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No, i Seattle SuperSonics non sono tornati. E non torneranno. Perlomeno quelli veri, quelli originali. La loro storia, i loro successi e il titolo vinto nel 1979 sono ancora nello stato di Washington, ma Kevin Durant e Russell Westbrook (questa foto è ideale per l’occasione) sono “proprietà” di Clayton Bennett, l’uomo che ha rilevato la franchigia nel 2006 dalle mani di Howard Schultz, già proprietario di Starbucks, e l’ha spostata in maniera non troppo limpida a Oklahoma City.

Purtroppo, l’accordo fra i fratelli Maloof (proprietari dei Sacramento Kings e non solo) e il gruppo di Seattle che sembra in grado di riportare il basket professionistico nella “rain city”, non avrà il pregio di far dimenticare lo smacco clamoroso ricevuto dai tifosi dei Sonics nel 2008. Perché il “SonicsGate” (di cui si parla nel video) è stata l’orrenda chiusura di una storia iniziata nel 1967 e che ha fatto innamorare parecchi appassionati della palla a spicchi, anche nel nostro paese. Ma anche perché quella franchigia adesso prende il nome di Oklahoma City Thunder e non gioca più nel nord ovest degli Stati Uniti ma in pieno midwest, appena sopra il Texas.

httpv://www.youtube.com/watch?v=H6PW6vXa0u4

Abbiamo usato l’avverbio di valutazione “purtroppo”. Il motivo è semplice: per come le è stato portato via (Bennett nasconde nel momento dell’acquisto la volontà di spostare la franchiga in Oklahoma), Seattle (e tutta la NBA) ha bisogno del ritorno del grande basket in città, e non è la solita frase fatta del tipo “città x merita la serie a”. La storia sta lì a dimostrarlo, fin da quando, nel 1967, la squadra ha fatto il suo primo ingresso nella lega, momento di partenza di una storia piena di passione, successi e personalità importanti.

Il compianto Dennis Johnson

Il compianto Dennis Johnson, a destra

Nel 1968 è il leggendario allenatore Lenny Wilkens a guidare la squadra, che però non raggiungerà i playoffs fino al 1975, anno in cui sulla panchina dei gialloverdi siede addirittura il mitico Bill Russell. Ma è con il ritorno di Wilkens, che subentra a Bob Hopkins durante la stagione 1977/78, che i Seattle SuperSonics cominciano ad avere finalmente una ricognizione a livello nazionale, grazie alla sempre più frequente affinità con i piani alti della Western Conference. Il picco inizia nel 1978, con la finale giocata e persa contro i Washington Bullets, e culmina in maniera indelebile nel 1979. E’ questo l’anno del primo e unico titolo della storia dei Sonics. 365 giorni prima Seattle perse il titolo nonostante conducesse 3-2 nella serie finale sempre contro la squadra capitolina: la rivincita era quindi servita su un piatto d’argento. Il backcourt formato da Gus Williams e dall’MVP della finale Dennis Johnson guidò una squadra composta dal centro al secondo anno, ma già All-Star, Jack Sikma e dalle ali John Johnson e Lonnie Shelton, al trionfo in sole 5 gare di finale, dando cosi la prima gioia alla città di Seattle.

Il 1980 è invece un anno che potremmo definire sfortunato: no, non perché i risultati non sono arrivati, ma perché nonostante un record di 56-26, arriva solo il secondo posto nella Pacific Division. Il motivo si chiama Magic Johnson, il rookie che contribuì in maniera decisiva alle 60 vittorie stagionali dei gialloviola e al seguente titolo NBA. L’era Wilkens si chiude definitivamente nel 1985, dopo 6 partecipazioni ai playoffs in 8 stagioni. Gli anni bui sembravano essere di fronte, ma con coach Bernie Bickerstaff prima e con K.C. Jones dopo, Seattle ebbe due sole stagioni negative, nel 1986 e nel 1990. Certo, i successi erano relativi, avendo raggiunto solo due finali di conference e c’era bisogno di qualcosa di notevole, di qualcuno che avesse il carisma e la determinazione per riportare la franchigia alla finale NBA.

Il mitico logo dei Sonics

Il mitico logo dei Sonics

Nel 1989 venne scelto Shawn Kemp, l’anno dopo Gary Payton, “il guanto”. Il talento, arricchito dalla presenza del tedesco Schrempf, dal centro Sam Perkins e dalle guardie terribili Hersey Hawkins e Nate McMillan, fu forgiato da George Karl, attuale coach dei Nuggets, che in pochi anni diede un’impronta vincente alla squadra.

Vincente sì, ma entrata nella storia dal lato sbagliato. Seattle, reduce da una stagione da 63-19, diventò la prima testa di serie numero 1 a perdere contro l’ottava, i Denver Nuggets di Dikembe Mutombo. Quei SuperSonics erano i favoriti per il titolo, ma conseguirono un (in)successo tutt’altro che invidiabile. Dopo aver perso nuovamente al primo turno l’anno successivo, era giunta l’ora della finale NBA: il 1996 era anche il ritorno in campo vero e proprio di Michael Jordan, l’uomo che si frappose fra i Sonics e il secondo titolo NBA. Gary Payton (eletto anche difensore dell’anno) e Shawn Kemp furono eroici in quella serie di finale, ma contro i Bulls dei record c’era poco da fare, nonostante le 6 gare necessarie per assegnare il quarto titolo nella storia di Chicago.

Ovviamente non lo si poteva sapere, ma era l’inizio della fine per il basket di Seattle. Due anni da 57 e 61 vittorie non bastarono a ridare linfa al progetto: George Karl fu sostituito da Paul Westphal, in quello che era il preludio di un decennio nero, che oltre alla presenza di Rashard Lewis e Ray Allen e alle 3 partecipazioni ai playoffs (massimo risultato una semifinale di conference nel 2005), avrebbe portato a quello che la storia ci riporta come “SonicsGate”.

Una resurrezione è attesa, è solo questione di mesi. Ma quei SuperSonics, per quello che hanno dato al basket e per la passione dei tifosi della città della pioggia, non vogliono tornare nel basket che conta, defraudando a loro volta un’altra “fan base” strepitosa come quella di Sacramento. Non siamo al gioco di chi la fa l’aspetti, e la storia dei Seattle SuperSonics merita molto ma molto di più. In ogni caso sarà bello riaverti, Seattle!

A Sacramento non l'hanno presa bene

A Sacramento non l’hanno presa bene