Rubio to Love, l'asse portante dei Timberwolves

Rubio to Love, l’asse portante dei Timberwolves

Sfortuna, infortuni, ancora sfortuna, ancora infortuni. Agitare bene e servire freddo: ecco i Minnesota Timberwolves delle ultime due stagioni.

Un’ecatombe di negatività tramutatasi negli infortuni di Ricky Rubio (nell’anno da rookie), Kevin Love, Chase Budinger, Nikola Pekovic, Brandon Roy e Andrei Kirilenko che hanno corrotto e poi annientato le chances dei Wolves di tornare ai playoffs, che mancano a Minneapolis dalla lontana stagione 2003-04, per intendersi quella in cui a guidare in campo i lupi erano il Kevin Garnett MVP stagionale e volto della franchigia, Sam Cassell e Latrell Sprewell, sconfitti in finale di conference dai Los Angeles Lakers.

L’inizio dell’estate non è stato semplice per i Minnesota Timberwolves, che hanno vissuto una sorta di crisi dirigenziale, culminata con l’allontanamento di David Kahn, l’uomo che nel 2009 ereditò le redini operative da Kevin McHale e che non ha saputo farsi apprezzare dai tifosi per alcune mosse discutibili operate sotto il suo mandato.

A prenderne il posto è stato chiamato “Flip” Saunders, il coach di quella squadra che nei playoffs del 2004 arrivò a un soffio dalle Finali NBA e che lontano da Minneapolis non ha mai raccolto fortuna e consensi, passato a un ruolo dirigenziale di comando.

“Sono eccitato dalla possibilità di tornare ai Timberwolves e voglio ringraziare il proprietario, Glen Taylor, per questa opportunità – ha detto Saunders durante la presentazione alla stampa – Il mio obiettivo è aiutare i Wolves a realizzare di nuovo il successo che abbiamo avuto durante il mio periodo da coach in questa organizzazione. Abbiamo un nucleo forte e cercherò di aggiungere tasselli che ci permetteranno di fare i playoffs e eventualmente competere per il titolo NBA.”

Il suo primo passo è stato quello di confermare Rick Adelman e convincerlo a proseguire l’avventura sulla panchina Wolves, smentendo le voci insistenti che davano il coach ex Kings, Trail Blazers e Rockets in procinto di abbandonare la squadra per dedicarsi interamente alle cure per la moglie malata.

A cascata, si sono susseguite le mosse che tramite un draft orchestrato in modo magistrale e una campagna acquisti mirata ha portato una ventata di aria fresca nella città dei laghi.

Via Luke Ridnour, Greg Stiemsma e altri carneadi, sono arrivati alla corte di Adelman il suo pretoriano di fiducia ai tempi di Kings e Rockets Kevin Martin, poi Ronny Turiaf, Shabazz Muhammad, Gorgui Deng, e in ultima battuta Corey Brewer, peraltro proprio un ex Wolves.

L’obiettivo primario era dotare il reparto esterni di giocatori in grado di saper mettere punti a referto, che provvedessero a dare una taglia fisica diversa e che si incastrassero nei meccanismi del gioco brillante e estremamente dettagliato del coach che da anni professa un attacco di movimento incentrato sulle basi della Princeton Offense, ed in questa ottica Martin, Brewer e Muhammad rispondono esattamente ai criteri richiesti, con un occhio al presente e uno al futuro.

Secondariamente c’era da allungare la rotazione dei lunghi e fornire difensori e uomini di fatica in supporto dei due lunghi titolari, Kevin Love e Nikola Pekovic, determinanti in attacco ed a rimbalzo quanto goffi in difesa, tuttavia propensi a infortunarsi un po’ troppo spesso.

Nikola Pekovic, giocatore solido e intelligente

Nikola Pekovic, giocatore solido e intelligente

L’asse portante della squadra è composto da Ricky Rubio e Kevin Love, duo dal quale si dipana il gioco offensivo e tra le cui mani passano le fortune della squadra che ha in Nikola Pekovic – firmatario di un rinnovo multimilionario e pluriennale che ha fatto tenere il fiato sospeso all’intera città per il tira e molla con cui l’agente del giocatore e la società a suon di offerte e controproposte hanno scandito i ritmi dell’estate dei Timberwolves – il proprio perno a centro area e sicuro garante di prestazioni da 15+10 a sera.

Kevin Love ha passato un anno tragico, tormentato dagli infortuni e da un pizzico di depressione che lo aveva indotto a dichiarazioni non proprio gradevoli verso la dirigenza, ma oggi, rimessosi al 100% sembra aver abbracciato con determinazione il nuovo corso, pronto a tornare ad offrire il suo contributo a suon di doppie-doppie e leadership.

C’è di più, in estate si è sottoposto a un ferreo regime alimentare e ad un allenamento mirato, includendo yoga, che lo ha reso più forte e rapido come dice il suo trainer, Rob McClanaghan.

“Questo ragazzo non smetterà mai di sorprendermi. La sua resistenza è la migliore di sempre e si muove con estrema agilità per il campo. Abbiamo lavorato sodo anche sul suo arsenale di movimenti offensivi, puntando molto sul tiro cadendo all’indietro e sul tiro in controtempo. Purtroppo trattandosi di allenamenti individuali non abbiamo potuto concentrarci troppo sulla fase difensiva, ma vi garantisco che oggi è più rapido che mai.”

Attorno al trio c’è tanta qualità e varietà, che permetterà ad Adelman di pescare dal mazzo ciò di cui hai bisogno di volta in volta, grazie al talento smisurato del secondo anno Alexsey Shved, la solita dose di ignoranza cestistica di JJ Barea, per passare all’apporto offensivo di Martin e Muhammad e per arrivare a coloro che avranno il compito di fungere da collanti tra attacco e difesa, e punire gli scarichi come Chase Budinger e Brewer.

A completare la rosa i già citati Dieng e Turiaf a dividersi minuti e responsabilità con Dante Cunningham e Derrick Williams, giocatori più perimetrali e con caratteristiche fisiche e tecniche che Adelman ha sempre dimostrato di saper apprezzare e valorizzare.

L’unica perplessità rimane però proprio Derrick Williams, ex seconda scelta assoluta, ma giocatore che in due anni di militanza nella lega non ha mai del tutto espresso il suo potenziale, vittima peraltro dell’incapacità cronica di riuscire a trovare il suo ruolo in NBA: è il classico tweener che non è nè ala piccola nè ala forte e per un motivo o per un altro non riesce a rendersi abbastanza utile in nessuna delle due posizioni.

Ha avuto diverse chances per mostrare il suo valore, ma non è mai riuscito a coglierle nel modo giusto e per questo è il candidato principale a fare le valigie a stagione in corso, probabilmente assieme a qualche altro pezzo che, infortuni permettendo, potrebbe essere sacrificato.

Da tenere sotto’occhio la situazione salariale della squadra, con il monte salari oltre il salary cap ma ben distante dalla zona della luxory tax, che offre una qual certa flessibilità nell’immediato per muovere pedine e per crearsi spazio a sufficienza per mantenersi in linea di galleggiamento e proporre il rinnovo contrattuale a Ricky Rubio, accordo che verrà con tutta probabilità discusso nella prossima off season.

I Minnesota Timberwolves durante la gestione Adelman hanno sempre impressionato per la qualità del gioco espresso, ma per varie ragioni non hanno mai saputo dare la sterzata decisiva alla propria stagione. Sono una squadra che offensivamente parlando è da corsa anche nell’agguerrito ovest, che difensivamente potrebbe incorrere in qualche problema, specialmente in caso di rush finale per un posto nella postseason quando le difese si fanno più serrate e un canestro sventato avrà più valore di un canestro fatto, ma che ha le carte in regola per togliersi finalmente qualche soddisfazione ed assaporare l’aria dei playoffs.

Aria che nella città di Minneapolis non si respira da quasi 10 anni. Sarà la volta buona?


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