Dal nostro corrispondente

CHICAGO, Ill. – Dopo l’insperato e positivissimo 1-1 con il quale i Bulls sono riusciti a tornare a casa dopo le prime due partite di questa semifinale di conference, e soprattutto dopo lo strascico di polemiche che ha fatto da seguito alla miriade di falli, falli tecnici ed espulsioni di Gara 2, ci aspettavamo un ambiente surriscaldato all’inverosimile allo United Center per Gara 3, la prima giocata nella Windy City dopo i due primi incontri svoltisi in South Florida.

25 punti per LeBron James, e importante vittoria per i suoi Miami Heat (Foto Yahoo! Sports)

25 punti per LeBron James, e importante vittoria per i suoi Miami Heat (Foto Yahoo! Sports)

Le nostre attese non sono state di certo deluse, visto il baccano infernale che ha accolto l’ingresso in campo dei Miami Heat e che ha poi fatto da colonna sonora all’intera partita. Di certo, i tifosi locali erano impazienti di sfogare tutti i propri sentimenti a favore dei Bulls, nonché contro degli Heat divenuti ormai a tutti gli effetti nemici numeri uno di Chicago, vista l’altissima intensità agonistica che sta contraddistinguendo ogni scontro tra le due formazioni da quando LeBron James e Chris Bosh si sono trasferiti dalle parti di Ocean Drive.

A fare da contorno c’era poi anche la solita, ormai nauseante telenovela legata al ritorno/non-ritorno in campo di Derrick Rose. Evitando di addentrarci in retoriche pappardelle (per quelle, ci stanno già pensando in molti, forse troppi), possiamo comunque limitarci a constatare come buona parte dell’opinione pubblica americana abbia cominciato a storcere il naso di fronte alla gestione della situazione da parte di Rose, e di tutto il management dei Bulls.

Le ultime voci davano il #1 di nuovo in campo in Gara 3, e molti già si erano affrettati a sottolineare l’impatto emozionale che tale avvenimento avrebbe scatenato tra i compagni e, soprattutto, tra il pubblico presente in tribuna.

Ebbene, di Rose ancora nessuna traccia e, se è per quello, nemmeno di Kirk Hinrich e Luol Deng. Il primo è ancora alle prese con i postumi della maratona di Gara 4 del primo turno contro Brooklyn, mentre l’inglese non ha ancora recuperato dal misterioso e preoccupante malanno patito ormai più di una settimana fa che gli è costato ben 7 chili di peso (!).

Chicago Bulls ancora largamente rimaneggiati, mentre Miami può fare affidamento sull’intero roster, caso più unico che raro in questi playoffs che sono stati sino ad ora segnati da un impressionante numero d’infortuni eccellenti che di fatto non hanno risparmiato nessuna squadra — Heat, appunto, a parte.

Ambiente caldissimo dunque allo United Center, e meno male, visto che le temperature esterne si avvicinano pericolosamente (e clamorosamente) ai 0 gradi, dopo che l’estate sembrava già aver mandato i suoi primi incoraggianti segnali. Giungiamo infatti all’ombra della statua di Jordan con addosso un giubbino autunnale, quando invece ci vorrebbe un giubbone invernale, ma non ci impieghiamo comunque molto a scaldarci per bene dopo aver varcato l’ingresso su Madison Avenue riservato ai media, e aver incrociato due leggende come Chris Mullin e Tim Hardaway a bordo campo pochi attimi prima del tip-off.

Pronti, via, e 7-0 Bulls grazie a un doppio canestro di Boozer e alla prima tripla di Marco Belinelli. Il tutto, mentre Nate Robinson già si scatena incitando a gran gesti la folla al massimo baccano. Miami però reagisce in fretta, e si riporta subito in partita senza nemmeno dare l’idea di sforzarsi, con James che invece di attaccare il canestro si limita più ad un ruolo in stile-quarterback. Il finale di primo quarto si anima quando Joakim Noah si intromette tra Robinson e Chris Andersen, dopo che quest’ultimo aveva atterrato in area il #2 dei Bulls.

25-25 il punteggio a fine primo quarto. Rientrati in campo, un paio di triple di Belinelli e Jimmy Butler rispondono al gioco da tre punti di Norris Cole, magistralmente servito dal solito James in versione playmaker.

La spinta di Nazr Mohammed su James che ha costato l'espulsione al centro dei Bulls (Foto Charles Rex Arbogast/AP)

La spinta di Nazr Mohammed su James che ha costato l’espulsione al centro dei Bulls (Foto Charles Rex Arbogast/AP)

Tutto liscio, fino a che Nazr Mohammed non rifila una clamorosa spinta a James, che manda LeBron a terra — con flop o senza flop, lo lasciamo giudicare a voi — e lo stesso Mohammed negli spogliatoi, espulso. Il pubblico s’infervora notevolmente, probabilmente credendo di essere tornato indietro di 20 anni, e di assistere ad una partita di metà anni ’90 (nonostante Bosh e Boozer non assomiglino di certo ad Horace Grant e Charles Oakley). Ma si sa, questi sono i binari su cui i Bulls devono cercare di indirizzare partita e serie, se vogliono avere qualche chance di spuntarla contro una squadra — Miami — obiettivamente di un livello di gran lunga superiore, in quanto a talento e profondità di roster.

Una volta calmate le acque, è un altro tiro da tre punti del Beli a mandare avanti Chicago di 6 (34-28), chiudendo così un parziale di 9-0 a favore dei suoi. Il bolognese sarebbe anche in grado di far venir giù il tetto dello United Center, se solamente un suo tentativo di schiacciata in contropiede non si infrangesse clamorosamente sul ferro, probabilmente perché intimorito dall’arrivo, poi in realtà mai realmente arrivato, di James.

Belinelli riesce comunque a rifarsi, grazie ad un paio di penetrazioni — una chiusa a canestro, l’altra scaricando nell’angolo per il jumper vincente di Taj Gibson — di pregevole fattura. Gli Heat riescono tuttavia a rosicchiare lo svantaggio, e addirittura a tornare negli spogliatori sul +2, 52-50, dopo un primo tempo giocato nel totale anonimato da Dwyane Wade (un solo tiro dal campo per lui), e non di certo aggredito da James.

Al rientro in campo le due superstar di Miami appaiono subito più propositive in attacco. Ciò non basta però per tenere a bada Butler e Robinson, con quest’ultimo che durante l’intero terzo quarto dà conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di meritarsi pienamente il titolo di fomentatore di folle numero uno della Lega.

“Good Nate” — del “Bad Nate”, fortunatamente per Tom Thibodeau, ancora non c’è traccia — fa poi esplodere definitivamente l’arena quando decolla e finisce per stoppare la schiacciata di James. Entusiasmo totale tra i tifosi, smorzato poi in parte dalla tegola del quinto fallo fischiato a Belinelli quando mancano due minuti alla fine del terzo parziale. Esce il Beli, entra il rookie Marquis Teague. 70-70, e si chiude il terzo quarto.

L’energia di Chris Andersen incide tantissimo sulle prime battute dell’ultimo parziale. “The Birdman” va a raccattare due preziosi rimbalzi offensivi ed a infilare due canestri da sotto che valgono oro per Miami, sopra di 4 (79-75) quando sono passati poco più di 3 minuti dalla ripresa dei giochi.

Il duello tra Carlos Boozer e Chris Bosh, questa sera nettamente vinto da Bosh (Foto Charles Rex Arbogast/AP)

Il duello tra Carlos Boozer e Chris Bosh, questa sera nettamente vinto da Bosh (Foto Charles Rex Arbogast/AP)

Entriamo quindi nelle fasi calde della partita con gli Heat che tentano il loro primo vero allungo della serata, nonostante James e Wade continuino nel loro titubante atteggiamento, e Ray Allen non riesca ancora ad ingranare dalla lunga distanza. I Bulls, dall’altra parte, di certo non mollano. Anzi, considerando l’intera serie di circostanze a loro totalmente sfavorevole, l’impegno e la determinazione da loro esibite anche questa sera sul parquet sono davvero straordinarie.

Ciononostante, i mezzi a disposizione di Erik Spoelstra sono troppi, e comprendono anche un Bosh da 20 punti e 19 rimbalzi. Gli ultimi minuti scivolano via in mano a Miami, che riesce a gestire più o meno agevolmente le battute finali, grazie alle triple di James e Cole che rispondono a quella illusoria di Belinelli, e al gioco da tre punti del solito James che di fatto sigilla l’incontro. Norris Cole, in particolare, emerge come protagonista assoluto della serata firmando 18 punti in 24 minuti d’impiego. 104-94 il punteggio finale, decisivo per riportare fattore campo e inerzia a favore degli Heat.

“Non abbiamo giocato una grande partita, non è mai facile giocare contro Chicago afferma Coach Spoelstra davanti ai microfoni post-partita — ad entrambe le squadre piace giocare fisico, anche se nessuno scende in campo ‘indossando i guantoni’”. Interrogato poi sulla presunta rivalità Chicago-Miami, Spoelstra non fa nulla per smorzare i toni: “Credo che sia chiara ormai a tutti”.

Entrati nello spogliatoio di Miami, troviamo un LeBron James molto rilassato e soddisfatto per la vittoria di serata. “Rispetto a Gara 1, è stata probabilmente la difesa la chiave di volta di questa vittoria. Non è stato facile venire qui, e giocare di fronte a questo pubblico; i tifosi di Chicago sono senza dubbio tra i migliori al mondo”.

Insomma, Heat felici e contenti, e già pronti a provare a portare a casa un’altra vittoria in trasferta — Gara 4 si giocherà lunedì, sempre allo United Center — che permetterebbe loro di tornare a Miami con il match point in mano da giocarsi in Gara 5.

Per i Bulls, ovvia la delusione per la sconfitta, ben presente nelle parole di Boozer, a cui tuttavia non manca la fiducia in vista del prossimo re-match. “Dobbiamo imparare a chiudere in maniera migliore i quarti di partita — afferma l’ex Jazz — Abbiamo comunque giocato bene a sprazzi; ora dobbiamo risistemarci, e portare a casa la vittoria lunedì sera”.

Aldilà della ovvia fiducia espressa da Boozer, al momento è onestamente difficile immaginarsi un risultato finale che non veda LeBron e compagni trionfatori nella serie. Troppo ampio il divario tecnico tra loro e i Bulls, che dovranno fare il possibile per recuperare almeno uno tra Deng e Hinrich se davvero vorranno provare a raddrizzare le cose.

La nostra serata si conclude incrociando Pat Riley nei corridoi dell’arena, un incontro che ci abbaglia totalmente vista la classe ed il carisma di Mr. Riley, stilisticamente davvero di un altro pianeta. Saremo di nuovo presenti per Gara 6, se mai ci dovesse essere, una Gara 6 tra Bulls e Heat. Noi, al momento, poco ci crediamo, ma la speranza, si sa, è l’ultima a morire. Incrociamo le dita.

Simone Donei

Twitter: @SimoneDonei