A Oakland, California, è cresciuto, a detta di molti, il più forte cestista a non aver mai giocato un solo minuto in NBA. Il suo nome è Demetrius “Hook” Mitchell, protagonista anche di un non fortunatissimo documentario datato 2003: nella sua carriera fra i campetti della baia di San Francisco, ha incontrato e battuto gente come Drew Gooden, Brian Shaw e Antonio Davis. Siamo alle solite, ovvero tanto talento ma poca testa, un classico dei campetti americani e di quella fiorente fucina di talenti che è stata Oakland negli anni 80, dove, tra gli altri, sono nate due delle migliori point guard della storia del basket professionistico, Gary “The Glove” Payton e Jason Kidd.

“Jason Kidd incarna le qualità di un hall of famer, è ferocemente competitivo, devoto a un basket di squadra. Studente, meticoloso e professionale in qualsiasi cosa lui faccia, ogni  squadra in cui ha giocato è passata dal successo in sua presenza e all’insuccesso dopo la sua partenza” (Homepage del sito ufficiale di Jason Kidd).

Sono passati quasi 19 anni da quando il “ragazzo” nato a San Francisco il 23 Marzo 1973, diventò seconda scelta assoluta del draft 1994, dietro solo a Glenn Robinson, e 10 mesi più tardi, rookie dell’anno, dopo una stagione da 11 punti, 7 rimbalzi e 5 assist con i Dallas Mavericks. Ancora oggi continua a essere semplicemente Jason Kidd, colui che occupa il terzo posto nella classifica delle triple doppie registrate in carriera, anche dopo aver finalmente coronato il sogno di vincere un insperato titolo NBA con i Dallas Mavericks nel 2010, cosi come il suo amico e in un certo senso mentore (è 5 anni più grande) Payton, ci era riuscito con i Miami Heat nel 2006.

Il 9 Novembre di quest’anno, proprio Dallas era ospite della nuova squadra di Jason Kidd, quei New York Knicks partiti con tre vittorie di fila, e in procinto di vincere la quarta. All’interno dello spogliatoio casalingo si respirava quindi aria serena e non poteva essere altrimenti: la squadra di coach Woodson è ormai entrata di diritto nel novero delle contender per il titolo 2013, soprattutto oggi, dopo aver battuto i campioni in carica di Miami in casa loro e un record (che all’indomani della seconda sfida contro i Nets dice 16-5, di cui 8-0 in casa), che pochi si sarebbero aspettato cosi positivo, vista anche l’età media che è la più alta della NBA.

Al successo di questi vecchi ma per niente cotti Knicks, contribuisce ancora il ragazzo uscito da University of California, Berkeley dopo soli due anni di college, stimato e apprezzato da tutta la NBA, ma soprattutto dal coach con cui ha vinto il suo primo e unico titolo NBA. Dopo la sconfitta rimediata dai suoi in quella mite serata newyorchese, Rick Carlisle è molto disponibile con i media e prima di prendere l’aereo che lo porterà a Charlotte assieme alla squadra si ferma nei corridoi affollati del quinto piano del Madison Square Garden, nonostante la sconfitta. Dopo aver elogiato un altro tassello fondamentale dei suoi Mavs campioni NBA, ovvero Tyson Chandler, la frase che risuona e che rimane in testa a tutti noi presenti, è rivolta, ovviamente all’ex “di prestigio”, a Jason Kidd: “Se sono e saranno una contender e una delle squadre più forti della Eastern Conference, lo devono in gran parte a lui”.

Una dichiarazione dalla quale si comprende l’importanza del numero 5 ex Nets in qualsiasi squadra esso ha militato. Sarà anche per questo motivo che le parole di Mark Cuban, proprietario dei Mavs, sono ostili alla sua ex point guard, nei cui confronti ha dichiarato di essere molto deluso dopo la scelta estiva: “Adesso veste la maglia di un’altra squadra e rappresenta soltanto un avversario, spero che abbia 15 palle perse e in ogni caso gli urlerò in faccia come si fa con tutti gli avversari”.

La speranza dei tifosi newyorchesi è che Jason Kidd abbia lo stesso impatto avuto con i Mavs nella sua seconda vita texana, quando, all’indomani della cocente sconfitta in finale NBA nel 2006, il playmaker ex Phoenix e New Jersey, con carisma ha pazientemente guidato una squadra piena di talento individuale ma mai in grado di trovare quella guida necessaria per vincere un titolo NBA. Coach Carlisle si riferiva a questo aspetto del gioco di Kidd, che nel frattempo è diventato sempre più all-around, se è vero che nella stagione appena iniziata, le percentuali al tiro sono di gran lunga migliorate rispetto solo a 5/6 anni fa: 49 % dal campo e 52 % dall’arco dei 7.25 sono prestazioni individuali che danno quella spinta in più al gruppo Knicks, beneficiario esclusivo della presenza di Kidd, in grado di contribuire in maniera decisiva all’esplosione del suo attuale compagno nel backcourt, quel Raymond Felton mai cosi produttivo in carriera, e alla perfetta, finora, macchina di coach Woodson.

Dopo i primi anni non eccelsi, per colpa del roster, di Dallas, le esperienze positive e piene di successi in Arizona e New Jersey, e le divergenze, chiamiamole cosi, con la moglie, a seguito delle quali il nostro ha conosciuto anche dell’arresto per molestie, Jason Kidd, nonostante pensasse di chiudere la carriera nella Dallas che lo aveva scelto cosi alto nel draft e che gli ha dato il primo titolo della carriera a 37 anni, ha deciso di rimettersi in gioco in una piazza quasi impossibile dal punto di vista delle esigenze di media e tifoseria.

Kidd dopo aver segnato la tripla decisiva, ieri sera a Brooklyn

New York lo sta conoscendo pian piano e dopo i 18 punti segnati e il tiro da tre decisivo a 24 secondi dalla fine della gara di Brooklyn contro la sua ex squadra, è ormai idolo assoluto del Madison Square Garden.

Durante la gara contro i Denver Nuggets di domenica sera, Kidd ha avuto un piccolo infortunio alla testa dopo uno scontro con Ty Lawson: il “ragazzino” di 39 anni è andato negli spogliatoi e come se niente fosse è rientrato in panchina, dando anche un attimo di gioia ai tifosi dei New York Rangers, con un casco della squadra di Hockey, ferma a causa del lockout NHL.

“Mi sono inventato questa simpatica scena, loro non stanno usando i caschi, quindi ho pensato potesse essermi utile”, ha detto Kidd, con una frase che ci dice tutto del carattere di uno dei più grandi playmaker della storia del gioco, bravo a ottenere consensi da ogni dove, grazie alla sua determinazione e leadership,  ma soprattutto dai compagni di squadra e da coach Woodson: “E’ il fattore che sta facendo la differenza per noi, tutti giocano con fiducia quando lui è in campo, perché sai che sta per esser fatta la cosa giusta. Lui fa le giocate giuste”.

Le parole di Steve Novak, un altro che sta beneficiando clamorosamente dell’arrivo di Kidd, sono il testimone ideale per capire cosa ha provocato il ragazzo della baia in quel di Manhattan. E se non bastasse, anche i numeri la dicono lunga sull’impatto del numero 5: i Knicks sono, non a caso, la squadra che perde meno palloni (10 a gara) e ovviamente il miglior rapporto fra palle perse e assist (1.84). E solo i Thunder sono più efficienti offensivamente, fattore spiegato dal minor utilizzo di isolamenti, nonostante Melo, rispetto al passato dantoniano.

Parole, numeri e risultati sul campo ci dicono tutto di Jason Kidd, ma non siamo ancora di fronte al lieto fine, che tutti si aspettavano arrivasse in Texas. Perché i 17226 punti, gli 11903 assist e i 8459 rimbalzi, il terzo posto assoluto nelle triple doppie registrate e nelle triple segnate, non bastano a fermarlo, cosi come non sono sufficienti 39 anni e 19 stagioni NBA. New York ha trovato, seppur con ritardo vista l’età, un leader e un giocatore, nel quale una delle franchigie più amate della NBA potrà riconoscersi e far riconoscere i propri esigentissimi tifosi, memori del passato vincente della loro nuova guida.