giuste capacità imprenditoriali anche in un piccolo centro come Capo D’Orlando, che non possiede grosse aziende o industrie, si possono conseguire risultati importanti”.

Anno sportivo 2007/2008. Altra pausa di riflessione. Arriva la chiamata di Brindisi del patron Ferrarese in B d’Eccellenza, a campionato in corso, sostituisci Paolino Moretti prendendo una squadra quasi pregiudicata al fallimento per farne un altro capolavoro sportivo. 14 vittorie consecutive, finale con Trapani e, boom, promozione in Legadue. A parole sembra facile spiegarlo?

“Ricordo che avevo ancora due anni di contratto con Capo D’Orlando ma, personalmente, non sentivo più dentro quell’emozione nel continuare e quelle motivazioni e stimoli per riprendere un discorso (immaginiamo di vittoria…ndr). Di conseguenza chiesi al Presidente Sindoni una pausa di riflessione, di staccare la spina poiché lottare per la salvezza due anni consecutivi in A1 mi hanno tolto tante energie psicofisiche. Tuttavia nel periodo natalizio mi arriva questa chiamata da Brindisi un giorno prima di quella della Virtus Bologna; ricordo che firmai per Brindisi la domenica, giorno in cui i pugliesi giocavano a Sant’Antimo, ed il lunedì, il giorno dopo, mi chiama Sabatini chiedendomi di venire a Bologna, di lasciar stare Brindisi e proseguire l’autostrada adriatica fino in Emilia Romagna. Tuttavia avevo fatto la mia scelta e sono tutt’oggi contento di averla effettuata poiché Brindisi è una città che vive 24 ore al giorno di pane e pallacanestro. Trovai una squadra al settimo posto con il morale a terra, priva di motivazioni ed autostima. Anche la società stessa pensava a programmare il secondo anno anziché finire nel migliore dei modi la stagione in corso. Eppure, con gli stimoli giusti e ricompattando un po’ tutto l’ambiente imponendo le regole ferree ai giocatori siamo riusciti a vincerne 14 consecutive su 16 non cambiando nulla. Ricordo che la società insisteva nell’intervenire sul mercato rafforzando il roster ma la mia scelta dopo 5-6 partite è stata quella di andare avanti fino alla fine con la formazione costruita da principio. Il risultato è stato quello di 14 vittorie consecutive e la finale contro Trapani che ha riportato Brindisi dopo 22 anni in Legadue”.

L’anno successivo a Brindisi è salvezza (12° con 28 punti). La società ti conferma e si rivela un saggio investimento poiché vale la storica promozione (dopo 29 anni) per i pugliesi nell’olimpo del basket “uccidendo”, come a Capo D’Orlando, il campionato con 3 giornate d’anticipo con i vari Crispin, Omar Thomas, Radulovic, Silver Bryan. Gran campionato anche quello, tra l’altro conteso ad un’altra corazzata, Sassari, oggi solida realtà in seria A?

“Il primo anno di Legadue è stato di transizione, non abbiamo fatto il play-offs solo per due punti ma, di fatto, sul campo li avevamo conquistati con l’ultima vittoria che ci fu scippata dagli arbitri a Varese, a cui fu convalidato un canestro a Childress a tempo scaduto (come poi fu ampiamente approvato). Tuttavia Brindisi doveva inserirsi in un contesto professionistico e lo fece con grande tranquillità costruendo la struttura e allargando la base organizzativa della societaria. Cosicché il secondo anno è stato l’anno della promozione del ritorno nella massima serie dopo 29 anni con una squadra dove c’erano tante scommesse, giocatori come Maresca e Infante reduci da infortuni e che ho voluto fortemente a Brindisi, giocatori come Omar Thomas che era stato già in Italia ma non aveva inciso più di tanto nelle sue apparizioni, Joe Crispin che era stato già in Italia a Teramo ma non aveva entusiasmato, Pinton che dopo quell’annata è stato preso da Sassari ed oggi è un giocatore protagonista in serie A come cambio dei playmaker di turno. Si creò così un’alchimia importante tra giocatori, staff tecnico, società e tifosi in cui il lavoro di Santi Puglisi è stato determinante per la vittoria del campionato ed i tifosi che ci seguivano ovunque. Ricordo ancora i 2000 di Scafati a festeggiare la promozione in una partita che non contava nulla, i 1500 brindisini a Reggio Emilia, così come a Rimini e la concorrenza che, anche quell’anno, era spietata come Sassari, Veroli, Casale Monferrato ossia squadre di assoluto valore costruite per vincere il campionato. Ma Brindisi con “8 giocatori 8” e con due giovani di belle speranze, ossia Coviello oggi qui con noi e Malagoli, effettuò un girone di ritorno strepitoso staccando tutti e vincendo il campionato con tre giornate d’anticipo, ossia acquisendo il biglietto per la massima serie evitando i play-offs. Quello è stato il momento più bello dell’esperienza brindisina”.

5 novembre 2010, a poco più di un mese dal tuo 50° compleanno, ecco il regalo più ambito ma soprattutto il riconoscimento maggiormente gratificante per un allenatore: il Premio Reverberi. Scontato o inaspettato? Quali emozioni?

“Grande soddisfazione anche perché è un premio inseguito da tanti, si tratta del premio come migliore allenatore italiano di tutte le categorie. E’ una testimonianza del grande lavoro che voglio condividere  con la città, i giocatori e tutta la società di Brindisi oltre alla mia famiglia. Un’emozione certamente più forte del premio ottenuto a Capo D’Orlando come migliore allenatore della Legadue, più emozionante del premio come migliore allenatore di B1 vinto qui a Barcellona dopo la finale contro Ferrara, poiché un premio ed un riconoscimento di assoluto valore per la pallacanestro italiana, consegnatomi da gente come Meneghin e Petrucci”.

L’anno successivo tuttavia ti ha lasciato forse l’amaro in bocca per la rescissione consensuale del contratto con Brindisi in serie A comunque retrocessa alla guida di Luca Bechi?

“L’anno successivo ci si è illusi che continuando con quella struttura organizzativa si potesse disputare la serie A. Non è stato così poiché la storia insegna che in serie A hai bisogno di dirigenti e manager professionisti. Di conseguenza relegare un manager come Santi Puglisi al ruolo di team manager si rivelò una scelta del tutto inappropriata poichè di fatto mancava la figura del direttore sportivo o general manager, cosicché Brindisi pagò duramente quella scelta infelice. A tutto ciò poi si aggiunse anche la sfortuna con l’infortunio ad inizio stagione di un giocatore fondamentale come Monroe in precampionato dopo una settimana e che si è trascinato di fatto per tutto l’anno, gestito malamente, appunto, dalla struttura organizzativa (staff medico, ndr)  come, altro errore fondamentale, fu il taglio repentino che forse non andava fatto di Eric Williams che poi di fatto è stato uno dei migliori pivot del campionato italiano. Anche qui ha pagato la mancanza, nel ruolo, di manager professionisti. Si è partiti con una squadra cambiando in corsa, con una panchina (tolti due giocatori), non di certo all’altezza della massima serie, tant’è che oggi molti di quei giocatori militano in campionati di terza e quarta serie. La legadue aveva forse illuso che si potesse andare avanti in quella maniera. La storia ha, infatti, dimostrato che l’anno successivo Brindisi si è attrezzata con un direttore sportivo come Giuliani, assegnando a Santi Puglisi il ruolo a lui più congeniale, ossia quello di G.M., che nei momenti di difficoltà davanti agli infortuni di Hunter o Ndoja ha saputo trovare gli aggiustamenti adeguati sul mercato, cosa che non era riuscita l’anno prima proprio per l’assenza di una figura professionale di questo tipo. Probabilmente quella retrocessione è servita da lezione e far capire alla società che nella pallacanestro di vertice occorrono professionisti e non avventurieri”. La storia recente parla di Capo D’Orlando e l’uscita dai playoffs in DNA, nel campionato appena trascorso, ma soprattutto la chiamata del Presidente Bonina a Barcellona dopo un campionato non all’altezza delle aspettative, sia sul piano del gioco ma soprattutto dei risultati che parlano, comunque, di due semifinali play-offs consecutive. Bonina, con tutto il suo entourage, ha da sempre palesato grande ambizione ed un temperamento vulcanico. Vedi in lui un carattere e qualità che si possono sovrapporre ed amalgamare al personaggio Giovanni Perdichizzi?

“Analogie con Bonina? Il Presidente è uno che vuole vincere ed in questo mi ci ritrovo anch’io (la storia parla chiaro, ndr). Come ho detto in sede di presentazione è meglio avere un presidente presente e tifoso anziché un patron distaccato. Bonina è il numero uno dei tifosi. E’ palese la sua voglia di vincere, l’attaccamento alla squadra ed alla città e la sua grande passionalità. Egli va accettato nelle sue esternazioni sia dopo una sconfitta o un periodo negativo che quando, nei momenti esaltanti, coccola fin troppo i giocatori dopo una vittoria”.

Esaminando l’aspetto puramente tecnico. Oggi, dopo quasi un ventennio di carriera da coach quali sono gli aspetti, le caratteristiche che ti porti dietro in valigia e quali invece quelle che hai abbandonato?

“Ho smussato il mio carattere, ma porto con me la padronanza dei miei mezzi e le competenze. Mi è servita tanto la mia esperienza con l’Ina Assitalia come responsabile della gestione delle risorse umane, il continuo aggiornamento, il partecipare a stages o clinic, i viaggi negli States dove ti confronti con altre realtà ed anche con procuratori e la conoscenza di agenti americani fa si che hai più facilità di poter lavorare meglio in questo ambiente”.

Che tipo di pallacanestro propone oggi Giovanni Perdichizzi?

“La mia è una pallacanestro fatta di energia ed entusiasmo al tempo stesso, cosa che è mancata, vedendola da fuori, nell’ultimo anno di Legadue qui a Barcellona. Bonina mi ha chiesto espressamente di costruire una squadra che coinvolgesse la gente ed il pubblico tutto. Credo e spero che questa squadra rispetti queste prerogative e che si identifichi con la mia filosofia di gioco. Già adesso vedo tanta positività. Lo si vede da come la gente si porge con questi ragazzi nelle manifestazioni e nei meeting organizzati dai tifosi (Summer Basket Village, ndr). Cosicché si respira un’aria di grande passione ed attesa nei confronti di questa squadra. Sarà, e lo spero, una pallacanestro fatta di energia, di difesa, di contropiede; abbiamo preso gente con tali caratteristiche, con ruoli ben definiti per giocare contro le difese schierate e per giocare di squadra pur sempre sfruttando quelle che sono le caratteristiche individuali dei singoli”.

Ci descrivi la squadra che hai costruito ed una menzione anche dello staff tecnico che vede sempre il tuo fedele scudiero Nino Coppolino come assistente e il felice ritorno di Antonio Nania come preparatore. Oltre alla riconferma di Trimboli e l’ingresso nello staff di Mills.

“Siamo partiti dalla conferma di Bucci e Mocavero poiché erano ritenuti da me, ma anche dalla società, giocatori che hanno dimostrato, oltre alle qualità tecniche, un profondo valore umano, l’attaccamento alla città, alla gente ed alla squadra. Di conseguenza era necessario ripartire da due figure come le loro. Si è poi deciso di inserire un leader, figura che l’anno scorso è sembrata mancare. Se prendiamo come esempio Brindisi, se c’era da gestire un possesso decisivo, sorge spontanea la risposta che Gibson era il “go-to-guy”, stesso discorso per Pistoia con Hardy, Scafati con Marigney o Reggio Emilia con Robinson. Qui a Barcellona lo scorso anno è proprio mancata questa figura e la squadra ne ha risentito tanto di questa mancanza di gerarchie in campo. Si è quindi partiti da questa figura di giocatore ed in Troy Bell abbiamo identificato tale figura per poi andare pian piano a completare il roster. A Bell abbiamo affiancato un giocatore fisico, di grande atletismo, di grande personalità e di difesa come Melvin Sanders che con il suo passaporto georgiano acquisito da poco tempo, di fatto, rappresenta un altro americano aggiunto ed in mezzo a questi inserire un playmaker come Walker che ricorda tanto Hickman visto qui con Casale Monferrato oggi a Pesaro, che fa della forza, della velocità, la sua caratteristica principale; sa attaccare in 1vs1, dal palleggio, sa tirare sia dal palleggio che sugli scarichi ma soprattutto è un giocatore che sa utilizzare benissimo il penetra e scarica ed innescare i compagni. E’ un giocatore, a mio avviso, ideale per stare accanto a due realizzatori come Troy Bell e Melvin Sanders. Poi si è presentata l’occasione dato che qualche giocatore dello scorso anno, e mi riferisco a Da Ros, ha ritenuto opportuno non accettare l’offerta di rinnovo, tra l’altro assolutamente allettante, e di conseguenza si è aperta la strada per prendere Craig Callahan il quale, in un primo momento, sembrava irraggiungibile ma successivamente credendoci e insistendo siamo riusciti a firmarlo. E’ un atleta di assoluto valore, poco pubblicizzato ma “di sostanza” il quale, insieme a Cittadini, che l’anno scorso ha giocato con grandissima personalità a Sant’Antimo contribuendo alla salvezza degli stessi, a Mocavero costituiranno un pacchetto di lunghi di assoluto valore e affidabilità. Ed a questi abbiamo aggiunto, al posto di Da Ros, un giocatore come Eliantonio, un atleta ancora in fase di crescita e, nonostante abbia soltanto 24 anni, già possiede parecchia esperienza nei campionati di Legadue. Barcellona per lui potrebbe rappresentare una vetrina importante per il suo definitivo rilancio. Dulcis in fundo abbiamo puntato su un giocatore come Marco Giuri a mio avviso la figura più idonea per una realtà come quella di Barcellona, costruita per lottare per il vertice e quindi una squadra che potrà subire anche un po’ le pressioni ambientali, uno come Marco, che di fatto può cambiare tutti e tre i giocatori sul perimetro, potrà dare fisicità, scaltrezza e tante altre piccole cose che occorrono per vincere una partita. Completa il roster Coviello che già il pubblico barcellonese conosce per il suo trascorso al primo anno in A dilettanti dell’epoca Bonina. Un ragazzo affidabile, dotato di buona tecnica e temperamento che ho già avuto a Brindisi l’anno della storica promozione in serie A. Riguardo allo staff tecnico ritrovo Coppolino già raggiunto lo scorso anno a Capo D’Orlando. Ho prospettato alla società la possibilità di firmarlo come assistente e, senza problemi, abbiamo firmato il contratto. A lui si aggiunge Nania che aveva già lavorato con me e per motivi suoi, di lavoro, non poteva seguirmi e spostarsi al mio seguito. Pertanto lo ritrovo nuovamente motivato e in più Trimboli che è cresciuto con gli allenatori che si sono susseguiti qua, a Barcellona, in questi ultimi anni. Mi piace sottolineare il valore aggiunto che abbiamo inserito nello staff, Danny Mills, un giovane allenatore americano che ha esperienza nei college e che sicuramente aiuterà tantissimo sia i nostri stranieri che gli italiani, con particolare riferimento ai nostri lunghi, a migliorarsi nelle caratteristiche dei fondamentali individuali.

Concludiamo chiedendoti di salutare la gente di Barcellona, i tifosi, insomma il tuoi concittadini e tutti i lettori di barcellonabasket.net.

“Posso solo dire che non vediamo l’ora di presentarci qui al Palalberti in partite ufficiali. Voglio dire ai tifosi tutti che sono tornato per regalare loro ciò che hanno inseguito e che stanno inseguendo da tanti anni. Posso solo garantire che la squadra metterà in campo il 110% di quello ha dentro per conseguire questo sogno, ossia la promozione in serie A, anche se sappiamo che quest’anno sarà molto più difficile rispetto allo scorso anno in quanto c’è una sola promozione. Tuttavia siamo fiduciosi perché tutti insieme, dalla società, ai tifosi, alla stampa, se remiamo nella stessa direzione nessun traguardo ci potrà essere precluso”.

Concludiamo l’intervista con una foto di gruppo di Perdichizzi con lo staff tecnico ma soprattutto con la simpatia e i siparietti tra Coppolino e il coach che invita a pranzo il suo assistente allettandolo con “cavagnola e pumadoru”… Era proprio questo che mancava a Barcellona, il tanto bramato pane e basket che, con un Perdichizzi in più ed il suo bagaglio professionale, rappresentano un trait d’union importante quale base di ripartenza dopo una stagione davvero deludente. E, se il buon giorno si vede dal mattino, ci sarà da divertirci, il tutto condito da un presidente vulcanico come Bonina, caposaldo imprescindibile di una “barcellonesità” da esportare in tutte le piazze italiane.

Pierfrancesco Laudani – BarcellonaBasket.net