La crisi in casa Ilyasova continua a confermarsi tanto che il Turco ha fatturato poco più di 5 punti a sera da quando è stato declassato a “delusione del primo mese NBA“, registrando un poco promettente 15/44 dal campo, zero triples e un solo viaggio in lunetta nelle ultime sei gare prima della scorsa notte, quando il coach lo ha fatto partire dal pino e lui punto nell’orgoglio, ne ha messi a referto 18 in 22 minuti. A Milwaukee sono più preoccupati di ricevere un chiamata dalla cancelliera tedesca per giustificare la meritocrazia di uno stipendio così tanto corposo che di capire quale sia la sua vera età anagrafica. Qualche spiraglio di sole è apparso all’orizzonte nelle ultime 48 ore, aspettiamo fiduciosi.

Oggi parliamo di alcuni giocatori che avevano tutte le carte in regola per esplodere e dominare la lega per almeno dieci anni ma che si sono persi qualcosa a un certo punto della loro carriera.

Abbiamo voluto esplicitamente escludere Darko Milicic per garantire la regolarità della competizione. Il possente lungo Serbo, scelta numero 2 al draft del 2003 dai Pistons e recentemente in Italia con i Celtics, è stato tagliato il 21 Novembre confermando che le buone parole di un coach (Rivers in questo caso) in preseason valgono come le noccioline.

Offrire a Darko una nomination tra i “talenti non espressi completamente” avrebbe vanificato il nostro sforzo nel cercare dei contenders al suo livello, dato che le sue qualità del centrone sono ben nascoste dall’ultima apparizione registrata agli scout di Detroit nella lontana Serbia.

 

La prima nomination va a Tyrus Thomas, quarta pick dei Blazers nel 2006, spedito subito a Chicago con Khryapa per Aldridge. Ai tempi sembrava un affare per i Bulls, che si sono accorti dopo quattro anni dell’errore e lo hanno messo su un aereo in direzione Charlotte con un biglietto di sola andata.

Dopo un ottima stagione da freshman nel 2005/2006 a LSU conclusa con l’eliminazione da parte della UCLA di Farmar, Afflalo, Collins e Mbah a Moute, Thomas si dichiarava eleggibile per il draft per manifesta superiorità nei confronti degli avversari.

Saltatore sopraffino dotato di buon jumper dai 5 metri, al college sembrava un adulto tra i bambini e ci si aspettava una crescita costante e soprattutto una notevole quantità di atletismo e giocate sopra il ferro al piano di sopra da garantire almeno sei o sette convocazioni alla partita dell’All Star Game, quella della domenica. Il tassametro della crescita del giocatore sembra essersi paurosamente fermato tanto da far pensare che forse il compagno di reparto a LSU, un certo Glen Davis, faceva apparire più le skills positive del compagno rispetto alle proprie. Nessun coach è mai riuscito a entrargli sotto pelle o forse ha subito troppo la lontananza da Baton Rouge, dove è nato e cresciuto e rimasto fino al grande salto verso la NBA. La carta d’identità gioca ancora dalla sua parte ma tutti i dollaroni sul conto corrente hanno proporzionalmente accresciuto la sua pigrizia!

Le prossime due nomination hanno frequentato la gloriosa University of North Carolina ed entrambi sono arrivati al draft con le prospettive di dominare la lega ma entrambi si sono persi ancora prima di dimostrare un pizzico del loro talento.

Marvin Williams ala che nel 2005 ha deciso la finale del torneo NCAA con un canestro per il decisivo vantaggio dei Tar Heels dopo la tripla del pareggio di Luter Head (prima di tre liberi di Felton per il più cinque finale), veniva chiamato alla seconda pick dopo un solo anno di college e si presentava al piano di sopra come uno di quelli pronto a fare la storia. Presto ad Atlanta scoprirono che sotto le apparenze il talento di Marvin era sempre meno visibile e una volta smantellato il progetto con Joe Johnson e Josh Smith di avere tre giocatori in grado di difendere indistintamente su tutte le guardie e ali della lega, lo hanno mandato a Utah. Lui a suo modo continua a mostrare un grande potenziale inespresso, anche se è riuscito a rimpinguare notevolmente il conto in banca.

Ed Davis invece come Marvin Williams ha vinto il titolo nel suo anno da freshman, uscendo dalla panchina come sesto uomo, come l’altro Tar Heels ha fatto intravvedere notevoli possibilità di dominare sopra al ferro al piano di sopra. Veniva pronosticato dagli esperti come una delle prime 5 scelte del 2009 ma lui scelse di tornare a UNC dichiarandosi l’anno seguente, dopo aver terminato la stagione anticipatamente per un polso rotto un nel derby contro Duke. Si aspettava di essere una delle TOP 10 ma venne chiamato alla 13 dai Raptors, che non felici del suo rendimento dopo un mese lo mandarono nella lega di sviluppo per qualche partita. A due anni e qualche settimana di distanza Davis, nonostante la giovane età, si concede ridimensionato a un futuro da role player e per lui le luci della ribalta del primo anno al college sembrano lontani ricordi da raccontare ai nipotini.

La prossima nomination va a Devin Harris. Dopo aver dettato legge nello stato del Wisconsin sia all’High School che al College, il ragazzo venne scelto alla 5 da Washington nel 2004 prima di spedirlo a Dallas nell’affare Jamison.

Nei primi due anni in Texas aveva mostrato grandi cose, come ricordano gli Heat nella finale del 2006. Dopo aver perso contro l’ultima incarnazione di Shaquille O’Neal come giocatore, Harris diventa leader e co-capitano dei Mavericks facendo intravedere un futuro da All Star grazie alla sua capacità di abusare delle point guard avversarie. Ma dopo il clamoroso upset (1-8) al primo turno dai playoff del 2007 da parte del Barone e dei suoi Warriors, fu sacrificato da Cuban per arrivare a Jason Kidd e spedito nel New Jersey.

Mentre a Dallas mettevano le basi per il titolo del 2011 la carriera di Harris svoltava verso una tangente da cui non è ancora tornato indietro, nonostante una stagione a 21 di media e una convocazione come riserva all’All-Star Game del 2009 il passaggio ai Nets ha sancito l’inizio di una parte buia della sua carriera, che lo ha visto transitare un anno a Utah nell’affare Deron Williams e successivamente essere scambiato con Atlanta per il Marvin Williams di cui vi abbiamo già parlato. Nella stagione in corso ha giocato solo tre partite dimostrando ancor meno di quello visto in tutta la sua carriera, che rimane statisticamente accettabile (12.9 punti con 5 assistenze e 1.2 rubate) ma complessivamente insipida.

L’ultima nomination spetta al nostro idolo dai tempi di Rhode Island Lamar Odom e non siamo impazziti. Lamar ha incassato più di 100 milioni di dollari in carriera, ha vinto due titoli, ha dominato la lega a suo modo negli anni dei dopo Shaq, anche senza partire in quintetto, ha fatto registrare 14 punti, 8,5 rebs e 3.8 assistenze in carriera ma non ha rispettato le aspettative del playground.

Ragazzo del Queens aveva dovuto fermarsi un anno al college dopo i problemi a UNLV e aveva incantato l’america e non solo con la canotta dei Rams.

208 centimetri di talento cristallino in grado di interpretare qualsiasi ruolo dalla point guard al centro, uno show per gli spettatori e un arma letale in faretra del suo coach, Lamarvelous non poteva non piacere e soprattutto non poteva non creare l’aspettative di essere il vero successore di Magic. Odom era la Point Forward del futuro: ha giocato dodici anni a Los Angeles (5 ai Clippers compreso l’ultimo e 7 ai Lakers), ma solo nella parentesi di Miami ha rivestito il ruolo di franchise players che il suo talento meritava.

Lamar entra di diritto nelle nomination non avendo mai partecipato a un All Star Game, nonostante gli attestati di stima di coach Jackson, anche per le questioni personali che spaziano dal matrimonio con annesso reality con una delle Kardashian ai problemi personali come la morte del figlio di sei mesi nel 2006 o l’ultimo incidente del 2011 che ha sancito la fine della sua carriera da giocatore dominante e lo ha visto trasformarsi fisicamente  nella matrioska più grande che contiene l’Odom versione Lakers.

Lasciamo a voi la scelta del vincitore e sterziamo verso l’amato mondo del college basket per parlarvi del nostro nuovo idolo: Jordan Bachynski.

Canadese, bianco di 2,18 il classico “pippone” che piace ai dunker per finire negli highlights di Sport Center con la posterizzazione dell settimana (vedi video)

httpv://www.youtube.com/watch?v=Omq-YhH-f1o

Indossa il numero 13 in onore di Steve Nash, è sposato con la bella Malia, tra i suoi film preferiti c’è Toys Story 3 (?), non finirà come Shawn Bradley alla pick numero 2 di nessun draft ma sta viaggiando a 12.2 punti, 9 rebs e 5.2 stoppate nelle prime cinque gare di Arizona State University, anche se le sue statistiche sono influenzate dalla complicità di squadre avversarie non di primo livello.

Una curiosità sul ruolo di Malia nel gioco del marito: lei è il boss, lei è la motivatrice, tanto da fare un accordo che permetteva al compagno di giocare due minuti a Call of Duty per ogni minuto di video aggiuntivo visto a rispetto alle sessioni di squadra o di saltare i lavori domestici se faceva sedute di tiro extra.

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