NAPOLI / TRENTO – Se nella vita di una qualsiasi esperienza cestistica d’ambizione esistono momenti in cui le parole acquistano un senso, una ragione, beh quello in arrivo rientra perfettamente in questo novero, sia per Trento che per Napoli, da dopodomani (PalaBarbuto, Napoli ore 18), impegnati in una piéce con eventuali tre atti da consumarsi in poco o più di sette giorni da “leoni”

 

QUI NAPOLI

 

Questo è tra l’altro un discorso che interessa soprattutto la Napoli Basketball. Le parole infatti di tanti, forse di troppi in questi 14 mesi, includendo anche noi, naturalmente, avranno finalmente da domenica  una conferma, un giustificazione, oppure una smentita: il tutto dopo una miriade di ragionamenti, interpretazioni, critiche e controcritiche su un qualcosa che però siamo lieti e orgogliosi che esista: il basket giocato.

 

Perchè? Perchè il campo con cui ora ci si deve misurare è letteralmente minato, e non si possono commettere passi falsi, o pronunciare frasi azzardate. Napoli, ormai e finalmente, è di scena nei play-off. Parola audace, bella e terribile, che sotto l’ombra del Vesuvio non si sentiva da ben cinque anni (anche se in ben altre categorie), e che stavolta Napoli torna a riascoltare con la storia che la incalza nella scia: proprio quella per esempio che in questo week-end si tornerà a respirare riaccogliendo sulle tribune di Fuorigrotta Dino Meneghin, ex avversario oggi Presidente F.I.P., ma soprattutto Jim Williams, stella della Fides di Zorzi, Maggetti e Gavagnin, che torna in città dopo ben 43 anni di assenza. E con questa storia che si riavventa prepotentemente, eccoti il ring dove lottare per ritorvarla davvero: i play-off, appunto.

 

D’abitudine per alcuni è una vera e propria lotteria dove ogni gabbia mentale deve saltare (le uscite premature di Torino e Capo d’Orlando lo dimostrano); per altri è invece assimilabile ad una partita a scacchi, dove servirà come non mai la freddezza di un Gary Kasparov, tanto per intenderci.

 

Sono però ormai qui, imminenti, al termine di un campionato che Napoli stessa ha condotto sempre da protagonista, protagonista col “cuore”, ma che ora va a riprendere la lunga marcia verso la promozione dopo ben 20 giorni di pausa, e con l’ultimo impegno di campionato che era giunto a sua volta dopo altre due settimane in assenza di impegni ufficiali: insomma quasi un mese di astinenza dal basket giocato.

 

Lungo in effetti, anzi troppo lungo questo periodo di stand-by per gli uomini di Maurizio Bartocci, che comunque in questa fase di riposo forzato hanno condotto due scrimmage di livello (contro Chieti) accanto a tanto allenamento sulle gambe. Certo l’adrenalina di una partita ti manca: ti manca tutta la fisicità e la velocità che solo i 40′ ti possono regalare, ma anche quell’incitamento all’intensità che è sempre stata parola d’ordine in casa azzurra: la sensazione tipica di questi momenti è quella di una testa di serie che, in un tabellone tennistico, usufruisce del bye, ma non sa quanto e come l’avversario qualificato potrà dare. Ma il coach casertano fa sempre di necessità virtù, e non si può negare che siano stati comunque giorni utili per lavorare in serenità, per ritrovare qualche effettivo malconcio (Rizzitiello, Rotondo e Porfido in testa), quindi più nel complesso per tirare a lucido un roster uscito dalla regular con esaltanti vittorie in trasferta, ma anche con qualche sprint casalingo mancato sul filo della motivazione.

 

Motivazione che invece gli azzurri ha sempre espresso in trasferta, e al meglio, specie in uscite dove era in gioco il suo onore di squadra faro nel saper cavalcare le emozioni del parquet: Bari,Treviglio, e quindi la stessa Trento, ultima ma anche prossima avversaria, non sono prove a sè stanti, autonome, ma fanno parte di un percorso cerente, grazie a cui la stessa BPMed oggi può trovare, se lo vuole, la sua quadratura del cerchio, il suo karma nel valore dove sta tutta l’essenza del basket. Quale? la fiducia in sè stessi, una precisa gerarchia di gruppo, una chiara ripartizione delle responsabilità, la consapevolezza per cui, partendo sempre da una giusta pressione difensiva e un gioco atletico, fatto di ritmi alti, si può davvero vincere se lo si crede e lo si vuole, a prescindere dalla qualità dell’avversario. In queste partite poi il peso del gioco interno è cresciuto, la BPMed si è scoperta meno periferica e, anche nei rimbalzi così come nell’efficienza offensiva le pecche si sono attenuate.

 

Queste però sono costanti di più partite: i play-off invece sono secchi, tremendamente in and out, e tanto più in una serie come questa, al meglio delle tre gare e con il fardello emotivo di portare subito a casa gara-1 con doppio match-point. Questo il primo duro contrappeso a un rendimento casalingo che da sempre è stato brillante, quindi a un palazzo che si spera faccia da subito il picco per il debutto post-season, mostrandosi ancora una volta fra i più caldi di questo dilettantismo formato ’11-’12: anche a questo scopo si è voluto optare per una politica di prezzi popolari e con forti agevolazioni per gli iscritti al Club dei Tifosi.

 

TRENTO: IL CONTESTO E IL PRECEDENTE CON GLI AZZURRI

 

Ma restando sul tema degli ostacoli psicologici, ve n’è certamente un altro da sottolineare, ed è dato dalla stessa antagonista dei partenopei, la Bitumcalor Trento. Il collettivo bianco-nero di Maurizio Buscaglia infatti, quasi per strano gioco della sorte, è stata l’ultima avversaria di Napoli prima di tuffarsi nel primo turno della poule-promozione, dove negli ottavi ha alternato grande autorevolezza a combattività contro la volitiva Assigeco di Simone Lottici, arrivata al confronto oltre ogni aspettativa e onorando il campo soprattutto nella sfida in casa propria.

 

Se infatti possiamo considerare buona, anzi perfetta, la prima dei trentini (di cui sette in doppia cifra), scesi in campo come delle furie, determinatissimi in difesa, solidi a rimbalzo, tosti nel governare i ritmi, insomma da squadra abituata ai playoff, mostrando un gioco preciso, senza alcuna pecca e tanto da chiudere il confronto già nel terzo quarto (+30 il vantaggio finale, per intenderci, e con un solo certo Loschi a salvarsi tra i lodigiani), in gara-2 invece l’Aquila ha stentato a volare. Serviva qui una prova prova che fosse più di forza, di grinta, al cospetto di una squadra che, sapendo di essere contro pronostico, è comunque voluta uscire con dignità davanti al suo pubblico, l’amato pubblico del Campus. E Trento ci riesce, ancora una volta partendo dalla gestione del ritmo, dal saldo rimbalzi e dai recuperi, ma soprattutto, quando la palla scotta e ogni schema salta, dal talento individuale di gente come Forray e Santarossa. Tipetti che con la loro caratura personale annullano un grandissimo Ricci (di certo most improved player di questa DNA) e un Prandin in netta crescita rispetto alla disfatta di due giorni prima.

 

Questa insomma la Trento che arriva al PalaBarbuto, anche sulla scorta di un precedente come premesso recentissimo (79-81), e in cui però questa gestione del ritmo è un pò saltata col passare dei minuti, così come lo stesso strapotere a rimbalzo poi rirtrovato nel 2-0 contro Casalpusterlengo. Aggiungici poi un Musso che, sullo slancio del duone in post Gatti-Iannilli, e un rendimento al tiro non troppo sprecone, inizia a correre, e a macinare punti accanto a chilometri, ogni schema salta di per sè, anche grazie a un Sabbatino finalmente ritrovato, più reattivo e un Bastone concreto dalla media pimpantello in difesa (specie nell’ultimo quarto su Santarossa, in sostituzione di Rizzitiello).

 

Ricordiamo poi che c’era ben poco da chiedere agli azzurri di Maurizio Bartocci sul nocciolato tridentino, se non lo sfruttare al meglio questa possibile prova generale di un abbinamento già ventilato da alcune giornato,  ma soprattutto quel dovere di onorare il campo che, salvo Castellanza, non è mai venuto meno nel corso della stagione.

 

Erano altre semmai in quella giornata, tra cui Trento stessa, a dover ancora contendere degli obiettivi importanti, in particolare contro Trieste per la leadership a Nord-Est. E non senza contraddizioni, per via di una formula che, sebbene nazionale nel suo atto finale, suscita e ha suscitato più di una perplessità rispetto al parametro dell’equità in rapporto ai risultati effettivi ottenuti da ciascuna squadra.

 

NAPOLI – TRENTO: UN INSIEME DI DUELLI

 

Ma riproiettandoci nel presente, anzi nel futuro, non pochi hanno assunto ad ago della bilancia di quella, e dunque questa sfida il confronto extra-ruolo e tutto argentino tra Toto Forray (10,9 punti, 48% dal campo, 4,6 rimbalzi, 2,4 recuperate e 2,7 assist) e Bernardo Musso (19,8 punti, 6,6 rimbalzi, 2,7 recuperate, 4,4 falli subiti e 4,2 assist) : i maligni infatti non hanno esitato a pensare che Musso crescesse proprio quando il play oriundo, a seguito di un contatto, fu costretto ad uscire dal campo, dando quasi campo libero alle scorribande del suo leader rivale. Perchè però paragoniamo questi due giocatori, appartenendo a ruoli diversi e avendo cifre così diverse? Perchè i numeri e i ruoli non dicono tutto.

 

Entrambi infatti sono dei leader, hanno inanellato una serie di buone stagioni, il primo per esempio mettendosi particolarmente in luce con il positivo apporto nelle indimenticabili gare di play-off con la maglia di Forlì, l’altro iniziando un’ascesa che partita da Brescia e Perugia, quest’anno vuole completarsi sul piano della freddezza in post-season.

 

Da un lato c’è il play furbo, veloce, amante dei ritmi alti, gran conduttore di contropiedi e  che sa finalizzare buttandosi a canestro con ottimo uso del corpo. Lo scorso anno, subentrato in corsa, non ha prodotto i risultati sperati mostrando una insospettabile carenza di leadership che gli veniva richiesta, e non riuscendo ad evitare la retrocessione. Quest’anno però si faceva sul serio, e Pablito, tornato al meglio in tutte le sue virtù, si è superato anche nel tiro da fuori, dove non era mai stato il massimo.

 

Dall’altra un leader più funambolo, l’uomo valutazione del campionato, il perfetto esempio del giocatore totale una spanna sopra gli altri. Energico e potente in penetrazione così come nei coast to coast in transizione, non solo segna da due, da tre, da quattro..e in qualunque modo, ma riveste anche, e senza sfigurare, il ruolo di play in seconda trovando come detto un buon feeling con i compagni del reparto lunghi.

 

Tutto questo per dire che, partendo da ruoli e caratteristiche tecniche diverse, i due protagonsiti annunciati di questa serie sono uguali nell’approccio alla partita, cercando di guidare i compagni perchè sentono di saperlo fare: il bello e il cattivo tempo dipenderà quindi e soprattutto da loro, ma anche dalle loro difese di riferimento: in questo Lenardon, Sabbatino come Guastaferro, ruotando, dovranno essere impeccabili nella marcatura di Forray, così come lo stesso accadrà per Conte e Negri rispetto a Musso.

 

La ricchezza della sfida però non si esaurisce qui, e guai a pensarlo.

 

PAZZI VS IANNILLI: Un altro fra i duelli che per esempio saranno utili a decifrare la sfida sarà il confronto tra gli lunghi-valutazione Marco Pazzi (13,5 punti e 7 rimbalzi,, 50% dal campo, 15,4 di valutazione) e Andrea Iannilli (10,3+9,9 rimbalzi, 3,7 falli subiti, 2,6 assist, 16,5 di valutazione). Il primo, ex compagno di Musso a Perugia, ha offerto grande contributo alla costante crescita dei grifoni negli ultimi due anni, ma ritornato quest’anno sotto la guida tecnica del coach che meglio ha saputo valorizzare le sue qualità, ha vissuto una stagione più stabile e con meno infortuni. Oltre a un notevole contributo di esperienza e personalità, il fermano ex Roseto, Osimo e Senigallia ha poi buona corsa, apre le difese sia con scelte di tiro da 3 sia come rimorchio, anche aprendosi dopo un pick n’roll o lavorando spalle a canestro dalla linea di fondo. Iannilli invece, secondo rimbalzista del campionato e all’occorrenza validissima macchina da assist che compensa lo scarso apporto dei playmaker, l’anno scorso si è diviso tra Roma e Veroli, e con l’arrivo a Napoli è si è per la prima volta misurato in una categoria per lui davvero calzante, dall’inizio della stagione, con un ampio minutaggio e numerose aspettative a suo carico. Oggi nei tre secondi ha forse il solo Rossi come degno concorrente, quindi la sua capacità dovrà consistere nel frenare la perimetralità e il dinamismo di Pazzi portandosi il più possibile vicino a canestro, e impostando il duello sul suo piano preferito: quello del tonnellaggio e dell’incisvità sotto tabella.

 

Arriviamo quindi alle ali, e i nomi di Pascolo, Santarossa, Rizzitiello e Gatti balzano all’istante.

 

PASCOLO + SANTAROSSA: C’è forse nella prima front-line una maggiore complementarietà rispetto alla seconda: Pascolo (8.3 punti, 62% da 2, 6 rimbalzi in 20′), di scuola udinese, calzini alla Hanno Mottola, è un “4” con buon tiro da 3 (più dalla media, e con una meccanica originale) , ma ama giocare più spesso da “5” tattico, essendo in grado di giocare spalle a canestro e in avvicinamento: profili molto simili al nostro Paolo Rotondo. Facendo poi leva sulla rapidità e l’anticipo può battere la stazza dei pivot di ruolo, ha tempismo, ma fondamentalmente non gli piace guardare il canestro dall’arco. Santarossa invece (11,2 punti, 57% da 2, 41% da 3, 5,3 rimbalzi e 2 assist in 31′), grande intelligenza cestistica, e protagonsita in tante stagioni da professionista (dal ’96 al ’09 ben 13, tra Livorno e Reggio Calabria, ma anche Teramo, Biella e Caserta, Novara e Scafati), in DNA ha vissuto altre stagioni da mattatore con la casacca di Trapani. Diversamente da Pascolo, occupa con grande disinvoltura la posizione di ala forte, aprendo la difesa con i suoi tiri chirurgici dalla lunga distanza. Nessuno poi deve insegnargli come rendersi utile: il passaggio ed il palleggio sono utilizzati da lui a favore di soluzioni vantaggiose per il collettivo, mai a fini egoistici: è una certezza.

 

RIZZITIELLO + GATTI: Napoli d’altro canto, pur risentendo di giocatori votati soprattutto all’attacco e a propensione più esterna e veloce, ha dalla sua ali molto molto duttili (Gatti può anche giocare da 5), hanno un tiro inarrivabile, lavorano bene in transizione, e soprattutto hanno a volte degli spunti in penetrazione e miss match che sono irresistibili se fatti con convinzione, e con la certezza di essere qualcosa di più oltre che tiratori dotati di killer instinct. E quando accade, speriamo sempre in questa serie, i falli subiti si impennano e Simone Gatti e Nelson Rizzitiello sono davvero temibili, difficilmente marcabili.Nessuno poi come il capitano (10,7 punti, 39% da 3, 46% dal campo) sa incanalare le emozioni, anche le più pericolose, sa trasformare il brivido in gioia: basta un “Ruvo-Napoli” e tante altre sfide thrilling per ricordarcelo; Nelson invece (11,8 punti, 40% da 3), a scuola di Bartocci, ha ulteriormente affinato l’approccio difensivo, mentre sulla linea di fondo, oltre che dall’arco, ha saputo costruirsi fortune non proprio alterne.

 

Ma se Trento Napoli non si riduce a Musso vs Forray, non si riduce neanche ad insieme di scontri diretti: i battitori liberi, i cani sciolti, le mine vaganti in questa contesa non mancheranno, e forse, dipenderà proprio da loro l’oscillazione della bilancia per l’una o l’altra parte.

 

NAPOLI-TRENTO: UN BEL CONTORNO DI “MINE VAGANTI”

 

Sotto il Vesuvio si sa che i tre esterni extra-Musso, oltre a Rotondo e Bastone, sono anche funzionali all’esplosione del talento sud-americano, oltre che di Iannilli. Ma la loro tela non si regge da sè se stavolta la cornice non sarà solida come una roccia. Bartocci chiederà soprattutto difesa, fino alla morte, per far capire a Forray e Santarossa che questa Napoli, ancora una volta, è forte perchè sa difendere, senza troppo dipendere dai protagonismi offensivi. Ma anche in casa bianco-nera non si scherza.

 

Partendo per esempio da Luca Conte (10,2 punti, 36% dal campo, 3,1 rimbalzi 1,7 assist). Tre stagioni vere in Legadue a Pavia dal 2003 al 2005, e ben sette annate con la maglia di Casalpusterlengo (2001-2003; 2005-2009), il 32enne di Correggio non è un tiratore (27%), e una zona potrebbe metterlo in grave crisi. L’ex Castelletto però è un gatto dalle sette vite,  è uno che sa procurarsi i punti, dare sostanza e regalare diverse soluzioni di gioco, con due play o tre esterni. In difesa sa anche difendere sulle ali, mentre col suo fisico non rinuncia a prendere rimbalzi d’attacco e a prendere posizione spalle a canestro per miss match favorevoli. Come detto però tira inevitabilmente di potenza: il suo palleggio-arresto-tiro lo fa galleggiare sopra le mani tese del difensore , ma il risultato finale è spesso alterno, soprattutto dall’arco dei 3 punti.

 

Non si dimentichino poi i due giovani terribili della truppa Bitumcalor: Simone Fiorito (6,5 punti con il 50% dal campo  in 23′) e l’ex Ozzano Matteo Negri, tra i migliori sophomore di questa DNA (9,4 punti in appena 21′ col 59% da 2 e 44% da 3). Il primo, un Pascolo da svezzare ma con più tiro, è stato prelevato da Desio due anni fa: è bravo in contropiede, ottimo corridore senza palla e sempre votato all’anticipo in difesa, talvolta rischiando, ed è anche un buon rimbalzista, benché il palleggio sia da affinare, mentre sul fisico si può fare ancora molto per renderlo più pericoloso nell’uno contro uno. Negri, bolognese, è stato invece un buon prodotto del vivaio Virtus Bologna, e come detto ha chiuso in crescita la sua prima stagione nel dilettantismo che conta. Quest’estate si presentava come tassello che poteva maturare sopratutto nella tecnica di tiro, avendo in partenza un fisico da categoria superiore. Oggi però di passi ne ha fatti dalla distanza, e senza perdere le sue credenziali di ottimo contropiedista, gran saltatore, e buona mentalità difensiva. Il risultato è quello di un elemento dotato di grande completezza, una vera alternativa, come del resto gi dimostrato contro la BPMed due settimane fa.

 

Infine, sempre in casa Trento, il cerchio si chiude con Marco Spanghero (7,2 punti, 47% da 3), di cui certamente Simone Lenardon saprà “vita,morte e miracoli”, essendo stati insieme sotto le insegne alabardate dell’AcegasAps.Davvero difficile il ruolo di vice-Forray per il ventunenne giuliano (già alla quarta stagione in A Dilettanti-DNA), e proprio la partita con Napoli ha dimostrato che la regia col suo ingresso fa un salto di continuità che non è dei migliori. Insomma non è un metronomo, ma la faccia tosta c’è, altrimenti, sempre da quattro anni, non avrebbe cifre da vero e proprio cambio di lusso; inoltre con le buone doti in palleggio oltre alla mano morbida non è affatto impacciato nel ruolo di 2, mentre in difesa non sfigura del tutto.