NAPOLI – In queste ore c’è il peso di due sorprese sospese su un filo di otto anni. Una grande, grandissima, l’altra più piccola, e con la speranza che magari grande lo diventi. L’una dolorosa, l’altra invece fatta di speranza, forse di gioia, chissà, sarà il tempo a dircelo.

Ma soffermiamoci prima sul ricordo di Alphonso Ford, grande mattatore dei parquet italiani ed europei, che ti muore esattamente il 4 settembre. Anno 2004, e dopo un’estate tormentata: prima l’annuncio del rinnovo, atteso tanto dai tifosi, poi però la leucemia che ritornava dopo sette anni, come uno spauracchio maledetto. Pochi giorni dopo l’annuncio e la morte, inattesa. Lo spegnersi di una vita e di una carriera il cui ultimo, bel ricordo, veniva lasciato proprio con noi, magari rovinando la nostra festa di tifosi, ma accontentando di certo il nostro palato di appassionati, di amanti di questo sport bello e terribile. E rivedevo proprio ieri, in rigoroso silenzio, la gara3 dei quarti di finale play-off del 2004, in cui Ford risolse praticamente da solo, forse assieme al plastico Marko Milic, il destino di una serie che Napoli aveva ad un passo. Li, al di là del risultato, c’è una lezione di sport, di basket, oltre che di attaccamento ad una maglia che l’ex stella di Siena e dell’Olympicaso sentiva ormai sua. Come la sua vita. Ed è proprio vero che venendo meno l’uno, il basket, venne meno l’altra, e cioè il motivo per cui vivere. Questo il piccolo, insignificante ma doveroso ricordo di un ragazzo che allora aveva 14 anni, ma già impazziva per lui, sin dai tempi del Peristeri.

Possibile adesso andare avanti? Forse sì, se c’è un’altra sorpresa, che di grande ha le potenzialità. Perchè un quarto posto così non ce lo aspettavamo, lo confessiamo, quello ottenuto dalla NA-SA al VI Memorial Errico di Benevento. Sembra strano dirlo? No, semmai per noi sarebbe strano non ribadirlo, se si pensa a come è maturato, e aggiungiamo che mai come questa volta un piazzamento è apparso superficiale, e lontano dalla realtà del buon gioco espresso dagli azzurri in quel del PalaTedeschi. E’ stato bello infatti poter essere smentiti da questo gruppo che sta nascendo e piano piano crescendo, ma soprattutto poter constatare che andare sul parquet sannita con gli sfavori del pronostico non ha rappresentato un peso per i partenopei. Semmai uno stimolo, un guanto di sfida da raccogliere e frantumare con la testa bassa e il lavoro in palestra.

Andare oltre l’accerchiamento che tanti diffidenti e scettici stanno ponendo in queste settimane, mettere la pressione da parte, e fare tesoro del bel clima che si respira fin dai primi giorni di allenamento: questo voleva Maurizio Bartocci, e questo è successo a Benevento, in quelle che alla storia si consegnano come le prime due uscite della NA-SA.

Una squadra indubbiamente corta quella allestita e schierata sul nocciolato sannita, con budget all’osso, e fatta in tutta fretta con le scadenze che incombevano. Ci sono state d’altra parete le mancanze più o meno provvisorie che conosciamo (Vedi la contrattura in semifinale di Hubalek e l’assenza pro-tempore di Warren), ma anche il mettersi in luce di problemi che nascono quando il folletto Clemente lascia il parquet, oppure “El Diablo” Zacchetti si accomoda in panca: la regia e la consistenza da sotto saranno i fronti su cui lavorare di più in vista delle prossime amichevoli.

Ma di contrappeso alle due sconfitte perse al fotofinish, trovi per due sere una squadra concentrata, quasi sempre sul pezzo, a tratti sfrontata, ma non senza essere consapevole dei suoi limiti, quindi brava nel saper fare spesso di necessità virtù. Il tutto poi perdendo con formazioni sulla carta più profonde e quotate, come Caserta e Avellino. Obiettivi certamente diversi quelli di irpini e casertani,  tra l’altro ancora alle prese con il mercato e tasselli chiave da collocare nel mosaico: il play per la Scandone, il lungo-guida per la Juve, con Jeleel Akindele in arrivo. E poi altra tabella di marcia, altri ritmi di lavoro e altri carichi di preparazione, che comunque, come ogni lavoro atletico che si rispetti, appesantiscono le gambe. E in effetti sia bianco-verdi che bianco-neri hanno concesso molto da questo punto di vista, nei pressi del canestro. Extra possessi e rimbalzi offensivi, e qualche chiusura comoda in attacco al ferro non sono mancati, ma anche canestri a dir poco rigoristici sono sfumati per le due avversarie sul cammino della NA-SA in questa rassegna.

Ma pur sempre di serie A si tratta, nel loro caso, e tanto più di Avellino, che comprimaria in massima serie non lo sarà di certo, visto che poi sotto il sol leone  ha avuto il tempismo e la forza di accaparrarsi ben cinque coloured alla corte Sidigas, senza poi dimenticare il talentuoso Dragovic e il valore aggiunto di Valerio Spinelli.

E per quanto ci siano state le schiacciate di Johnson,Ebi e Jelovac a ferire nel pitturato, l’intelligenza di Warren ed Hardy, le incursioni di Chatfield e la sua mano piuttosto educata, oppure le tarantolate zingarate del puteolano “core n’grato” fino alle cecchinate di Jonusas, beh, questo proprio non riesce ad oscurare i meriti di fondo di un ibrido ancora tutto da scoprire. Da scoprire, sì, anche se già capace di tenere bassi i ritmi del match con avversari che di ritmo invece ne avevano bisogno per fare la differenza. Quindi, sempre in difesa, portando il più spesso possibile i lunghi avversari sul perimetro o sfidarli in corsa. Insomma profili non da poco, così come non da poco sarà del resto la sfida che l’allenatore casertano si pone con questo genere di collettivo: una squadra che sia briosa e rapida in attacco, ma attenta a rientrare, raddoppiare e aiutare quando gli altri, attaccheranno.

Le gerarchie poi sembrano già abbastanza chiare, e un altro punto a favore della NA-SA. Clemente, L’MVP di questa due giorni beneventana, si conferma al momento la scelta più azzeccata del mercato azzurra: ha saputo infatti alternare la vena realizzativa, spesso di striscio e tutta fatta di scorribande nel traffico condite da navarrate naturali, al servizio per la squadra, la regia più propriamente detta, trovando una giusta intesa con Allegretti, e aprendo quegli spazi che il “pistolero” Casini, piazzista perimetrale come pochi, non aveva trovato contro Avellino, colpendo ripetutamente dalla distanza.

“JC” Hubalek invece, nella sua unica apparizione, proprio contro i lupi, è stato sinonimo di migliore visione di gioco, ha saputo sfruttare la sua altezza cercando di agire come arma tattica, e non ha rifiutato un tiro dal pick n’pop: piace anzi quel coraggio ai limiti della sana sfacciataggine, che sa di coraggio, consapevolezza di essere importanti. Jo Zacchetti invece ha dato prova di grande propensione al verniciato, non visibile negli altri: giusta cattiveria contro Varese al cospetto dei “neroni” , forse ieri un pò troppo lasciandosi andare a qualche contatto di più, ma come il 3/4 di scuola varesina l’ex Udine e Castelletto è dotato dei giusti fondamentali per essere un classico elemento operaio, che il suo mattoncino lo porterà sempre.

Incuriosisce invece Marco Ceron, un giocatore elastico per certi versi, con momenti di incertezza, e tutta la confusione indice di inesperienza, per balzare poi in parziali dove è il talento è a farla da padrona, e dove le sue fiammate in corsa e al tiro ti fanno credere che è anche questo innesto sia ok.

Infine Antonello Ricci: super minutaggio per il 20enne abruzzese, tanta fiducia, ma anche poco tiro, qualche difficoltà a portare palla, e tenuta un po’ alterna sui cambi difensivi, lasciando spesso sfilare i vari Spinelli e Wise. Play forti, di pedigree superiore, paragoni assurdi si dirà, con la Legadue che poi abbassa gli standard. Ma il cammino di Napoli ha già tanti altri rischi sulla sua strada, quindi l’idea che ha guidato il roster, nella sua costruzione, si trovava a conti fatti con una sorta di bivio da risolvere: senza “Speedy” Clemente la squadra gira meno, ma non c’è neanche il giocatore fisico come alternativa. Conviene quindi un 2 poco 3 o un 3 portato al 4? La prima è stata la strada scelta, con l’ingaggio di Andrew Warren. Sarà quella giusta? Nessuno può saperlo, sempre di ipotesi si parla o si parlerà, per quanto con argomenti e il massimo buon senso possibile. Sarà solo il campo a parlare, come sempre.

E sul campo si torna, da domani, e al PalaBarbuto (ore 18). Lo si fa tra l’altro con un ciclo di amichevoli obiettivamente interessanti, e che interrotto soltanto dal Memorial Zeppieri di Frosinone, a metà mese, farà da vero e proprio giro di lancio al doppio confronto di Coppa Italia con Scafati, già vincitrice dell’Errico e apparsa brillante come non mai, già in forma campionato, trainata da Mays e Bushati, il second coach Bulleri  e un tandem Baldassarre – Rosignoli a cui presto può aggiungersi un McLean ancora non esploso e in fase di inserimento.

Le avversarie? Nell’ordine Veroli, Ferentino sempre in casa, il prossimo 8 settembre, alle 18 (qui corsara lo scorso anno, ma con favore ricambiato al ritorno), quindi la Barcellona di coach Perdichizzi. Match con formazioni tutte ambiziose, anche se di caratura differente: un fritto misto che metta alla prova il collettivo azzurro con squadre di tutti i livelli, e che dia a Bartocci un campione ottimale per comprendere cosa sarà, questa Legadue.

E cominciamo dalla ormai nota “Prima”, in cui per tanti anni ha militato il nostro ex Ivan Gatto. E che vuole mettersi alle spalle una stagione conclusa con la quarta qualificazione ai playoff consecutiva, ma dopo una serie infinita di sventure. Partita infatti con ambizioni di promozione, la truppa giallo-rossa si e’ ritrovata a lungo nei bassifondi della classifica, salvo ottenere il pass per la post-season all’ultima giornata; cambiati due allenatori (Cavina e Gentile), stravolto in corsa il roster (Elder e Giovacchini per Jason Rowe, colpo del mercato estivo), Veroli si e’ ritrovata a vivere la peggior stagione da quando la società ciociara si è affacciata al professionismo. Nonostante tutto, però, il risultato del campo e’ stato sufficiente e ha confermato che la Prima e’ ormai da considerarsi una delle realtà più solide della LegaDue.

La nuova Prima riparte dalla ferma volontà del presidente Zeppieri di ricostruire l’entusiasmo della tifoseria intorno alla squadra: per raggiungere l’obiettivo, la panchina è stata affidata a Franco Marcelletti, coach di fama nazionale, vincitore di uno scudetto alla guida della leggendaria JuveCaserta a cavallo degli anni Ottanta e Novanta. Ma anche uno che si è incrociato spesso sulla strada di Napoli, nel bene e nel male (Reggio Emilia dieci anni fa, oppure la brevissima esperienza con la Martos-Napo-Rieti). E che è reduce da una brillante stagione ad Ostuni. Il tecnico casertano inoltre si e’ calato da subito nell’ambiente verolano, rimasto deluso negli ultimi anni da squadre ricche di talento, ma che hanno dimostrato una scarsa attitudine a lottare sul campo per andare oltre i propri limiti.

Veroli quest’anno ha speso meno, ma nonostante questo ha allestito una squadra in grado di lottare per il vertice: la stella sarà Jimmy Lee Hunter, guardia americana di grande personalità e dotata di ottime qualità  tecniche e atletiche, tra i migliori nel suo ruolo nella categoria come dimostrano le cifre degli ultimi due anni (15.5 punti a Scafati, 15.4 punti a Brindisi con cui ha ottenuto la promozione in A). L’altro posto disponibile per un americano, il GM Ferencz Bartocci lo ha speso nel ruolo di playmaker scegliendo il talentuoso Erving Walker: nell’ultima stagione NCAA con i Florida Gators ha chiuso con 12.1 punti e 4.7 assist di media, cifre importanti che però non gli sono valse la chiamata all’ultimo Draft NBA, anche per via della statura (appena 173 cm); a Veroli però sono convinti che Walker possa rappresentare un crack in LegaDue e Marcelletti ha già esperienza di rookie in cabina di regia, visto che lo scorso anno ad Ostuni ha puntato su Aaron Jackson.

Proprio dalla società pugliese, la Prima e’ andata a pescare l’asse portante del nuovo progetto tecnico: saranno 5 i giocatori che ritroveranno il coach che li ha guidati lo scorso anno ad uno storico quarto di finale playoff (perso nettamente contro i cugini Brindisi). Si tratta di Simone Berti, Marco Rossetti (al terzo ritorno a Veroli), Giovanni Carenza e, soprattutto, Mareks Jurevicius e Tommaso Rinaldi.

Il nazionale lettone è in Italia da un anno e mezzo e ha sempre avuto come allenatore Marcelletti, a Verona prima, ad Ostuni poi: ottimo tiratore e buon passatore, Jurevicius vanta cifre di tutto rispetto da quando calca i parquet del secondo campionato italiano (13.1 punti con 47.7% da due e il 40.6% da tre, 4.4 rimbalzi e 1.7 assist).

Il lungo riminese, invece, a 27 anni è già un veterano per la categoria, dal momento che si appresta a vivere la sua nona stagione consecutiva di LegaDue (6 playoff disputati): Rinaldi è il prototipo del lungo voluto da Marcelletti, caparbio e generoso, ideale come primo cambio sotto canestro (può giocare da 4 e da 5 indifferentemente); la sua miglior stagione in base alle cifre (11.1 punti e 5.7 rimbalzi di media) rimane quella 2008/2009, quando con la maglia della sua Rimini si e’ conquistato la convocazione della Nazionale di Recalcati per i Giochi del Mediterraneo.

Il centro titolare dovrebbe essere Luca Infante, altra vecchia conoscenza, proveniente da Piacenza, ed elemento che fa del carattere e della personalità le sue doti migliori: dopo aver girovagato nelle serie minori ad inizio carriera, il lungo salernitano si e’ affermato a Reggio Emilia, dove ha anche fatto il suo esordio nelle coppe europee; dopo qualche stagione a cavallo tra serie A e LegaDue, che gli valgono la chiamata in Nazionale per la sfortunata campagna di qualificazione agli Europei 2009, passa alla New Basket Brindisi con cui guadagna la sua prima promozione in A nel 2010.

Infine nello spot di ala grande dovrebbe partire in quintetto Davide Bruttini, rampollo della dinastia cestistica che comprende anche il Presidente LNP Fabio Bruttini, reduce da tre stagioni ad Imola e già accostato più volte in passato alla società ciociara. Ottimo rimbalzista, buon attaccante sia fronte che spalle a canestro, il lungo senese ha appena chiuso la sua miglior stagione in carriera con 10.8 punti e 4.5 rimbalzi a partita, confermando la sua crescita costante degli ultimi anni.

Ora, finalmente, che sia basket al PalaBarbuto. Punto.