NAPOLI – Italiano impeccabile, forma “handsome” come si direbbe oltre il nostro continente, una memoria di ferro, tanta gioia che si vede dagli occhi. E attorno a lui vecchi amici e compagni di una stagione epica per la Napoli cestistica; abbracci; strette di mano; la sorpresa di rivedersi con un tempo che certo scorre,inesorabile, ma che per fortuna non intacca la vivezza dei ricordi, l’autenticità degli aneddoti, l’opportunità di un incontro piacevole, con un occhio al futuro di una città, Napoli, che li ha resi protagonisti. Queste di certo le sensazioni provate dell’ex stella Fides Jim Williams al suo arrivo a Napoli, dopo 43 anni di assenza: dirà poi con ironia in conferenza stampa “Capodichino è diventata grandissima!”

Per l’esattezza siamo in pieno centro storico, a Chiaia, dove presso l’Hotel Palazzo Alabardieri si è tenuta la conferenza stampa di presentazione di “Passi da Gigante”, libro autobiografico del Presidente F.I.P. Dino Meneghin che, altro ospite d’eccezione tra stasera e domani all’ombra del Vesuvio, assisterà proprio con l’artefice di risultati mai replicati nella storia partenopea al primo atto dei play-off azzurri contro Trento al PalaBarbuto.

E in un clima in cui la storia doveva essere la costante regina di questo appuntamento, ma anche la cornice con cui, ricca di valori, si possa sostenere il futuro, tanti gli esponenti del circuito cittadino che si sono presentati per l’occasione, e assieme al Presidente della NB Salvatore Calise, quest’oggi nelle vesti di padrone di casa ma anche di “adolescente accanto ai suoi campioni”, troviamo Amedeo Salerno; Manfredo Fucile, che ha riunito i superstiti della comitiva vincitrice della prima Coppa Italia della Storia, fino a Gianni Del Franco, entrambi attivi in Federazione come noto.

Ma qual è questo passato che tanto sarà centrale in questa splendida due ore vissuta questo pomeriggio?Il grande vissuto della Partenope a cavallo tra gli anni’60 e ’70, con i bagarini nei pressi del PalArgento e una struttura che già allora non bastava coi suoi 10mila posti. Il tutto prenderà corpo quando il patron varesino Borghi, allestito il miracolo Ignis Varese, scese a Napoli e, aperto uno stabilimento nell’hinterland, concesse agli appassionati di basket lo sfizio di gustarsi e sostenere giocatori di assoluta qualità, affidando al giovanevecchio Giovanni Gavagnin una serie di campioni ancor oggi indimenticati.

Così, dopo essere tornata in serie A, con il marchio Partenope ed Ennio Nociti in panchina, nella stagione 1967/68, nasce quel laboratorio-Napoli: Flaborea-Maggetti-Vittori-Angori-Jim Williams con Antonio Errico e Renato Abbate alla bisogna, trascinano tutta Napoli ad un secondo posto assoluto, a due soli punti dalla scudettata Oransoda Cantù, conquistando perfino una prestigiosa ed insperata Coppa Italia, dopo che Flaborea era tornato a Varese e De Simone arrivato proprio da Cantù.

L’anno successivo, Borghi cambia denominazione e i partenopei si chiameranno Fides Napoli e panchina affidata al paron Tonino Zorzi: Bufalini-Vittori-Maggetti-Gavagnin e Williams con Fucile, Antonio Errico e Abbate primi cambi, si fermano al terzo posto dietro Ignis e Simmenthal, battuti nella finale di Coppa Italia dai campioni d’Italia varesini per 73-72.

Poi, quarto posto nel 1969/70 sempre con Zorzi alla guida (e l’arrivo del play argentino Carlos D’Aquila), sesto nel 1970/71.

Coronamento di questo irripetibile periodo, nella stagione 1969/70 la conquista della Coppa delle Coppe battendo i francesi del Vichy (87-65 a Napoli dopo aver perduto in Francia 60-64).

La parabola di Napoli poi scenderà: penultimo posto nel 1971/72 con Miles Ajken in panchina, nono un anno più tardi, finchè nella stagione 1973/74, toccherà al povero Elio Pentassuglia avvicendare Ajken sulla vesuviana panchina partenopea (con Andrews-Cioffi-Fucile-D’Aquila-Scodavolpe) e salvarsi solo dopo uno spareggio a tre con Snaidero Udine e Alco Bologna che condannerà i felsinei.

Il passato però più bello è quello che non si scorda mai, soprattutto se lungo come fu il periodo di successi di quella Napoli, oggi chiamata a ricostruirsi sia in senso materiale che identitario.

Tanto passato dicevamo affiora negli interventi: ricordi numerosi, episodi rocamboleschi, tutti difficilmente agguantabili per quanto precisi nel loro resoconto. E neanche la velocità di una tastiera può afferrare un patrimonio di curiosità piacevole da ascoltare, anche se con tanta nostalgia, e qualche rimorso. Ci sono i viaggi di 14 ore tra il Sud e il Nord da vivere in cuccetta; le grandi partite disputate oltre confine; Il primo tricolore tondo su Varese e la finale scudetto persa in maniera assurda nel ’68 contro la Oransoda Cantù; la rivalità “aziendale” con la Ignis, ma soprattutto i quarti di FIBA Cup ’69 persi contro il Panathinaikos, che rifilò ai ragazzi di Zorzi ben 37 punti di scarto. A questo proposito ricorda Fucile: “Erano in 70mila a seguire quella partita: giocammo in uno stadio all’aperto col campo di cemento, Tonino Zorzi non poteva parlare perchè dietro la panchina erano seduti i colonnelli del regime, c’erano poi dei fari per distrarci, e a fine partita l’assedio agli spogliatoi. Se non che il nostro Jim, stufo di aspettare all’uscita, staccò lo specchio e, uscendo dalla porta, minacciò il finimondo. In cinque secondi si fece il vuoto. Per quel gesto fummo poi sanzionati con 500 dollari di multa e la squalifica: ci fregarono la finale..”

Jim Williams quindi, nel bene e nel male, fu essenziale in quel periodo di grandi speranze. “Le sue stoppate, i blocchi e i contropiedi che faceva, immensi…”. Aggiunge poi Amedeo Salerno: “Jim era il nostro campione, non aveva rivali, ed era tanto forte che quasi speravamo di trovare un avversario capace di limitarlo..”. Ma l’interessato cosa dice? Beh, col microfono in mano arriva qualche esitazione, ma non ci sono invece dubbi sul senso che le sue parole vogliono esprimere: “Sono contento,emozionato, non posso neanche spiegare come mi sento. Avevo detto tanto tempo fa che io sono napoletano, sono diventato napoletano e, stando qui solo da qualche ora, posso dirvi che lo sono rimasto.Qui è stata un’esperienza stupenda, che non dimenticherò mai. Ringrazio Amedeo Salerno, per il successo che ci fece conoscere: lui seppe farci diventare un grande gruppo, aveva leadership. Ho migliaia di cose che ricordo, e penso che quello di cui abbiamo parlato siano il massimo che si possa dire”.

Il pensiero, più volte, è andato Remo Maggetti, agli Errico, Giovanni Gavagnin, a Sauro Bufalini, scomparso poche settimane fa: “E’ stata la sua volontà, nonostante i suoi acciacchi e la sedia a rotelle, a creare le condizioni per cui il nostro gruppo restasse unito a migliaia di chilometri di distanza, e penso di aver esaudito anche un suo sogno, oltre che mio”, dirà sempre Fucile, che sul passato recente ha ammesso di aver compiuto più di un passo falso.

Le parole di Meneghin arrivano forse a compendio di mille rievocazioni, estrapolando un senso che forse vale al di là di ogni altra considerazione: “Dalle parole di Jim traspare intelligenza, amore per la città, per il territorio, in generale per il nostro paese. E’ vero, siamo qui anche per il mio libro, ma considero questa chiacchierata inferiore alal presenza di Jim (che mi ha fatto soffrire tanto come avversario). Sentendolo mi ricordo quando, da pesista in atletica, gli osservatori della Ignis mi portarono da Nico Messina, lanciandomi poco tempo dopo. Ricordo tra l’altro alcuni episodi su Napoli: dopo una trasferta, alla stazione con Claudio Malagoli, ci perdemmo perchè arrivammo in anticipo, poi ritrovammo l’accompagnatore Ossola ci riprese, ma saliti in treno, lui si ritrovò per sua sfortuna in uno dei vagoni sganciati dal resto delle carrozze. Oppure quando, giovanissimo, Sauro Bufalini mi chiese di andare ad u’edicola a comprare “La Prealpina”, un quotidiano varesino, prendendomi in giro”.

Che tempi erano quindi?: “Quello fu un periodo grandioso”, continua Meneghin, “la tecnica, la passione,l’atletisimo che i primi americani portarono nel nostro basket lo involarono verso il professionismo, e Jim fu uno di questi pionieri. All’epoca poi non c’erano video, quindi era importantissimo osservarli, sia in riscaldamento che in partita, capire  come si muovevano, le scelte che facevano”.

C’è poi secondo noi la più bella riflessione della serata, “Erano tempi in cui, vivendo anche difficoltà politiche oltre che economiche, ci si accontentava di poco e si faceva tantissimo, come passione e come programmazione. Tempi soprattutto in cui c’erano allenatori autorevoli, e lo spogliatoio non era un posto dove ognuno è con cuffie, iPod, iPhone, iPad e via dicendo, ma era un luogo dove si faceva amicizia, si comunicava, si collaborava e si sbagliava anche insieme, integrandosi magari con una lingua e una cultura, come Jim del resto ha dimostrato. Il mio libro serve a darne una piccola testimonianza in un mare di ricordi, grazie ai quali siamo piano piano diventati uomini”.

Sarà possibile tornare a queste idee? Salvatore Calise, con un breve giudizio sulla stagione BPMed, propone argomenti concreti per ciò che riguarda Napoli: “Vogliamo arrivare fino in fondo, ma siamo anche contenti perchè il nostro obiettivo era quello di onorare la wild-card e di arrivare ai play-off, comunque vada. Sappiamo poi che per fare cultura nel lungo termine ci vogliono i mezzi, e appena terminati i rilievi tecnici del Comune, lanceremo la nostra proposta per il PalaArgento (che domattina alle 12 Williams e Meneghin “visiteranno” a scopi di sensibilizzazione, ndr). Nella nostra idea non c’è il tentativo di realizzare un palasport, ma di un’area dedicata allo sport pluricampo. Il valore di un impianto non nasce dall’essere stadio di una squadra, ma nell’essere un luogo in cui la pratica sia diffusa”.

Dino Meneghin, con cui abbiamo realizzato un’intervista audio in esclusiva ( ), si accoda a questa valutazione proprio in chiusura: “Oggi bisogna tirare per la giacchetta, lottare per progetti: non solo stadi, realtà vivibili 365 giorni all’anno. La benzina del cambiamento sarà non avere mai paura di nessuno”. Come questa Napoli fino ad oggi, pronta per l’assalto alla Legadue.